Ricorda 1921: La fondazione del Partito comunista d’Italia

Fondazione del PCI
Riccardo Barelli - Remix Lo Spiegone - @FedericoITA - Wikimedia Commons - CC BY-SA 3.0

Nel gennaio del 1921, durante il XVII congresso del Partito socialista italiano (PSI), gli esponenti della corrente rivoluzionaria guidata da Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Amedeo Bordiga, lasciarono il teatro Goldoni di Livorno, dove si stava svolgendo la riunione, per proclamare la nascita del Partito comunista d’Italia nel vicino teatro San Marco. La scissione avvenne a seguito di alcuni eventi che avevano mutato radicalmente la visione della politica in Italia: la rivoluzione bolscevica del 1917, in particolare, provocò divergenze insanabili all’interno del Partito socialista. 

I 21 punti 

La causa della separazione venne attribuita al rifiuto del Partito socialista di accettare i 21 punti, ispirati dallo stesso Lenin, come requisito necessario per l’adesione all’Internazionale comunista (il Comintern). Le condizioni stabilite imponevano una serie di cambiamenti sostanziali ai partiti comunisti d’Europa, come l’espulsione di tutte le figure riformiste e centriste presenti nel partito. Il settimo punto citava alcuni dei diretti interessati tra cui Filippo Turati, uno dei fondatori del PSI e da sempre contrario al carattere violento della rivoluzione bolscevica: 

«L’Internazionale Comunista non può accettare che dei noti opportunisti, come Turati, Modigliani, Kautsky, Hilferding, Hilquit, Longuet, MacDonald e altri abbiano il diritto di apparire quali membri dell’Internazionale Comunista». 

Il PSI rifiutò di sottostare alle regole provenienti da Mosca. Parte della corrente massimalista si oppose all’espulsione di Turati — posizione, invece, sostenuta dall’ala più a sinistra del partito, quella comunista, che preferì, quindi, distaccarsi. I dirigenti del nuovo PCd’I applicarono alla lettera i 21 punti: il primo esponente del partito a essere allontanato, nel 1929, fu proprio uno dei fondatori, Angelo Tasca, accusato di sostenere posizioni troppo antistaliniste. 

Durante il periodo fascista 

La scissione dal PSI, primo partito d’Italia, provocò un indebolimento del fronte politico di sinistra, permettendo prima ai Fasci italiani di combattimento e poi al Partito nazionale fascista di raccogliere sempre più consensi. Il Paese usciva infatti dal biennio rosso (1919-1920), periodo in cui si verificarono numerose mobilitazioni operaie e contadine sulla scia della rivoluzione russa del 1917. I violenti tentativi di bolscevizzazione dei movimenti operai tuttavia ebbero l’effetto di spaventare la popolazione e finirono per rafforzare la posizione di Mussolini, che di lì a poco avrebbe dato vita al regime con la marcia su Roma del 1922. 

Il PCd’I si concentrò sulla sfida politica con il PSI senza individuare nelle camicie nere un reale problema. Nel 1926 il Duce soppresse tutte le formazioni politiche e il Partito comunista fu costretto a riorganizzarsi clandestinamente con molti dei propri esponenti emigrati in Francia o nell’URSS. Dopo l’arresto di Gramsci condannato al confino nel paese siciliano di Ustica, Togliatti, succedutogli come leader, portò avanti una linea più filostalinista nel partito. 

Dalla nascita della Repubblica all’eurocomunismo di Enrico Berlinguer 

Nel 1943 il Partito Comunista d’Italia, diventato Partito comunista italiano (PCI), entrò a far parte del Comitato di liberazione nazionale e con la “svolta di Salerno”, voluta in primo luogo da Stalin, Togliatti aprì alla possibilità di formare un governo con tutte le componenti antifasciste, compresa la monarchia. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la successiva nascita della Repubblica italiana nel 1946, il PCI venne allontanato da ogni incarico istituzionale a causa dell’inizio della guerra fredda. Il timore di un’infiltrazione sovietica negli affari interni espresso dalle frange più moderate del Parlamento, in particolare della Democrazia Cristiana (DC), infatti, esclusero il PCI dalla guida di un governo per tutto l’arco della sua storia, fino alla dissoluzione nel 1991. 

Dopo Togliatti e Luigi Longo, nel 1972 il Congresso XIII del partito elegge Enrico Berlinguer, una figura storica per il comunismo italiano, che riuscì a portare il partito all’apice dei consensi (34,4%) alle elezioni parlamentari del 1976. L’eurocomunismo di Berlinguer, un’ideologia politica che coniugava il marxismo a un socialismo più moderato, aveva avvicinato molte persone al PCI perché si discostava in modo netto dalla linea di Mosca. Durante gli anni Settanta fu proprio Berlinguer a lanciare il cosiddetto compromesso storico, che consisteva in un riavvicinamento alla DC con l’obiettivo di porre fine al periodo di tensione politica e sociale che l’Italia stava vivendo. La proposta permise al PCI di entrare per la prima volta nella maggioranza di governo, nel 1978, senza tuttavia avere nessun ministero. Il sostegno all’esecutivo di Giulio Andreotti venne presto a mancare a causa dell’impossibilità di incidere sulle decisioni governative, una decisione che di fatto segnò la fine del compromesso. La scomparsa di Berlinguer, avvenuta durante un comizio a Padova nel 1984, fu talmente sentita che il PCI ottenne più voti della DC alle elezioni europee (33,33% contro 32,97%) dello stesso anno.

La dissoluzione 

Gli anni Ottanta non furono facili per il Partito comunista, che, oltre alla morte del proprio segretario, dovette affrontare la sconfitta al referendum sulla “scala mobile” (si trattava di un meccanismo economico volto ad aggiustare i salari sulla base della variazione del costo della vita), mentre Bettino Craxi (PSI) otteneva la carica di Primo ministro. Gli avvenimenti internazionali furono motivo di riflessione per i dirigenti comunisti. Nell’URSS, Mikhail Gorbaciov aveva intrapreso un percorso di riforme per l’Unione sovietica che influì sui discorsi per il rinnovamento del PCI. Il segretario di partito negli anni Novanta era Achille Occhetto, che provò a instaurare le basi per un cambio di rotta, specialmente dopo la caduta del muro di Berlino, valutando anche la possibilità di un ricongiungimento con il PSI. 

All’interno del Comitato centrale di Roma il dibattito proseguì e si fece spazio l’idea della creazione di un nuovo partito. Nel 1991 la proposta si concretizzò nel Comitato di Rimini quando il Partito comunista italiano venne sciolto definitivamente dando vita al Partito democratico della sinistra, di cui Occhetto venne eletto segretario. Nel 1992 l’inchiesta di Tangentopoli fece luce sul sistema di finanziamenti illeciti che i partiti avevano messo in piedi scuotendo il Paese intero. Le indagini del pool di “mani pulite” causarono la fine dei principali schieramenti, tra cui la DC e il Partito socialista, e di conseguenza l’epilogo della prima Repubblica. Il PDS, formato dai vecchi componenti del PCI, fu certamente meno colpito dalla magistratura: nessun dirigente delle alte sfere venne mai condannato, e per questo il partito fu oggetto di molte critiche che ancora oggi resistono. 

 

 

Fonti e approfondimenti 

Il Post, La scissione da cui nacque il Partito Comunista, gennaio 2021.

Il Post, la fine del PCI, 25 anni fa, febbraio 2016.

Enrico berlinguer – Un comunista italiano, La vita di Enrico Berlinguer.

 

 

Editing a cura di Beatrice Cupitò

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