Tra Europa e nazione: la storia del Pride di Belgrado

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Simbolo della lotta per i diritti delle minoranze sessuali e di genere, il Pride è un evento di enorme importanza per le comunità LGBTQ+ di quasi tutto il mondo. In Serbia, la storia del Pride iniziò nel 2001 e, per usare un eufemismo, fu piuttosto travagliata.

 

Il Pride del Massacro

Il primo tentativo di organizzare un Pride a Belgrado avvenne su iniziativa del gruppo lesbico Labris. Il giorno designato per l’evento fu il 30 giugno 2001, appena due giorni dopo l’estradizione al Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia dell’ex presidente Slobodan Milošević, accusato di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica portate avanti durante le guerre jugoslave. Questa tempistica non fu per nulla vantaggiosa: fece in modo che i gruppi nazionalisti sostenitori di Milošević percepissero il Pride come un’altra delle pressioni esercitate dall’Unione europea, che già si era presa il loro leader. Per questo motivo, decisero che la marcia sarebbe stata l’opportunità perfetta su cui riversare le proprie frustrazioni. Nel giorno del Pride, centinaia di estremisti di destra e hooligans attaccarono i partecipanti alla parata, ferendo più di quaranta attivisti. La polizia serba aveva dispiegato forze insufficienti alla protezione dei membri della comunità LGBTQ+ presenti alla marcia e in più alcuni ufficiali si rifiutarono di intervenire per difendere gli attivisti. Questo primo tentativo divenne così conosciuto con il nome di “Pride del Massacro”.

 

Il Pride del 2009

Dopo questa prima esperienza, solo nel 2009 si decise di fare un nuovo tentativo. Gli attivisti furono incoraggiati dall’adozione della legge contro le discriminazioni, che comprendeva anche il divieto di discriminare sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, avvenuta quello stesso anno sotto pressioni dell’UE. Subito dopo l’annuncio del Pride, i gruppi nazionalisti riempirono la città di graffiti con insulti omofobi e minacce, con l’intento di dimostrare che la comunità LGBTQ+ non era la benvenuta in Serbia.

Queste minacce di violenza ebbero l’effetto desiderato. Appena ventiquattro ore prima dell’evento, il ministero dell’Interno decise di spostare la marcia a una strada di Belgrado che era solitamente frequentata per scopi ricreativi. Sebbene la decisione fosse stata giustificata come necessaria a causa della minaccia alla sicurezza, lo spostamento avrebbe del tutto compromesso il carattere politico del Pride. Gli organizzatori dell’evento trovarono inaccettabile questa decisione e decisero che, a queste condizioni, la marcia non si sarebbe tenuta affatto. Il Pride del 2009 fu così annullato e, al suo posto, per le strade di Belgrado si radunarono i membri dei gruppi nazionalisti che erano la causa della sua cancellazione, a celebrare la loro “vittoria”.

La minaccia alla sicurezza posta da questi individui fu usata come scusa per sospendere il diritto alla libertà di espressione e di assemblea delle persone LGBTQ+. Gli attivisti e alcuni osservatori internazionali, tra i quali l’Unione europea, percepirono la decisione di spostare il luogo della marcia anziché aumentare le misure di sicurezza per i partecipanti come un vero e proprio divieto al Pride. Non a caso, in quell’anno la relazione annuale per la Serbia redatta dall’UE menzionò l’incapacità delle autorità serbe di garantire la sicurezza dei partecipanti come ragione per cui il Pride non si era tenuto.

 

Il Pride dello Stato

Per partecipare a un altro Pride nel proprio Paese, la comunità LGBTQ+ serba dovette dunque aspettare il 2010, anno in cui le ONG organizzatrici decisero di lavorare subito a stretto contatto con lo Stato, in modo da evitare che le vicende dell’anno precedente si ripetessero. Questo fece guadagnare all’evento il soprannome di “Pride dello Stato”. Per fare pressione sul governo serbo, queste organizzazioni fecero leva sui requisiti di accesso del processo di allargamento e sul fatto che la Serbia avesse bisogno di dimostrare di aver preso seriamente il proprio cammino verso l’adesione all’Unione. L’accostamento tra il Pride e l’integrazione con l’UE non passò inosservato: i gruppi nazionalisti dipinsero l’evento come un’imposizione da parte dell’Unione europea, un sopruso che la “vera Serbia” non avrebbe accettato.

Il Pride del 2010 ebbe luogo sotto la stretta sorveglianza di un ingente numero di poliziotti antisommossa. Nonostante tale dispiegamento di forze, centinaia di estremisti nazionalisti presero d’assalto la marcia. I rivoltosi lanciarono bombe incendiarie, mattoni e bottiglie verso i partecipanti e diedero fuoco a svariati palazzi e automobili. Quel giorno, Belgrado sembrava una vera e propria zona di guerra. La polizia dovette combattere attivamente contro gli estremisti per riuscire a mantenere gli attivisti al sicuro: più di un centinaio di persone, gran parte delle quali poliziotti, rimasero ferite, mentre molti di coloro che avevano attaccato il Pride furono arrestati.

Quell’anno, le istituzioni europee presero atto degli sforzi compiuti dal governo serbo per la protezione dei diritti LGBTQ+ e nella relazione annuale la Commissione europea commentò che la risposta della polizia serba per la protezione dei partecipanti al Pride era stata “adeguata”. Si supponeva che questo riconoscimento avrebbe spinto le autorità serbe a replicare la performance anche negli anni successivi. Purtroppo, però, non fu affatto così.

 

Sicurezza al Pride

I Pride che si sarebbero dovuti tenere nel 2011, nel 2012 e nel 2013 furono tutti cancellati dalle autorità serbe pochi giorni prima delle date stabilite per gli eventi. Il governo usò la violenza perpetrata durante il Pride del 2010 per dimostrare che l’evento fosse un pericolo per la sicurezza nazionale. Il fatto che ogni anno arrivassero minacce di violenza da parte di vari gruppi nazionalisti servì solo a rafforzare la decisione del governo di rimandare il Pride a quando la Serbia “sarebbe stata pronta”.

Nel 2014, due anni dopo che la Serbia divenne ufficialmente un Paese candidato nel processo di allargamento, la pressione da parte dell’UE per fare in modo che il Pride venisse organizzato a Belgrado era troppo forte per rimandare ancora. Per questo motivo, quell’anno il Pride ebbe luogo per le strade della città, sebbene sotto la stretta sorveglianza di un gran numero di agenti per la sicurezza, incluse forze speciali con veicoli corazzati. Questa volta, l’evento si svolse senza episodi di violenza. Ciò non significa che l’atmosfera in Serbia fosse cambiata completamente: lo stesso giorno del Pride, una volta terminata la marcia, nelle strade di Belgrado si riversarono quasi 2000 manifestanti, che protestarono contro l’evento con slogan come “Uccidiamo i gay” o “Alla Serbia non serve l’UE”. Nonostante ciò, nel 2015 e nel 2016, i Pride avvennero come nel 2014: con un grande dispiegamento di sicurezza e senza episodi di violenza.

 

I due Pride

Fu nel 2017 che la situazione del Pride in Serbia cambiò ancora. Quell’anno a Belgrado non si tenne un Pride solo, ma ben due. Uno, da tradizione, si tenne a settembre e continuò a essere chiamato il “Pride di Belgrado”; l’altro, a giugno, mese tipicamente dedicato al Pride in varie parti del mondo, che prese il nome di “Pride della Serbia”. Questa scissione fu la conseguenza delle divergenze che da tempo erano presenti fra gli attivisti LGBTQ+. Tre organizzazioni, Egal, Loud&Queer e Gay&Lesbian Info Center decisero di organizzare il nuovo evento a giugno perché sentivano che il tradizionale Pride di Belgrado fosse troppo distante dai veri bisogni della comunità LGBTQ+ serba. Questa convinzione era alimentata dalla percezione che gli organizzatori si concentrassero troppo sul fare lobbying sulle istituzioni statali più che offrire un sostegno tangibile alle persone. Il fatto che gli attivisti stessi avessero questa impressione suggeriva che l’approccio “dall’alto”, adottato da varie organizzazioni, non fosse veramente efficace nel migliorare le vite dei cittadini LGBTQ+ in Serbia.

Il Pride di Belgrado del 2017 fu il primo a cui partecipò anche la Prima ministra Ana Brnabić. Brnabić è apertamente lesbica e il suo intento nel partecipare al Pride era di dimostrare la sua solidarietà alla comunità LGBTQ+ di cui lei stessa è parte. Questa sua scelta, però, fu accolta da opinioni discordanti. La comunità internazionale accolse la sua partecipazione al Pride come un segno del progresso della Serbia verso l’accettazione della comunità LGBTQ+. Gli attivisti serbi, invece, non condividevano affatto questa posizione e ritenevano Brnabić nient’altro che un fantoccio dello Stato, scelta soltanto per dare una parvenza di tolleranza, quando in realtà non aveva fatto nulla per migliorare attivamente le vite dei cittadini LGBTQ+ serbi.

 

Gli ultimi Pride

Nonostante la resistenza di gran parte degli attivisti, la Prima ministra partecipò al Pride anche negli anni successivi, assieme alla sua compagna. In occasione del Pride 2019, Brnabić dichiarò che il governo stava lavorando a una legge per riconoscere le unioni civili tra partner dello stesso sesso. Allo stesso tempo, però, ammise di non essere nella posizione di specificare quando sarebbe potuta entrare in vigore. Ad oggi, la Serbia non si è ancora dotata di una legge che garantisca i diritti delle coppie dello stesso sesso.

Un altro episodio degno di nota che caratterizzò il Pride del 2019 si verificò in una delle strade di Belgrado in cui avrebbero dovuto marciare i partecipanti, dove la polizia si scontrò con un gruppo di circa 150 estremisti nazionalisti, riunitisi per protestare contro i diritti LGBTQ+. Fortunatamente, i partecipanti alla marcia riuscirono a passare incolumi, grazie all’intervento della polizia che prontamente circondò gli aggressori e impedì loro di divenire violenti.

Questo episodio è la dimostrazione di come, rispetto agli inizi della storia del Pride di Belgrado, siano stati fatti enormi passi avanti per garantire la libertà di espressione e di assemblea dei cittadini LGBTQ+. Allo stesso tempo, però, mostra anche come ci sia una parte della Serbia ancora convinta della forte incompatibilità tra le identità LGBTQ+ e quella nazionale serba.

 

Fonti e approfondimenti

Ejdus, Filip, and Mina Božović. 2019. “Europeanisation and Indirect Resistance: Serbian Police and Pride Parades.” The International Journal of Human Rights. 23 (4): 493–511.

European Commission. 2009. “Serbia 2009 Progress Report.” Commission Staff.

European Commission. 2010. “Serbia 2010 Progress Report.” Commission Staff.

Gould, John, and Edward Moe. 2015. “Nationalism and the Struggle for LGBTQ Rights in Serbia, 1991–2014.” Problems of Post-Communism. 62 (5): 273–86.

Maricic, Slobodan, and Petra Zivic. 2018. “Serbia Pride: Gay PM Brnabic ‘not Wanted’ at Parade.” BBC News.

Mikuš, Marek. 2011. “‘State Pride’: Politics of LGBT Rights and Democratisation in ‘European Serbia.’” East European Politics and Societies and Cultures. 25 (4): 834–51.

Ristic, Marija. 2014. “Pride 2014: Belgrade Holds Parade Amid Heavy Security.” BalkanInsight.

Slootmaeckers, Koen, Heleen Touquet, and Peter Vermeersch. 2016. The EU Enlargement and Gay Politics: The Impact of Eastern Enlargement on Rights, Activism and Prejudice. London: Palgrave Macmillan.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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