Il modello sviluppato dalla Nuova Zelanda per regolamentare il lavoro sessuale è tra i più progressisti al mondo. Con l’approvazione della Riforma sulla Prostituzione (PRA) del 2003, Wellington ha iniziato un percorso di decriminalizzazione che l’ha resa, a oggi, uno dei punti di riferimento principali per gruppi femministi e attivisti pro sex work.
Ogni cittadina e cittadino neozelandese maggiore di 18 anni può intraprendere la carriera di sex worker legalmente. Si possono offrire servizi sessuali sia in locali specializzati che in strada. Tuttavia, rimane illegale l’esercizio della professione per chi è in Nuova Zelanda con un visto temporaneo, oltre al divieto di pubblicizzare servizi sessuali.
Il percorso che ha portato all’approvazione della riforma
Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo, in Nuova Zelanda vigevano il Vagrancy Act e il Contagious Diseases Acts, entrambi basati su leggi presenti nel Regno Unito.
Il collettivo riconosciuto come Women’s Christian Temperance Union New Zealand, la più antica organizzazione di donne ancora attiva a livello nazionale, fondata nel 1885, combattè strenuamente soprattutto per l’abrogazione del Contagious Diseases Act. Vennero portate numerose prove ai tribunali per dimostrare come quella legge proteggesse i predatori sessuali, lasciando donne e ragazze di ogni classe sociale vulnerabili a qualsiasi violenza. Ad esempio, in base a essa, le persone sospettate di praticare sex work potevano essere ispezionate con la forza per le malattie veneree e rinchiuse per un trattamento obbligatorio.
Infatti, in questo periodo la credenza diffusa, anche nei report ufficiali, era quella che le donne rappresentassero un veicolo per la diffusione di malattie veneree.
Nel dopoguerra, il focus venne spostato sulla “promiscuità”, di cui la prostituzione era considerata una manifestazione estrema. Questa mentalità diffusa e la visione negativa della donna e della sua sessualità sono stati moventi fondamentali della storia dell’attivismo femminista neozelandese.
Sotto la spinta del movimento femminista, nel 1978 il percorso della decriminalizzazione della prostituzione prese il via con il Massage Parlours Act, che “legalizzò” la prostituzione al chiuso sotto la facciata di centri massaggi.
Solo vent’anni più tardi cominciò la discussione che avrebbe portato all’approvazione del Prostitution Reform Act, quando in un Forum delle donne a Wellington nacque un gruppo di lavoro per redigere una proposta di legge.
Con il ritorno dei laburisti al governo nel 1999, Tim Barnett, membro del Parlamento fino al 2008, si assunse la responsabilità di introdurre il disegno di legge per la decriminalizzazione della prostituzione. Una sensibilità dimostrata già nel cambiamento normativo del 2000, quando vennero previste nuove tutele per i sex-workers minorenni, fino ad allora criminalizzati alla pari di clienti e operatori.
Durante i dibattiti parlamentari e le commissioni, il sostegno arrivò da gruppi a favore dei diritti delle donne, dei diritti umani e della salute pubblica. La polizia rimase neutrale. I gruppi femministi e cristiani erano divisi sul tema, mentre i gruppi religiosi fondamentalisti, tra cui Right to Life, si opposero.
Il Prostitution Reform Act è stato approvato in terza lettura il 25 giugno 2003. La legge è passata di stretta misura: su 120 membri del parlamento, 60 hanno votato a favore, 59 contro, e un politico, il laburista Ashraf Choudhary, si è astenuto. Il risultato è stato una sorpresa, dato che la maggior parte dei commentatori si aspettava che la legge fallisse. Un appassionato discorso al parlamento da parte di Georgina Beyer, una donna transgender ed ex sex-worker, è stato ritenuto da molti decisivo per convincere diversi parlamentari esitanti, compreso forse Choudhary, cambiando i loro voti all’ultimo minuto.
La legge ha sostituito la legislazione precedente, portando anche all’abrogazione del Massage Parlours Act, eliminando in gran parte la prostituzione volontaria degli adulti dal diritto penale per inquadrarla nel diritto civile sia a livello nazionale che locale.
La decriminalizzazione a confronto con gli altri modelli legislativi nel mondo
Il modello neozelandese viene spesso presentato come l’alternativa al cosiddetto modello svedese, attivo anche in Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Canada, Francia, Corea del Sud, Irlanda e Israele. Questo modello sostiene la criminalizzazione come unica via per abolire la prostituzione. Si tratta di un sistema che pone l’attenzione sulla domanda, piuttosto che sull’offerta: l’assunto è che se si elimina la domanda, allora la prostituzione (e, di conseguenza, anche la tratta per lo sfruttamento sessuale) cesserà di esistere.
La teoria femminista alla base di questa idea sostiene che nella stragrande maggioranza dei casi la prostituzione non sia una scelta cosciente e calcolata. Il sex-work deriverebbe sempre da uno squilibrio di potere, di solito in una dinamica uomo-donna; non trattandosi mai di una decisione indipendente (perché necessariamente influenzata da condizioni di povertà, mancanza di opportunità o gravi problemi di fondo) ma piuttosto sempre e solo di sfruttamento, la prostituzione andrebbe quindi eliminata alla radice.
Il modello neozelandese, invece, parte da basi completamente diverse: il lavoro sessuale è riconosciuto come legittimo dalle istituzioni, e le persone che praticano sex work sono tutelate come lavoratrici qualsiasi.
A differenza del femminismo anti-prostituzione, le teorie alla base del sistema neozelandese considerano il sex-work come una potenziale esperienza positiva per le donne che prendono la decisione consapevole d’impegnarsi nel suo esercizio. All’interno di questa prospettiva, la prostituzione, insieme ad altre forme di lavoro sessuale, possono essere una valida scelta per le donne e gli uomini che se ne occupano.
Molte femministe sostengono che l’atto di vendita del sesso non debba essere intrinsecamente sfruttabile, mentre i tentativi di abolire la prostituzione portino sempre a un clima abusivo per i lavoratori del sesso.
A Wellington, quindi, vige un controllo su datori di lavoro e dipendenti per esercitare e promuovere pratiche sessuali sicure. Per i e le sex worker, è possibile rifiutare un cliente per qualsiasi motivo, così come chiamare le forze dell’ordine se vi sono dei problemi di alcun tipo legati alla clientela, ad esempio se il cliente si dimostra aggressivo o pericoloso.
Un altro approccio al lavoro sessuale è il modello regolazionista, adottato in Germania, Austria e Paesi Bassi. Questo punta alla legalizzazione del lavoro sessuale attraverso l’emanazione di leggi specifiche che ne consentono lo svolgimento in determinati luoghi, momenti e modalità.
La legalizzazione solo parziale del sex work, e il mancato focus sui diritti umani dei sex-worker, potrebbe portare però a uno sfruttamento specialmente negli ambienti che sfuggono al controllo statale. Secondo un’inchiesta di Spiegel e un articolo di Deutsche Welle, nei Paesi dove vige il modello regolazionista le condizioni di vita dei lavoratori sessuali non sono sempre buone.
Ad esempio, un buon numero di sex worker straniere sarebbe arrivato in Germania contro la propria volontà: si tratta spesso di giovani donne che arrivano da Paesi più poveri, come la Romania e la Bulgaria, e che rischiano di ritrovarsi in bordelli a tariffa forfettaria, che adottano un sistema simile a quello dei ristoranti all-you-can-eat, in barba ai diritti umani dei sex-workers.
La differenza fra l’approccio regolazionista e la PRA neozelandese non è quindi solo terminologica, ma sostanziale: nel caso della PRA, si è assistito all’abrogazione di tutte le leggi penali che non proteggono le sex worker, il cui lavoro è ora regolato solo dalla legge ordinaria, come ogni altra attività.
Come funziona la Riforma sulla Prostituzione
La Riforma sulla prostituzione del 2003 disciplina il lavoro sessuale imponendo le seguenti regole: qualunque operatore o operatrice in possesso di un esercizio dove si vende lavoro sessuale deve richiedere un permesso da parte delle autorità. Tuttavia, esistono delle eccezioni a seconda dei casi. Ad esempio, i cosiddetti small owner operated brothels, esercizi in cui lavorano al massimo quattro persone in un ruolo paritario, non necessitano di alcun permesso.
La richiesta per aprire un esercizio sessuale deve essere inoltrata ai tribunali regionali attraverso un processo che prevede la redazione di una scheda da compilare con informazioni standard e non invasive. Gli unici casi in cui un tribunale può respingere una richiesta riguardano la persona operatrice: se è minorenne, oppure se ha precedenti penali per reati maggiori (di solito reati contro la persona).
Secondo un report del 2007 pubblicato dall’Università di Otago, a quattro anni dall’approvazione della PRA, il 90% delle persone sex worker riteneva che la Riforma avesse dato loro maggiori tutele a livello di salute e sicurezza, oltre che diritti legali. Inoltre, il 57% aveva notato un cambiamento positivo nell’atteggiamento delle forze dell’ordine nei loro confronti e il 64% trovava più facile rifiutare clienti in sicurezza.
Il rispetto delle regole della PRA a tutela della sicurezza sul posto di lavoro e della salute viene monitorato dall’Aotearoa New Zealand Sex Workers’ Collective, un’organizzazione fondata nel 1987 da Catherine Healy, attivista per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali. Il collettivo riceve fondi dal ministero della Salute per i suoi servizi, ed è attivo in varie città della Nuova Zelanda.
Attualmente, un tema importante è la discriminazione subita dai sex workers immigrati, dal momento che a oggi la PRA non considera l’esercizio della prostituzione da parte dei non-cittadini neozelandesi: sono state condotte interviste a lavoratrici e lavoratori immigrati rispetto alle difficoltà da loro incontrate, oltre a vari studi che dimostrano che la legalizzazione del lavoro sessuale anche per i non-cittadini andrebbe a vantaggio di tutti.
Fonti e approfondimenti
Abel G., Fitzgerald, L., Bruton C. (2007). The Impact of the Prostitution Reform Act on the Health and Safety Practices of Sex Workers, Report to the Prostitution Law Review Committee – University of Otago.
Crichton F, “Decriminalising sex work in New Zealand: its history and impact”, Opendmocracy, 2015
Douglas, E. (2021). Sex workers speak out against German prostitution law, DW.
Editing a cura di Emanuele Monterotti