Il Mali, al pari di altri Paesi del continente africano, fa affidamento sulla produzione e sul commercio di commodity per il sostentamento della propria economia. L’agricoltura e l’allevamento sono infatti alla base dell’economia del Paese. Il cotone, denominato spesso “oro bianco”, è tra le principali materie prime di riferimento del Paese per reddito derivante dal suo commercio, mentre altri prodotti, come il riso o i cereali grezzi, rappresentano le principali fonti di sussistenza alimentare.
Condizioni climatiche sfavorevoli e una diffusa instabilità politica e istituzionale contribuiscono a minacciare le già instabili condizioni del settore agricolo, che da solo copre il 35% del PIL nazionale e dà lavoro al 70% della popolazione. La crisi globale durante la pandemia di Covid-19 ha contribuito ad aggravare la situazione.
Come si vedrà in seguito, solo una minima parte del cotone prodotto in Mali viene utilizzato dall’industria tessile locale. La quasi totalità della produzione, infatti, è destinata all’esportazione, in particolare ai mercati asiatici.
L’origine della produzione di cotone
Come per altre ex colonie francesi, anche in Mali la monocoltura del cotone venne imposta direttamente dai colonizzatori. La coltivazione e il commercio dell'”oro bianco” hanno rappresentato, per lungo tempo, un motore dello sviluppo economico nella zona meridionale del Paese; quella meno desertica, dove la presenza di acqua è garantita dal fiume Niger e dalle piogge. Tuttavia, per un lungo periodo le coltivazioni vennero irrigate artificialmente, tecnica che venne abbandonata dopo l’indipendenza del Paese dal regime coloniale, preferendo un sistema di irrigazione pluviale.
Il peso del settore cotoniero nell’economia maliana
Il settore agricolo, in Mali, ha un peso sul PIL di circa il 35%. L’agricoltura nel Paese impiega circa il 70% della popolazione, mentre il 40% della popolazione che abita le zone rurali, oltre quattro milioni di persone, dipende dalla produzione e dall’esportazione del cotone.
Questa commodity contribuisce al 25% delle esportazioni totali, rappresentando il secondo bene esportato dopo l’oro. Da ciò si comprende anche l’importante peso che il cotone ha sul PIL e sulle entrate derivanti dalle tasse su questo prodotto, rispettivamente del 15% e del 12%.
La governance del cotone
Lo Stato del Mali, conscio dell’importanza della produzione e dell’esportazione del cotone, ha contribuito in maniera consistente alla diffusione di tale coltura attraverso l’istituzione, durante gli anni Settanta, della Compagnia Maliana per lo Sviluppo del Tessile (CMDT).
L’organizzazione, il cui capitale apparteneva per il 60% allo Stato e per il restante 40% all’azienda francese Degris, poi Géo-coton, è oggi posseduta, quasi totalmente, dallo Stato. La CMDT ha lo scopo di promuovere uno sviluppo rurale integrato, dalla coltivazione alla lavorazione del cotone, fino alla sua esportazione. Il governo maliano riesce così a controllare tutte le fasi principali della catena di produzione del cotone.
La crisi dei primi anni Duemila
A partire dai primi anni Duemila, il settore si è trovato in uno stato di crisi dovuto alla diminuzione dei prezzi del cotone sui mercati internazionali, oltre a un degradamento delle terre coltivate e a un peggioramento della gestione della filiera a livello statale. Il governo cercò, in quegli anni, di attuare una riforma del settore che prevedeva l’aumento dei prezzi della commodity, il pagamento di arretrati ai produttori e sussidi per la fertilizzazione dei campi, cercando parallelamente di privatizzarlo entro il 2005. La privatizzazione consisteva nella divisione della CMDT in quattro società cotoniere private, che avevano il compito di controllare l’intera filiera produttiva del cotone in quattro regioni differenti. Le società avrebbero dovuto negoziare il prezzo del cotone e prendersi carico della commercializzazione della commodity.
Tuttavia, una volta che il settore cotoniero riuscì a ristabilirsi, grazie per lo più all’aumento dei prezzi del bene a livello globale, il governo ritirò le proposte avanzate negli anni precedenti e arrestò il processo di privatizzazione, riprendendo il controllo tramite la CMDT.
Tra il 2013 e il 2018, il governo varò una nuova misura, il Programma di Sviluppo Strategico della Filiera del Cotone, il cui obiettivo principale era quello di aumentare la produzione del bene e istituire nuove industrie di sgranatura del cotone. Parallelamente, stanziò ingenti risorse per dare dei sussidi ai coltivatori, per permettere loro di acquistare i macchinari e le tecnologie adeguate per aumentarne la produzione. Queste misure non furono però sufficienti a garantire una resilienza del settore cotoniero nei confronti del prezzo della commodity sui mercati globali e delle difficoltà dovute ai cambiamenti climatici.
I dati dell’”oro bianco”
Il cotone viene tutt’oggi coltivato nelle regioni meridionali: le aree del bacino del fiume Niger, in particolare le zone di Sikasso, Sègou e Koutiala, sono i maggiori centri di produzione cotoniera, attorno ai quali la produzione della commodity era riuscita a raggiungere livelli non solo di sussistenza.
Come accade spesso nei contesti rurali del continente, le coltivazioni di cotone sono a gestione familiare con limitate, e talvolta inesistenti, risorse tecnologiche, intese come attrezzature, macchinari, fertilizzanti e pesticidi. Il cotone viene coltivato tra giugno e luglio e raccolto tra ottobre e gennaio.
Le esportazioni di cotone dal Mali sono quasi totalmente destinate all’Asia, che riceve il 90% della produzione. Di questi, il 60% è indirizzato alla Cina, mentre il restante viene importato da Paesi quali Malesia, Bangladesh, Vietnam, Pakistan e utilizzato dalle industrie tessili locali. Dell’intera produzione cotonifera, solo il 2% viene utilizzato per la produzione locale.
Il mercato internazionale dell’”oro bianco” maliano ha subito un rallentamento a seguito dell’ingresso degli Stati Uniti tra gli esportatori globali di questa commodity. Il cotone statunitense viene infatti venduto a prezzi sempre più bassi, grazie agli incentivi e ai finanziamenti concessi dal governo ai coltivatori di cotone. L’abbassamento del prezzo del cotone americano rappresenta, quindi, una minaccia per i contadini maliani, che si trovano di fronte a una delle più grandi potenze economiche mondiali.
L’impatto della crisi coronavirus
Nel lungo periodo, tra alti e bassi, la produzione di cotone in Mali è generalmente cresciuta. Nell’annata 2019/2020, infatti, la produzione è aumentata di circa il 6% rispetto all’anno precedente, raggiungendo le settecentomila tonnellate. Questa cifra ha reso il Mali, per il secondo anno consecutivo, il secondo produttore di “oro bianco” in Africa dopo il Benin. Per l’annata 2020/2021, l’obiettivo è superare le ottocentomila tonnellate.
Quest’obiettivo si scontra, però, con la crisi globale dovuta al diffondersi del Covid-19. La pandemia di coronavirus ha determinato un abbassamento delle vendite di prodotti tessili e, quindi, della domanda mondiale di cotone, causando, di conseguenza, l’abbassamento del prezzo del bene sul mercato. Nell’ultimo anno, il prezzo del cotone maliano è già sceso da 275 a 200 Franchi CFA al chilogrammo, vale a dire circa 0,30 centesimi di Euro. Una serie di incentivi statali che prevedono di rimborsare i contadini con un ammontare di 50 Franchi CFA al chilogrammo permette di ridurre la differenza di guadagno, che però vede comunque una diminuzione di 25 Franchi CFA per ogni chilogrammo di bene venduto rispetto al prezzo pre-crisi.
Per citare un esempio: la Cina, principale importatore del cotone maliano, ha ridotto del 30% le importazioni di tale commodity. Ad aggravare la situazione è stata la parallela riduzione del prezzo del petrolio, permettendo alle fibre sintetiche di tornare a essere concorrenziali sul mercato a discapito del cotone.
L’obiettivo di aumentare la produzione di cotone nel corso dell’annata 2020/2021 si scontra, quindi, con l’abbassamento della domanda dell’ultimo anno; che, si prevede, continuerà anche nei prossimi mesi. Si stima che solamente poco più della metà del cotone raccolto in Mali sarà esportato, causando un accumulo della commodity non solo in Mali, ma anche nel resto dei Paesi produttori di cotone. Conseguentemente, si può prevedere una progressiva diminuzione del prezzo del bene. Il governo e la CMDT avranno il compito di tamponare gli effetti negativi di questa crisi sui contadini maliani, implementando misure adeguate a fronteggiare la diminuzione degli introiti derivanti dall’esportazione di cotone.
Fonti e approfondimenti
Olodo E., “Mali: la production de coton a atteint 700 000 tonnes en 2019/2020“, Agence Ecofin, 2/6/2020.
Balié J., SPAAA, FAO, Analyse des incitations et pénalisations pour le coton au Mali, Roma, ottobre 2012.
Bélières J. F., Benoit-Cattin M., Barret L., Djouara H., Kébé D. 2008. “Les organisations de producteurs en zone cotonnière au Mali“, Économie rurale, 303-304-305, pp. 22-38.
Better Cotton Initiative. 2020. Where is better cotton grown?.
Commodafrica, “Chute considérable de la production de coton au Mali en 2020/21“, 22/9/2020.
Commodafrica, “Le marché du coton peut-il se redresser après le choc violent de la Covid-19 sur la demande?“, 24/6/2020.
Deveaux J., “Mali: la culture du coton en chute de 75% pour la campagne en cours“, Franceinfo, 23/9/2020.
FAO. 2017. Mali Country fact sheet on food and agriculture policy trends.
Panara M., “Coton: le Mali, ce champion d’Afrique“, Le Point, 26/1/2018.
Rouaud P., “Coton au Mali: la CMDT au pied du mur“, JeuneAfrique.com, 8/10/2020.
Editing a cura di Niki Figus
Be the first to comment on "Dalla terra al mercato: la produzione e il commercio del cotone del Mali"