Nel mese di febbraio è arrivata la notizia che Abdelaziz Bouteflika, attuale presidente dell’Algeria, si ricandiderà per il suo quinto mandato. La notizia, che era già stata anticipata a ottobre da un’indiscrezione, non ha sorpreso molto gli osservatori, i quali si aspettavano la mossa nonostante i problemi di salute che il presidente ha avuto negli ultimi anni.
La popolazione ha reagito male a questa decisione, con proteste e rivolte, nonostante il presidente abbia affermato in una lettera che, se dovesse vincere, proporrà una modifica costituzionale e nuove elezioni entro un anno.
Per capire a fondo il sistema di potere algerino, che da molti viene descritto come l’apparato meno trasparente al mondo, è utile analizzare la figura del suo presidente: capire chi è stato, cosa ha fatto, quali relazioni ha avuto nella sua vita ci potrà aiutare a leggere meglio la situazione del Paese.
Chi è Bouteflika?
Abdelaziz Bouteflika è nato in Marocco nel 1937, da madre e padre algerini emigrati nel periodo coloniale. La prima apparizione di Bouteflika è nella guerra d’indipendenza dal giogo coloniale francese, nonostante non sia ricordato esattamente per l’onore in battaglia. Infatti, iniziò il suo cursus honorum nelle milizie indipendentiste in esilio in Marocco, ma quando il leader Boumédiène gli assegnò due missioni in Tunisia e Mali, decise di disertare da ambedue per recarsi in Europa. La destinazione vera e i successivi rapporti garantiti da Bouteflika sono forse la spiegazione dietro alle successive grazie che il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) ha garantito al futuro presidente per ben due volte.
In questi viaggi, Abdelaziz costruì contatti, alleanze e rapporti con molti servizi segreti stranieri che gli permisero poi di sopravvivere alle varie insidie della vita politica algerina. Va ricordato che il presidente fa parte del potente clan Oujda, insieme per esempio a Boumédiène, e che il suo lavoro ha successivamente permesso a questo gruppo di mettere l’ipoteca sul potere politico con un colpo di Stato, in seguito alla fine della guerra d’indipendenza.
Proprio in questa fase cominciò a lavorare all’interno del governo algerino. Venne infatti nominato primo ministro allo Sport nel 1962 e, nell’anno successivo, divenne ministro degli Esteri. In questo ruolo riuscì a rinforzare ancora di più i rapporti costruiti negli anni della guerra civile e iniziò ad essere visto come un eroe anche dagli europei (a questo proposito si può ricordare l’episodio durante il quale trattò e ottenne la liberazione degli ostaggi dalla sede viennese dell’OPEC).
Bouteflika mantenne la carica fino al 1979, quando, con la morte di Boumédiène, si aspettava di prendere la presidenza; tuttavia l’esercito, in quel momento unico e solo mattatore nella politica algerina, decise di andare in un’altra direzione.
Il nuovo presidente Benjedid vedeva in Bouteflika un personaggio scomodo, data la sua grande rete di contatti in Algeria e all’estero, e trovò quindi un’accusa falsa per condannarlo e obbligarlo all’esilio. Questa situazione riportò Abdelaziz a riabbracciare i suoi vecchi contatti all’estero, aggiungendone di nuovi. Visse negli Emirati Arabi, in Francia e in Svizzera, ma nel 1989, viste le difficoltà del governo e alla vigilia della guerra civile degli anni ’90, ritornò in patria.
Mentre l’esercito e i ribelli islamisti combattevano una guerra sanguinaria, Bouteflika mantenne il suo solito profilo basso. Non prese parte ad alcun momento centrale del conflitto e nel 1994 rifiutò la carica di presidente offertagli dall’esercito. Ormai era diventato esperto in queste vicende e sapeva che le forze armate lo avevano scelto solo perché aveva ottimi rapporti con tutte le parti in lotta nonostante fosse un militare, un vantaggio che Bouteflika non voleva bruciarsi entrando in scena mentre in Algeria i massacri erano all’ordine del giorno.
Con lo scemare della guerra civile e la lenta vittoria, anche se in parte mutilata, del Fronte di Liberazione Nazionale e dell’esercito sui ribelli islamisti, Bouteflika capì che il suo momento era arrivato. Nel 1999 si presentò alle elezioni come candidato indipendente, sostenuto esternamente dai militari, e vinse con il 74% dei consensi. Il suo profilo risultò vincente per l’equidistanza che aveva mantenuto dalle forze in campo nella guerra civile e la sua capacità di mediare tra tutte le forze politiche, interne ed esterne al FLN.
Con questa grande capacità di gestione del panorama politico e la sua oculata lettura della volontà popolare algerina, Bouteflika è riuscito a costruire un potere stabile. Partendo da queste premesse, è riuscito a costruire una carriera al potre lunga quattro mandati.
Un equilibratore potente e populista
Bouteflika e il suo cerchio magico hanno quindi guidato il Paese mettendo d’accordo tutte le sfere di influenza che hanno un peso nel complesso sistema politico algerino. Proprio per questa ragione, molti lo definiscono il Breznev algerino: come l’ex segretario del PCUS sovietico, infatti, Bouteflika non è mai stato l’imperatore della propria nazione, ma ha sempre dovuto barcamenarsi tra varie posizioni.
Allo stesso tempo, l’elemento che lo ha reso il presidente indiscusso del Paese è stato il fatto che fosse l’unico personaggio in grado di mettere d’accordo tutti. Molti hanno tentato di prendere il suo posto, ma nella bilancia del potere algerino il presidente è sempre stato garantito dalle altre parti.
In una sola occasione Bouteflika è stato a rischio, ossia quando i servizi segreti militari cercarono, dopo anni di lavoro ventre a terra, di prendere il suo posto di equilibratore intorno alla fine degli anni ’90. L’attentato però fallì poiché la squadra di Bouteflika mobilitò la parte di esercito che non era stata contattata, i partiti e i miliziani islamisti, che, temendo un nuovo sistema di potere, preferirono tutelare Bouteflika piuttosto che rischiare di andare in un’altra direzione.
A questa grande capacità di gestire il potere si accompagna una gestione politica populista. Durante i suoi mandati Bouteflika ha usato spesso lo strumento del referendum in salsa plebiscitaria. Possiamo ricordare le tornate referendarie sui piani quinquennali economici, sul piano di pacificazione nazionale dopo la guerra civile (il cosiddetto modello sudafricano) e anche su questioni di politica estera.
Un esempio chiaro di tale modalità di governo si può vedere nel caso delle proteste delle primavere arabe in Algeria: in questo caso, il presidente, dopo aver soppresso alcune proteste, indicò come nemico i burocrati del Paese – di cui lui farebbe parte – e concesse aumenti salariali e rifornimenti extra di cibo. Questa strategia gli permise di sopravvivere a un’ondata che lo avrebbe fatto traballare pericolosamente.
La gerontocrazia algerina
Il presidente Bouteflika è riuscito dunque a mantenere il potere facendo il croupier nelle diatribe di potere e usando il bastone e la carota populista, ma a partire dal 2013 qualcosa è cambiato. Le condizioni di salute del presidente stanno limitando sempre di più le sue capacità. L’ulcera del 2013 e l’ictus del 2014 pare lo abbiano reso inabile a governare: le fonti parlano di un presidente allo stremo che riesce a lavorare solo pochi minuti al giorno.
Il tema che si pone è quello della successione, che non riesce a mettere d’accordo i vari centri di potere algerini e le potenze occidentali, le quali tengono d’occhio l’Algeria per le sue riserve di idrocarburi. Il fratello del presidente, Said Bouteflika, è stato per molto tempo il più papabile dei candidati fino all’estate 2018, quando ha perso molte delle sue prerogative governative per volontà dell’esercito. Questo, difatti, teme un suo possibile colpo di mano e non vuole che l’Algeria si trasformi, di fatto, in uno Stato dal potere ereditario. Di conseguenza, il gruppo vicino al presidente è costretto a tenerlo in vita il più possibile, politicamente e non, in modo da garantire stabilità.
In tutto ciò, la candidatura di Bouteflika è arrivata attraverso una lettera, e questi non si è presentato alla manifestazione dei candidati presso la Corte Costituzioanle. Alcuni osservatori sostengono che vi sia un rischio in stile Venezuela: il presidente sicuramente stravincerà le elezioni, ma non va escluso, viste le proteste di piazza, che sulla scia di Juan Guaidó qualcuno si auto-nomini leader dell’opposizione. Allo stesso tempo non si vede all’orizzonte una potenza straniera pronta a riconoscerlo; è però certo che in questo caso la guerra civile sarebbe una prospettiva molto concreta, alla luce delle proteste, soprattutto con un Bouteflika così indebolito nel corpo e con tutti i centri di potere algerini attenti a qualsiasi movimento.
Fonti e approfondimenti
Charlotte Bozonnet, “En Algérie, la machine pour la réélection d’Abdelaziz Bouteflika est lancée”, Le Monde, 17 febbraio 2019, https://www.lemonde.fr/international/article/2019/02/11/en-algerie-la-machine-est-lancee-pour-une-reelection-d-abdelaziz-bouteflika_5421892_3210.htm
Il Manifesto, “Bouteflika successore di se stesso”, 17 febbraio 019, https://ilmanifesto.it/algeria-bouteflika-successore-di-se-stesso-al-quinto-mandato/
Simon Speakman Cordall, “Will Algerian protesters accept ailing president’s offer for reforms?”, Al Monitor, 4 marzo 2019, https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/03/algeria-president-bouteflika-elections-protests.html
Simon Speakman Cordall, “Algerian gamble on old captain to chart new waters”, Al Monitor, 17 febbraio 2019, https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/02/algeria-president-bouteflika-elections-civil-war.html
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