Il 18 aprile 2019 il popolo algerino sarà chiamato alle urne. Il Paese, dal 1999 guidato da Bouteflika, è in cerca di una svolta dopo le contestazioni contro la politica di austerity voluta dal Governo. Gli umori del popolo fanno pensare a un possibile cambiamento. Purtroppo, come la storia della stessa Algeria insegna, l’ex colonia francese non è nuova a speranze deluse. Fin dall’indipendenza ottenuta nel 1962, gli algerini hanno affrontato conflitti interni, violenze religiose e gravi crisi socio-economiche.
Nell’attesa di scoprire il futuro dell’Algeria e nel tentativo di chiarirne il presente, non si può far altro che analizzare gli eventi che hanno caratterizzato il Paese negli ultimi 50 anni.
L’Algeria post indipendenza: il socialismo di Ben Bella e il colpo di stato di Boumedienne
Il 3 luglio 1962, la Francia di De Gaulle, dopo un estenuante trattativa con la controparte algerina, riconosce l’Algeria come Stato indipendente. In seguito a quasi 8 anni di guerra e mezzo milione di vittime, il Paese nordafricano ottiene la sovranità dopo 130 anni di dominazione straniera. La crisi interna che segue l’indipendenza rischia di mettere in ginocchio la giovanissima nazione. Il potere viene conteso dal governo provvisorio della Repubblica Algerina e dall’Armata Nazionale Popolare guidata da Boumedienne, entrambe fazioni affiliate al Fronte di Liberazione Nazionale. Il rischio di un conflitto armato si fa sempre più probabile, e nel settembre del ’62 vengono quindi indette le elezioni per l’Assemblea Costituente. Dalle urne esce vincitrice una figura fondamentale per la nascita della Repubblica algerina: Ahmed Ben Bella.
Militare, patriota e partigiano, Ben Bella è l’unica personalità in grado di mettere d’accordo esercito, popolo e politici. Autodefinitosi più volte nasseriano (socialista e panarabista), gode del rispetto dei politicanti e dell’amore della propria gente.
La politica adottata dal neo-presidente algerino si orienta fin da subito verso il socialismo statalista. Le riforme di Ben Bella puntano all’autogestione nel tentativo di ottenere il tempo necessario a riorganizzare l’apparato statale. In tutto il Paese, comitati di lavoratori vengono incaricati di rimettere in moto l’industria algerina, erede di stabilimenti e mezzi di produzione lasciati dai francesi. I primi anni di governo fanno ben sperare la popolazione algerina e i suoi lavoratori. Lavoratori che vedono nel socialismo di Ben Bella la possibilità di rimediare alle ingiustizie subito durante il colonialismo.
Purtroppo per gli algerini, la politica del presidente si ferma all’autogestione. Col passare degli anni, il governo di Ben Bella diviene sempre più autocratico e la sua persona sempre più eccentrica e arrogante. Così, nel 1965, nel tentativo di “raddrizzare la rivoluzione”, il generale Boumedienne mette in atto un colpo di stato arrestando Ben Bella.
La politica del generale rimane orientata sul completamento dell’opera iniziata dal suo predecessore: il rafforzamento della struttura economica socialista del Paese. Due dei momenti chiave del regime di Boumedienne sono la nazionalizzazione del settore petrolifero e la riforma costituzionale che rende l’Algeria ufficialmente socialista. Gli anni di Boumedienne al potere saranno caratterizzati da un’inaudita violenza e da diversi omicidi di stato come quelli di Khider e Belkacem, sostenitori di Ben Bella, uccisi dai servizi segreti durante il loro esilio in Europa. Lo stesso Ben Bella verrà arrestato e poi liberato solo nel 1980 dopo la morte di Boumedinne e la salita al potere di Chadlij Benjedid.
Il governo di Benjedid e la guerra civile
Nel dicembre del 1978, il generale Boumedienne muore. Due mesi dopo, sarà il “moderato” Benjedid a occupare la carica presidenziale in seguito a una vittoria schiacciante durante le elezioni (94% dei voti). La scarcerazione degli oppositori e la de-statalizzazione dei settori economici più dinamici fanno sperare il popolo algerino, che lo riconfermerà nell’84 e nell’88. Proprio nel 1988, in seguito al crollo del prezzo del greggio e alla successiva austerità imposta dal governo, studenti e lavoratori scendono in piazza. Da proteste a sfondo economico, le manifestazioni di dissenso si trasformano in violenti tafferugli e in richieste per una maggiore democratizzazione. La risposta del presidente non si fa attendere: diversi reparti dell’esercito vengono schierati nelle maggiori città e aprono il fuoco sulla folla. Mesi dopo, Benjedid è costretto a iniziare la transizione democratica che culminerà nelle elezioni del 1990, ennesimo capitolo buio della storia d’Algeria.
Le elezioni del 1990-1991, le prime multipartitiche, vedono l’ascesa di una nuova forza: il “Fronte Islamico di Salvezza” (FIS). Il partito religioso, determinato a fare dell’Algeria una Repubblica Islamica, raccoglie il 55% dei voti alle elezioni amministrative del 1990. Risultato quasi eguagliato l’anno successivo alle elezioni generali (47%). Nel 1992, con l’obiettivo d’impedire il processo di islamizzazione del Paese, l’Esercito sfiducia e depone Benjedid, dichiara nulle le elezioni degli anni passati e mette in atto un colpo di stato. La guida del Paese viene affidata a una giunta militare e i leader del partito islamico arrestati. Da questo momento, l’Algeria piomberà nuovamente in una situazione di stallo attraversando una guerra civile lunga 12 anni.
Gli attivisti islamisti del FIS sfuggiti agli arresti, si organizzano in vari gruppi paramilitari, tra cui il “Gruppo Islamico Armato” (GIA), dandosi alla guerriglia nelle zone montuose dell’entroterra. Dopo la trattativa per la tregua fallita nel 1994, il conflitto vedrà un’altra escalation di violenze. L’influenza sulla popolazione raggiunta dal GIA trasferirà gli scontri armati anche nelle periferie delle principali città. Con l’obiettivo di formare un califfato, centinaia di giovani verranno arruolati nella milizia islamista, che inizierà ad attaccare anche obiettivi civili oltre che militari. Nel 1994 inizia così la stagione di terrore, caratterizzata da attentati e assassinii ai danni di giornalisti, politici, attori, letterati e personalità straniere considerate infedeli.
Con l’ascesa ai vertici del GIA di Djamel Zitouni, il conflitto raggiungerà anche l’Europa. Infatti, stanco del supporto francese in favore dell’esercito regolare, Zitouni ordina il dirottamento dell’aereo di linea Air France 8969 con l’obiettivo di abbattere la Torre Eiffel nel corso di un attentato. L’intervento della gendarmeria francese evita il peggio, ma da quel momento in poi in Francia si registreranno diversi omicidi e attentati ai danni di personalità laiche algerine fuggite in Europa.
Le violenze perpetrate dal GIA negli anni successivi, con attacchi ai civili e il massacro di interi villaggi, allontaneranno il supporto della popolazione ormai in cerca solamente della pace.
L’Algeria dal 1999 al 2017: la fine della guerra e l’era di Bouteflika
Nell’aprile del ’99, con il 74% dei voti, viene eletto Bouteflika, considerato l’unico politico in grado di terminare la guerra civile. Così, il neo-Presidente propone una tregua unita all’amnistia per tutti i miliziani colpevoli di reati minori. Con una netta diminuzione delle forze armate islamiste, le truppe regolari riescono a condurre diverse operazioni vittoriose allontanando il GIA dalle aree metropolitane. Agli inizi del 2000, il GIA, ormai impossibilitato a combattere, si scioglie ufficialmente; rimarranno attivi solo diversi gruppi paramilitari minori, arresisi poi nel 2003.
La fine della guerra, annoverata tra i successi politici di Bouteflika, garantirà a quest’ultimo la conferma alle elezioni del 2004 con l’84% delle preferenze. Il 2004 verrà ricordato anche come l’anno de “La Carta per la Pace e la Riconciliazione Nazionale” voluta proprio dal presidente. Questo accordo vede l’annullamento dei processi ancora in corso a carico di ex miliziani ormai re-integrati. Si tratta di una nuova amnistia affiancata da un risarcimento governativo per chiunque abbia subito violenze o danni durante la guerra civile.
Con il 2004 si può definire conclusa sotto tutti i punti di vista la guerra civile algerina. Bouteflika userà però la popolarità guadagnata per instaurare un regime che lo vedrà come Capo di Stato e capo della principale emittente televisiva nazionale. Sarà proprio la scarsa libertà di stampa a dare inizio alla Primavera araba algerina del 2011, quando 2.000 manifestanti protestarono contro il governo e la scarsa libertà d’opinione. Proteste che si rinnoveranno anche nel 2017 , a causa delle misure di austerità promulgate dal governo nella speranza di fermare la recessione e la dura crisi che hanno colpito il Paese.
Le elezioni attese per il mese di aprile saranno le prime a dare l’opportunità di apportare un cambiamento al vertice del Paese, cosa che si augura gran parte degli algerini.
Fonti e approfondimenti:
Kaye D.D., More Freedom, Less Terror?: Liberalization and Political Violence in the Arab World, 2008, Rand Corporation.
Silverstein P.A., “An Excess of Truth: Violence, Conspiracy Theorizing and the Algerian Civil War”, Anthropological Quarterly Vol. 75, No. 4 (Autumn, 2002), pp. 643-674.
Stahl D., Correction: The Algerian Civil War: A Review Essay, Middle East Studies Association Bulletin Vol. 33, No. 1 (Summer 1999), p. 151.
New York Times, 94% of Algerians Back Benjedid as President, febbraio ’79. https://www.nytimes.com/1979/02/09/archives/94-of-algerians-back-benjedid-as-president.html
New York Times, Algerian election tests government, dicembre ’91. https://www.nytimes.com/1991/12/26/world/algerian-election-tests-government.html
The Guardian, Ahmed Ben Bella obituary, aprile 2012. https://www.theguardian.com/world/2012/apr/11/ahmed-ben-bella