Rule of law: Romania e Bulgaria continuano le riforme dall’interno dell’Unione

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Bulgaria e Romania sono entrate entrambe a far parte dell’Unione europea nel 2007, nonostante non rispettassero appieno gli standard richiesti da Bruxelles. A oltre un decennio di distanza, la situazione per quanto riguarda la rule of law e la corruzione è solo parzialmente cambiata.

Due casi particolari

Romania e Bulgaria sono entrate a far parte dell’Unione europea nel contesto del cosiddetto big bang enlargement, che vide l’ingresso di dodici nuovi Stati membri tra il 2004 e il 2007. La maggior parte di questi entrò a far parte delle istituzioni di Bruxelles nel maggio 2004. Tuttavia, una serie di problemi strutturali in Romania e Bulgaria causò uno slittamento fino al gennaio 2007. Tra i punti più critici figuravano la tenuta delle istituzioni democratiche, un parziale rispetto dei principi dello Stato di diritto e la corruzione dilagante. Nonostante i progressi solamente parziali conseguiti nel 2007, Bruxelles accolse comunque i due Paesi, per non frustrarne le ambizioni europee e per evitare che finissero per orbitare nella sfera di influenza russa.

Tuttavia, rimaneva la necessità di monitorare la situazione e accompagnare Bucarest e Sofia verso il proprio consolidamento democratico. A tale scopo, con una decisione della Commissione europea del dicembre 2006, veniva istituito il Meccanismo di cooperazione e verifica (MCV), un sistema di monitoraggio volto a controllare i progressi nelle riforme del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione e, nel caso della Bulgaria, al crimine organizzato. Il MCV terminerà una volta che tutti i benchmark (obiettivi) che esso prevede verranno raggiunti.

In diverse occasioni, le classi politiche dei due Paesi hanno espresso la propria contrarietà nei confronti del MCV, in quanto questo creerebbe un doppio standard con il resto degli Stati membri, non sottoposti a un simile meccanismo di verifica. Questo problema è stato parzialmente risolto dalla Commissione von der Leyen, il cui “Rule of law mechanism” prevede ora la stesura di “Rule of law reports” annuali riguardo tutti gli Stati membri. Malgrado ci si aspettasse che il nuovo meccanismo avrebbe sostituito il MCV in Romania e Bulgaria, ciò non è successo, dato il mancato raggiungimento, a tutt’oggi, di diversi benchmarks

Tra questi obbiettivi, risaltano in particolar modo quelli riguardanti l’indipendenza del giudiziario, la corruzione e la libertà dei media.

Indipendenza del giudiziario

In entrambi i Paesi, i vari report del MCV hanno evidenziato, nel corso degli anni, un generale miglioramento sotto questo punto di vista. Specialmente negli anni immediatamente successivi al 2007, le riforme sono continuate nella direzione giusta. Ciò però non è abbastanza, soprattutto per i cittadini: i dati dell’Eurobarometro mostrano che soltanto il 37% della popolazione, in entrambi i Paesi, ritiene il livello dell’indipendenza del giudiziario “buono o molto buono”. Questo è dovuto alla percezione che la classe politica sia troppo influente ed eserciti troppa pressione sui giudici. 

In Bulgaria, questo è particolarmente legato alla figura del Procuratore generale – attualmente Ivan Geshev. Diversi report del MCV denunciano la sua eccessiva influenza nei confronti del Consiglio supremo della magistratura, l’organo che presiede all’indipendenza del giudiziario e stabilisce la composizione delle corti ordinarie, e sottolineano come la sua presenza indebolisca la capacità del Consiglio di resistere a pressioni politiche esterne. Inoltre, il Procuratore è fortemente tutelato dall’attuale legislazione, e risulta complesso tanto destituirlo dalla sua carica, una volta eletto dal Consiglio supremo stesso, quanto condurre indagini e procedimenti nei suoi confronti. Tale situazione, unita agli scarsi risultati nella lotta alla corruzione, ha portato a estese proteste, iniziate nel luglio di quest’anno e tutt’ora in corso.

La situazione rumena è invece peggiorata sensibilmente intorno al 2017, a causa delle controverse riforme del giudiziario attuate dal Partito social-democratico allora al potere. Tutti i successivi report del MVC hanno denunciato l’inadeguatezza delle riforme, e in particolar modo l’istituzione di un’apposita sezione dedicata alle indagini sui reati commessi dal giudiziario. Tale sezione riguardava esclusivamente giudici e procuratori, ed è stata interpretata dal sistema di monitoraggio UE come un modo per mettere pressione sul giudiziario, rendendolo più facilmente ricattabile. Inoltre, è stato osservato come le procedure di nomina del Procuratore generale e del Procuratore capo del Direttorato nazionale anti-corruzione (DNA) siano state quantomeno controverse in passato, ed effettuate a discapito del parere negativo del Consiglio superiore della magistratura rumeno. L’ondata di proteste conseguenti alle riforme è stata la più grande dal 1989 e ha portato infine alla caduta del governo socialdemocratico, nel 2019. Il successivo governo del liberale Ludovic Orban – attualmente dimissionario a seguito delle elezioni – si è dimostrato meno divisivo e ha spinto per riportare la Romania sulla strada delle riforme corrette.

Corruzione

Quello della corruzione negli alti livelli istituzionali, legato a doppio filo a quello dell’indipendenza del giudiziario, è un problema presente in entrambi i Paesi, al punto da essere espressamente monitorato dal MVC sin dal 2007. La popolazione è pienamente consapevole di ciò: l’indice sulla percezione della corruzione pone Bulgaria e Romania rispettivamente al 70⁰ e 74⁰ posto al mondo, ultime nell’UE.

Secondo le ultime rilevazioni dell’Eurobarometro, l’80% dei bulgari ritiene che la corruzione sia “ampiamente presente” nel proprio Paese. Ciò spiega la portata delle proteste tuttora in corso, che chiedono le dimissioni del Procuratore generale Geshev e del premier Boyko Borissov, ritenuti incompetenti e interessati solo a rinsaldare la propria posizione. Il MVC sottolinea come, in Bulgaria, il quadro legislativo per la lotta alla corruzione sia relativamente sufficiente. Tuttavia, i procedimenti anti-corruzione sono farraginosi e burocratizzati, e gli enti preposti, come la nuova commissione anti-corruzione, non hanno budget e risorse sufficienti per lavorare in modo efficace.

Una situazione molto simile si può riscontrare in Romania. I recenti sforzi legislativi, che hanno portato ad esempio alla creazione del DNA, non sono supportati abbastanza, e sono minati alla base dai persistenti problemi legati alla scarsa indipendenza del giudiziario. Tra i recenti sviluppi negativi segnalati si annoverano la riduzione della prescrizione, la riduzione delle pene per crimini commessi da figure pubbliche, tra cui l’abuso d’ufficio, e le scarse regole esistenti per riportare casi di corruzione.

Libertà dei media

In entrambi i Paesi la fiducia verso l’indipendenza dei media è scarsa. Regole poco trasparenti e pressioni sui giornalisti da parte del governo pongono entrambi verso il fondo della classifica europea. Ciononostante, i risultati ottenuti dai due Paesi nel report annuale di Reporters Sans Frontières mostrano uno scarto notevole. Se la Romania è piazzata al 44° posto al mondo, la Bulgaria è addirittura al 111°, ultima in Europa e “pecora nera dell’UE”.

Emblematico è lo stato della Televisione nazionale bulgara (TNB), la cui linea è diventata chiaramente filo-governativa a seguito della nomina del nuovo direttore generale. Ciò è aggravato dai continui fondi (nazionali ed europei) allocati dal governo a favore di emittenti amiche, in completa assenza di trasparenza. L’assenza di una legge che impedisca l’accentramento del potere nei media è simboleggiata dall’oligarca Delyan Peevski, che possiede due giornali, un canale TV, siti di notizie e una larga parte della distribuzione di carta stampata. Altro esempio è quello di Nova TV, acquisita recentemente da un altro oligarca, Kiril Domuschiev; dal suo arrivo, giornalisti investigativi ritenuti scomodi sono stati licenziati – come nel caso della nota reporter Mirolyuba Benatova. Per di più, esiste una sorta di accordo non scritto tra le emittenti pro-governative, che prevede di non assumere giornalisti licenziati da altre. Esistono giornali in aperta opposizione al governo; tuttavia questi hanno denunciato l’impossibilità di lavorare in modo soddisfacente, di incontrare membri del governo e del Parlamento al di fuori di conferenze stampa organizzate e di versare in condizioni lavorative inaccettabili. Inoltre, molti di loro hanno accusato la polizia di averli più volte aggrediti, soprattutto nel riportare le attuali proteste contro il governo Borissov.

In Romania la situazione è più positiva, data la presenza di una valida base legislativa in favore dell’indipendenza dei media. È l’implementazione di questa base a risultare problematica: i media subiscono spesso pressioni politiche e le fonti di finanziamento dei giornali sono poco trasparenti. Questo ha comportato l’accentramento dei media nelle mani di un gruppo ristretto di oligarchi, come in Bulgaria. Queste potenti emittenti filo-governative hanno dimostrato la propria parzialità proprio in occasione delle proteste del 2017, riportando i fatti in modo fazioso e diffondendo fake news. In occasione delle stesse proteste sono stati riportati e denunciati quindici casi di violenza verbale e fisica nei confronti dei giornalisti sul posto. Inoltre, tutt’oggi molti media indipendenti sono sotto accusa dell’ufficio del Procuratore generale o di unità anti-corruzione, suggerendo una continua ingerenza della politica nel settore.

Cosa ha funzionato e perché?

Romania e Bulgaria, nel contesto della difesa e della promozione della rule of law da parte dell’Unione europea, esemplificano tanto i punti di forza quanto quelli di debolezza dell’approccio di Bruxelles. Questo approccio è approfondito, supportato da un efficace sistema di sanzioni e incentivi, e riesce a combinare i diversi modi di concepire la rule of law tipici dei diversi Stati che compongono l’Unione. Esso non può tuttavia prescindere dalla presenza di almeno uno tra i due seguenti aspetti fondamentali.

Il primo è la collaborazione del Paese in questione, che deve condividere la visione europea di Stato di diritto ed essere disposto a procedere con le riforme; il secondo è, invece, la presenza di un forte incentivo in possesso di Bruxelles. L’offerta di unirsi all’Unione è l’incentivo più efficace individuato sinora, e viene perso nel momento in cui un Paese diventa effettivamente uno Stato membro. L’esperienza del MCV a Sofia e Bucarest ha mostrato ancora una volta l’importanza di questi due aspetti. I due Paesi hanno iniziato il loro percorso di riforme, malgrado fossero ormai Stati membri, per venire accettati dal resto dell’Unione e per raggiungerne gli standard. Tuttavia, in corrispondenza di governi meno interessati a questo risultato, la situazione della rule of law è peggiorata, come nel caso del governo rumeno del 2017 o di quello attuale in Bulgaria. Ciò non deve comunque sminuire i meriti dell’Unione nel promuovere lo stato di diritto; anzi, li rende forse più impressionanti, dato la mancanza di procedure davvero efficaci per garantirne la difesa.

 

 

Fonti e approfondimenti

Commissione europea, Rule of law report Bulgaria, 2020.

Commissione europea, Progress report Bulgaria under the Cooperation and Verification Mechanism, 2019.

Boryana Dzhambazova, Maia de la Baume, MEPs tackle rule of law in Bulgaria as corruption crisis swells, Politico.eu, 09/09/2020.

Georgi Gotev, Bulgaria ‘black sheep of the EU’: World Press Freedom Index, Euractiv, 21/04/2020

Commissione europea, Rule of law report Romania, 2020.

Commissione europea, Progress report Romania under the Cooperation and Verification Mechanism, 2019.

Carmen Paun, Commission renews warning to Romania over rule of law, Politico.eu, 15/04/2019.

Barbara Grabowska-Moroz, Rule of law framework – Is it time for Romania?, Reconnect, 05/05/2019.

Alexandru-Ionut Dragulin, The Cooperation and Verification Mechanism and the Judicial Reforms in Romania in the Light of the EU Rule of Law, University of Bucharest, 2019.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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