Praxis: La risposta della Tanzania all’inquinamento da plastica

Praxis
Copertina a cura di @side_book

Il surriscaldamento globale, l’inquinamento causato dalla produzione di plastica, l’estinzione di centinaia di specie animali: la lotta ai cambiamenti climatici è senza dubbio la sfida di quest’epoca… Mentre governi occidentali e organizzazioni internazionali lanciano l’allarme e propongono piani d’azione ambiziosi, i Paesi in via di sviluppo e le grandi aziende si rifiutano di accettare la transizione energetica per paura delle perdite economiche e cercano modi per mascherare l’aumento di produzione di plastica, estremamente redditizia. 

Cercando di combattere contro l’immaginario comune, che vede gli Stati dell’Africa e dell’Asia come le discariche del mondo occidentale, molti governi africani hanno adottato leggi per la tutela dell’ambiente e la riduzione della produzione e dell’utilizzo della plastica. Alcuni hanno introdotto dei veri e propri divieti sull’introduzione delle buste di plastica sul loro territorio. Come la Tanzania e il plastic ban imposto dal governo nel 2019. 

Un plastic ban per proteggere salute e ambiente in Tanzania 

Per far fronte alla minaccia dell’inquinamento da plastica, molti governi africani hanno introdotto divieti e restrizioni sull’utilizzo e la produzione di prodotti di plastica o materiali che ne derivano. Nel continente, lo smaltimento di questo materiale è estremamente difficile: mancano le infrastrutture adatte e anche la cultura del riciclo. Camminando per le strade delle grandi città o dei villaggi della Tanzania salta subito agli occhi la quantità di rifiuti, specialmente plastica, accumulata ai lati delle abitazioni e nei pressi dei mercati. Salta al naso, invece, l’odore penetrante della plastica bruciata in forni rudimentali, unico mezzo per liberarsi delle tonnellate di spazzatura che non può essere riutilizzata o trasformata in concime. 

Quando, a inizio 2019, il ministro per l’Energia January Makamba annunciava di voler introdurre divieti sulla produzione di buste di plastica, il problema dell’inquinamento in tutta la Tanzania era quasi incontrollabile. Si stimava che almeno trecentocinquantamila tonnellate di rifiuti di plastica venissero prodotti annualmente in tutto il Paese, e che buona parte di questi fossero proprio le classiche buste per la spesa. Con questi dati alla mano il governo, allora guidato dal presidente John Magufuli, ha approvato la proposta di Makamba di proibire l’utilizzo, la vendita e l’introduzione nel Paese di sacchetti di plastica monouso a partire dal 1 giugno del 2019. La Tanzania è diventata così il trentatreesimo Stato africano ad avere un divieto ufficiale per l’uso della plastica, seppur limitato alle buste. 

A due anni e mezzo dalla sua emanazione, è presto per valutare gli effetti del plastic ban. Non sono ancora disponibili dati ufficiali del governo, che sicuramente ha avuto molto a cui pensare a causa dell’inizio della pandemia da Covid-19 e dell’improvvisa morte di Magufuli lo scorso 17 marzo, che ha scosso profondamente l’opinione pubblica nazionale. Il presidente era infatti molto amato dalla popolazione: basti pensare alla reazione positiva ad alcune sue foto mentre faceva spese nel grande mercato di Dar es Salaam usando un cestino di paglia per sdoganare l’immagine degli uomini che fanno la spesa senza buste di plastica. L’attuale presidente, Samia Suluhu, non ha ancora dimostrato la stessa sensibilità del suo predecessore per queste tematiche, ma non ha ritirato né modificato il divieto. 

Questo lascia ben sperare, ma è ancora solo una goccia nel mare. La vera speranza è che altri materiali derivati dalla plastica, così come molti oggetti di uso comune, vengano eliminati o sostituiti gradualmente, perché il loro smaltimento è estremamente dannoso per l’ambiente e per la salute delle persone. 

La plastica, l’oro indistruttibile delle multinazionali 

Un mese fa si chiudeva COP26 con l’adozione del Patto sul clima di Glasgow, dal nome della città che ha ospitato la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il testo del Patto, frutto di una settimana di negoziazioni molto complesse, contiene per la prima volta un riferimento diretto ai combustibili fossili e alla necessità di ridurli se si vuole rispettare il limite di 1,5° C per il riscaldamento globale sancito dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015.

Il riferimento alla necessità di “ridurre gradualmente” i sussidi da parte della politica all’utilizzo e alla produzione di combustibili fossili è stato però una magra consolazione per i negoziatori di COP26. Molti dei leader che hanno preso parte alla conferenza (soprattutto quelli delle potenze emergenti come Cina e India) si sono rifiutati di firmare un testo che riportasse il termine “eliminare” invece che “ridurre”, rendendo la formulazione molto più vaga e controversa e spostando ancora nel tempo il momento in cui l’azione contro i cambiamenti climatici diventerà la sola priorità della politica nazionale e internazionale. 

Pur se minimo, il risultato del tavolo di confronto di Glasgow ha comunque portato a una riduzione della domanda di combustibili fossili, inversamente proporzionale all’aumento della consapevolezza e della rabbia dell’opinione pubblica mondiale. Ma se si riducono le emissioni, allora, come si può continuare a guadagnare? I giganti della petrolchimica e le aziende petrolifere come Exxon Mobil, BP ed Eni sanno che l’alternativa è una, la plastica: ogni anno guadagnano circa quattrocento miliardi di dollari producendola, e tutto il settore si sta impegnando per convincere gli azionisti che il futuro è proprio nella produzione di plastica. Stando a una recente ricerca di Greenpeace Italia, nei prossimi anni potremmo assistere a un aumento della domanda di petrolio proprio a causa della crescente richiesta di prodotti in plastica, in particolare monouso, la più insidiosa e pericolosa per l’ambiente.

Inoltre, l’aumento della produzione di plastica rischia di far crescere le esportazioni di rifiuti da smaltire verso i Paesi più poveri. Come accade spesso, i Paesi occidentali si sbarazzano dei residui dei loro affari da miliardi di dollari a spese delle nazioni in via di sviluppo, e ora che la Cina ha imposto delle restrizioni sulle importazioni dei rifiuti dal resto del mondo, l’occhio delle multinazionali e dei governi di Europa e Stati Uniti è soprattutto puntato sull’Africa. Molti Stati del continente, però, consapevoli ormai dell’ingiustizia di questo sistema, hanno iniziato a implementare politiche ecologiche per far fronte all’enorme quantità di rifiuti che ogni anno non riescono a smaltire. 

 

 

Fonti e approfondimenti 

Barbiroglio, Emanuela, “Il Patto sul clima di Glasgow: ‘La COP26 non ha dimostrato ai giovani che avevano torto, ma ha reso le loro ragioni l’unica bussola possibile’, Valigia Blu, 15/11/2021.

Levantesi, Stella, “Il rinascimento della plastica aggrava la crisi climatica, Internazionale, 30/07/2021. 

Greenpeace Italia. 2021. L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica.

 

 

Editing a cura di Niki Figus

Copertina di Simone d’Ercole

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