Il conflitto che accompagna la questione del Sahara occidentale è iniziato negli anni Settanta del secolo scorso e da allora le tensioni sono rimaste a tratti sopite, ma mai davvero risolte. Oggi la tregua mediata dall’ONU nel 1991 è a rischio, e con essa la stabilità della regione. Nel mese di novembre, infatti, un’operazione militare effettuata da parte dell’esercito marocchino nei pressi di Guerguerat, un piccolo villaggio nell’estremo sud ovest del Sahara occidentale, ha riacceso le ostilità.
Nel tentativo di disperdere una folla di sessanta manifestanti che bloccava la strada di collegamento tra Marocco e Mauritania, le forze armate del regno alawita hanno oltrepassato il confine con la Repubblica araba democratica dei saharawi (RADS), Stato de facto indipendente che controlla il 20-25% del Sahara occidentale. Il Fronte Polisario, organizzazione politica e militare riconosciuta dalle Nazioni Unite come rappresentante della RADS, ha dichiarato di considerare l’azione dei militari marocchini come un atto di guerra, in violazione del “cessate il fuoco” siglato nel 1991 tra le due parti.
Il Sahara occidentale e gli “accordi di Abramo”: il patto tra Mohammed VI e Trump
L’offensiva di Rabat è da leggere anche alla luce del clima internazionale e in primis della politica estera portata avanti dagli USA di Donald Trump. Il 10 dicembre 2020, l’ormai ex presidente Donald J. Trump ha, infatti, rilasciato una dichiarazione affermando di riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. Nel documento ufficiale, si legge che:
“Gli Stati Uniti riconoscono la sovranità marocchina sull’intero territorio del Sahara occidentale e […] gli Stati Uniti ritengono che uno Stato saharawi indipendente non sia un’opzione realistica per risolvere il conflitto e che la vera autonomia sotto la sovranità marocchina sia l’unica soluzione fattibile”.
Inoltre, viene menzionata l’apertura di un consolato a Dakhla, città del Sahara occidentale che ha recentemente visto finanziamenti marocchini per un miliardo di dollari verso la costruzione di un nuovo porto, volto a promuovere lo sviluppo sociale ed economico della regione.
La decisione ha sorpreso tutti, Nazioni Unite comprese, e ha attirato diverse critiche. Non solo il Fronte Polisario e l’Algeria – che hanno definito l’iniziativa del Tycoon come “un pericolo per la stabilità della regione e il processo di pace mediato dall’ONU”, ma anche dal Sudafrica e diversi Stati africani che si sono appellati all’ONU come unica organizzazione autorizzata a mediare tra le parti in causa.
La scelta improvvisa di Trump si inserisce nel contesto del suo piano di pace per il Medio Oriente. Due settimane dopo la dichiarazione del presidente degli Stati Uniti d’America, Mohammed VI ha infatti deciso di ristabilire piene relazioni diplomatiche con Israele, pur continuando a supportare la causa palestinese. Il Marocco diventa, quindi, il quarto Paese a normalizzare i propri rapporti con Tel Aviv negli ultimi quattro mesi, dopo Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Sudan, con la firma dei cosiddetti “accordi di Abramo”.
L’antagonismo tra Marocco e Algeria e la posizione degli Stati africani
Non solo gli USA, ma anche diversi Stati membri dell’Unione africana (UA) parteggiano per il Marocco. Inoltre, il periodo di incertezza nel quale si trova l’Algeria potrebbe aver rappresentato un ulteriore elemento favorevole: segnata dalla crisi economica e senza guida politica – il Primo ministro Tebboune è ricoverato in Germania per Covid-19 da novembre – il vicino e rivale sembra impossibilitato a intervenire in maniera diretta, nonostante gli interessi in gioco.
Fin dai primi anni del conflitto, gli scontri tra guerriglieri saharawi ed esercito marocchino hanno coinvolto anche altre potenze del continente, come l’Algeria e la Mauritania. Mentre quest’ultima, nel 1979, rinunciò ufficialmente alle pretese territoriali nel Sahara occidentale, l’Algeria continua a osteggiare le mire espansionistiche del vicino. Già nel 1963, l’idea di un Grande Marocco, comprendente regioni considerate parte del territorio nazionale come le province di Béchar, di Tindouf (Algeria) e il Sahara occidentale, fomentò lo scontro tra il regno alawita e Algeri. Quella che passò alla storia come “Guerra delle Sabbie”, seppur breve e inutile, diede vita al clima di ostilità che ancora oggi caratterizza le fredde relazioni tra i due Stati maghrebini, fautori di visioni politiche molto differenti: da un lato, la monarchia conservatrice marocchina, appoggiata da potenze occidentali come USA e Francia; dall’altro, la Repubblica democratica araba di Algeria, di stampo socialista e spesso supportata da Cina, Cuba e, ai tempi, Unione Sovietica.
Durante l’invasione marocchina del Sahara occidentale e lo scoppio della guerra nel 1976, l’Algeria supportò apertamente il Fronte Polisario per evitare che il Marocco monopolizzasse la via all’Atlantico e limitasse le possibilità di Algeri di estendere la propria influenza regionale. Il sostegno algerino negli anni è stato militare, con finanziamenti e armamenti a supporto dei guerriglieri saharawi, ma anche e soprattutto politico. L’Algeria, infatti, è stata tra le prime nazioni a riconoscere il Fronte Polisario come legittima autorità del Sahara occidentale e, ancora oggi, ne ospita la sede a Tindouf. Qui peraltro si trova un campo profughi in cui vivono 170.000 rifugiati di etnia saharawi, secondo le stime dell’ONU. Inoltre, l’Algeria ha lottato per ottenere il riconoscimento della SADR da parte degli altri Stati dell’Unione africana. Le pressioni algerine su Paesi politicamente influenti come Nigeria e Sudafrica hanno fatto in modo che la SADR diventasse membro dell’Unione africana (UA) nel 1984, con la conseguente uscita dall’organizzazione del Marocco in segno di protesta.
Nonostante l’opposizione di Algeria e Sudafrica, il Marocco è stato riammesso nell’organizzazione nel 2017, rinunciando a vincolare la propria ammissione all’espulsione della SADR dall’Unione africana. Quest’ultima, invece, ha rinunciato al proprio ruolo di risolutore e giudice del conflitto, riconoscendo le Nazioni Unite come l’unica autorità mediatrice nel processo di pace. La riammissione di Rabat nell’Unione è prova e conseguenza del favore che il regno alawita ha saputo attirare tra i Paesi dell’Unione africana negli ultimi anni. Infatti, se durante i primi decenni di conflitto la maggioranza dei Paesi africani aveva riconosciuto la SADR e si era opposta ai tentativi di annessione del Marocco, ad oggi l’opinione è più divisa. Nazioni influenti come Camerun, Ciad, Ghana e Sudan hanno sostenuto la proposta di pace e autonomia avanzata dal Marocco; mentre le già accennate Algeria e Sudafrica, così come Etiopia, Nigeria, Angola e Kenya si sono espresse in favore dell’autodeterminazione del popolo saharawi.
Un tale cambiamento negli equilibri interni dell’Unione africana è spiegabile con le iniziative politiche del regno marocchino: gli investimenti economici effettuati negli ultimi quindici anni – soprattutto in Africa occidentale, in settori come quello bancario e quello immobiliare – e il ruolo giocato nella gestione dei flussi migratori diretti verso l’Europa hanno evidenziato l’influenza del Marocco come Paese stabile e influente nel processo di sviluppo del continente e un partner su cui contare.
La posizione degli Stati membri dell’UE e il rischio per i civili sahrawi
Le notizie di scontri nell’area di Guerguerat si fanno sempre più insistenti e la presenza di militari marocchini più consistente. Tuttavia, la comunità internazionale (ONU e UA in primis) sembra determinata a risolvere la disputa nella maniera più pacifica possibile. Un ruolo di fondamentale importanza potrebbe essere ricoperto dall’UE, nel caso riuscisse a trovare una posizione condivisibile da tutti gli Stati membri – la Francia, ad esempio, ha già garantito il proprio supporto all’alleato marocchino.
Infine, rimane da monitorare la situazione di prigionieri politici e del rispetto dei diritti umani. Negli ultimi anni, infatti, Human Rights Watch ha più volte denunciato violazioni dei diritti umani da parte dei militari marocchini, accusati di effettuare arresti sommari e di esercitare pratiche violente anche sui civili. Un peggioramento del conflitto potrebbe corrispondere a un aumento delle pratiche securitarie e opprimenti delle autorità marocchine.
Fonti e approfondimenti
al-Ashhab M., Kadadra A., “Tensions rise between Morocco, Algeria over the Western Sahara”, al-Monitor, 8 novembre 2013.
Bennani D., “Morocco and Algeria: the Impossible Reconciliation?”, al-Monitor, 7 luglio 2013.
Kestler-D’Amours J., “US recognized Morocco’s claim to Western Sahara. Now what?”, al-Jazeera, 11 dicembre 2020.
Jacobs A., “How the Western Sahara Became the Key to North Africa”, Foreign Affairs, 18 dicembre 2020.
Jacobs A., “The Battleground for the Morocco-Algeria Rivalry”, Jadaliyya, 25 ottobre 2017.
Human Rights Watch, “Western Sahara: Morocco cracks down on activists”, 18 dicembre 2020.
Lebovic A., “Why the Western Sahara dispute could escalate conflicts across North Africa and the Sahel” , European Council on Foreign Relations, 17 dicembre 2020.
Zoubir Y., Volman D., “International Dimension of the Western Sahara Conflict”, Foreign Affairs, settembre-dicembre 1993.
Zunes S., “Trump’s deal on Morocco’s Western Sahara annexation risks more global conflict”, The Washington Post, 15 dicembre 2020.
Editing a cura di Carolina Venco