Una delle tre priorità del G20 a guida italiana era il “Pianeta”, assieme a “People” e “Prosperity”. Il tema ambientale è stato posto da Roma in cima all’agenda del Gruppo con una centralità quasi senza precedenti. Tale decisione probabilmente è stata inevitabile, data la concomitanza della presidenza italiana con la co-presidenza, assieme al Regno Unito, della COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima.
A un mese dal vertice di Roma, con cui si è conclusa la prima presidenza italiana del G20 nella storia, è tempo di bilanci, che purtroppo sono solo parzialmente positivi.
Il G20 e l’ambiente: una storia breve
La presenza del tema dell’ambiente nell’agenda del G20 è recente. È stato, infatti, assente per i primi dieci anni – quando il Gruppo dei grandi Paesi industrializzati si limitava a essere un forum di discussione per i ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali dei 20 Paesi membri. L’ambiente ha, dunque, iniziato a essere menzionato solo successivamente, a partire dal 2009.
Nei primi comunicati finali, i leader G20 affermavano la necessità di azioni per contrastare il cambiamento climatico. Tuttavia, nel 2011, durante i negoziati per l’estensione del protocollo di Kyoto – primo documento effettivamente vincolante per le riduzioni delle emissioni inquinanti in ambito internazionale – i leader del G20 rimasero silenti rispetto alle conclusioni del protocollo, perdendo l’occasione di acquisire rilevanza in un ambito sempre più centrale nel contesto globale. In quel caso, il Gruppo non si pronunciò per via dell’opposizione di tre membri: Canada, Giappone e Russia. Il riscatto avvenne quattro anni dopo, durante i negoziati che avrebbero portato all’accordo di Parigi del 2015: un endorsement significativo nonostante le differenze di visione all’interno del Gruppo. Poco dopo, durante la presidenza Trump, gli Stati Uniti si ritirarono dall’accordo. In tutta risposta, nel 2017 ad Amburgo, il G20 a presidenza tedesca presentò il G20 Hamburg action plan, un documento in cui venivano delineati comuni obiettivi di principio per favorire la transizione ecologica: tra questi, venne riaffermata la volontà di interrompere i sussidi ai combustibili fossili inefficienti. Inoltre, l’accordo di Parigi venne definito “irreversibile”. Gli Stati Uniti si astennero dall’adottare l’Action plan, dato che intendevano uscire dall’accordo di Parigi, a cui l’Action plan era legato. Questo documento aveva rappresentato finora l’apice della politica climatica in seno al G20. La presidenza italiana è riuscita a fare di più?
Le conclusioni del G20 italiano
Analizzando il comunicato finale dei leader G20, le promesse dei Paesi membri sono meno ambiziose rispetto a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi ambientali internazionali, sebbene le aspettative non fossero ingenti. Infatti, secondo uno studio del Climate action tracker, se tutti i Paesi G20 facessero fede ai propri impegni, la temperatura mondiale salirebbe comunque tra 1,8°C e 2,4°C, ben al di là degli obiettivi dell’accordo di Parigi di mantenere l’innalzamento della temperatura tra 1,5°C e 2°C.
Ma quali sono i principali risultati del G20 italiano sul tema del cambiamento climatico?
Nel 2009, le economie avanzate promisero di donare 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi in via di sviluppo entro il 2020 per far fronte alla transizione ecologica e per promuovere lo sviluppo sostenibile, istituendo il cosiddetto Fondo per il clima, anche noto come Green climate fund (“Fondo verde per il clima”). Finora, sono stati mobilitati solamente tra i 70 e gli 80 miliardi di dollari. Per questo motivo, è stato trovato un accordo in sede G20 per posticipare al 2025 il raggiungimento dell’originaria cifra concordata.
Un risultato significativo, sebbene possa risultare puramente istituzionale, è la conversione del Gruppo di studio per la finanza sostenibile (Sustainable finance study group – SFSG) in Gruppo di lavoro per la finanza sostenibile (Sustainable finance working group – SFWG). Il primo, il SFSG, venne creato durante la presidenza cinese del 2016, ma abbandonato due anni dopo. Quest’anno, l’Italia ha voluto recuperare questo gruppo di studio, il cui fine è la redazione di analisi e report per i rappresentanti del “Finance track”, il filone del G20 composto dai ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali. Non solo: con la presidenza italiana, il SFSG è diventato un cosiddetto “Gruppo di lavoro”. Tale cambiamento non è di poca rilevanza per la realizzazione dei progetti futuri. Se da una parte un “Gruppo studio” coinvolge esperti, accademici e ricercatori di un determinato ambito e che lavora per i rappresentanti politici e istituzionali; dall’altra un “Gruppo di lavoro” coinvolge attivamente i rappresentanti dei Paesi membri. In questo modo, i membri del G20 sono chiamati a una maggiore partecipazione sul tema della finanza sostenibile. Il SFWG ha pubblicato un’agenda per i prossimi anni con scadenze e obiettivi in tema di “finanza verde”.
Il G20 italiano è riuscito anche a ottenere la promessa di maggiore impegno dalle banche multilaterali di sviluppo nel finanziare la transizione verde nei Paesi più poveri. In altre parole: Banca Mondiale, Banca africana di sviluppo e altre istituzioni finanziarie internazionali mobiliteranno finanziamenti – anche attraverso la creazione di fondi ad hoc – per i Paesi già schiacciati dal debito che devono affrontare contemporaneamente la crisi pandemica e quella climatica.
Non è stato raggiunto alcun accordo sulla chiusura, graduale, di centri di produzione di carbone. Su questo, un’intesa è stata trovata in sede COP26, dove si è però ridimensionato il peso della decisione prevedendo la “riduzione” dell’uso del carbone invece della totale “fuoriuscita”. Nell’ambito del G20, si è verificata un’assenza di consenso tra i Paesi riguardo il raggiungimento della neutralità climatica. Tali divergenze sono state confermate nella successiva COP26 dove tutte le principali economie hanno dichiarato le proprie scadenze: Unione europea e Stati Uniti 2050, Cina 2060, India 2070.
Formale, ma comunque rilevante, è l’impegno a mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C (senza identificare una scadenza). Questo dato rispecchia l’obiettivo più ambizioso degli accordi di Parigi. Infine, i leader si sono accordati per porre fine ai finanziamenti pubblici internazionali alle centrali alimentate a carbone entro la fine del 2021. Dal 2022, quindi, i membri del G20 non finanzieranno più – con fondi pubblici – gli impianti di produzione di carbone in Paesi terzi.
Un bilancio
Il G20 poteva essere maggiormente ambizioso sugli obiettivi ambientali. Tuttavia, non va dimenticato che è un forum informale di discussione di temi principalmente finanziari. Non a caso dal Finance track sono giunti gli obiettivi più ambiziosi e i risultati più concreti. Nonostante quanto premesso, sarebbe un errore definire un fallimento quanto raggiunto dalla presidenza italiana, perché un traguardo rilevante è stato il fatto di rendere la sostenibilità un tema centrale nei lavori del Gruppo. Inoltre, il G20 raduna sia economie avanzate sia Paesi in via di sviluppo, che hanno necessità differenti e soprattutto attribuiscono un peso diverso alla questione climatica. Quanto concluso dal G20 italiano, dunque, va visto con il maggior ottimismo possibile.
Fonti e approfondimenti
“Canada pulls out of Kyoto protocol”, The Guardian, 13 dicembre 2011.
“G20 Hamburg Action Plan”, 8 luglio 2017.
“G20 Rome Leaders’ Declaration”, 31 ottobre 2021.
Shaw, Z. “G20 Leaders’ Conclusions on Climate Change, 2008-2010”, G20 Research Group, 15 febbraio 2011.
Editing a cura di Carolina Venco
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