Ad Haiti, per descrivere il fenomeno della migrazione verso la vicina Repubblica Dominicana, si usa il detto in lingua creola: “Kouri pou lapli, tonbe nan larivyè”, ovvero “fuggire dalla pioggia per cadere nel fiume”.
Sono molti i fattori che spingono la popolazione ad abbandonare Haiti, i principali riguardano la difficile situazione politica, aggravata dal recente omicidio del presidente Moïse, e il primato di Stato più povero dell’area latinoamericana.
Il Rapporto sulle migrazioni nel mondo delle Nazioni Unite del 2020 ha individuato come mete principali di questa migrazione gli Stati Uniti (46,48%), la Repubblica Dominicana (30,97%) e il Canada (6,28%).
Secondo questo documento, inoltre, Haiti è la principale origine di migranti irregolari diretti verso altri Paesi dell’area dei Caraibi.
La Repubblica Dominicana assume un ruolo chiave in questo fenomeno migratorio: essa, infatti, occupa i due terzi dell’isola di Hispaniola (l’area orientale e centrale), mentre Haiti si estende sul restante terzo (la parte occidentale). Per questo motivo la Repubblica Dominicana è, nella maggior parte dei casi, la prima tappa del percorso.
Questo fattore ha determinato forti tensioni tra i dominicani e i migranti, riconducibili a un sentimento antihaitiano saldamente radicato nella storia del Paese.
Le radici della discriminazione
Nel 1803, dopo aver sconfitto gli eserciti spagnolo, francese e inglese, Haiti si dichiarò indipendente, diventando la prima repubblica nera della storia.
Questo evento non venne accolto positivamente nella parte dominicana dell’isola, sia perché si temeva che Haiti potesse espandere il proprio controllo del territorio, minacciando l’autonomia dello Stato confinante, sia perché la nuova repubblica rappresentava, agli occhi dei dominicani, una minaccia per gli ideali della civiltà occidentale.
Nella società dominicana iniziò ad affermarsi l’idea che vi fosse una profonda differenza di origine tra i dominicani e la popolazione haitiana, credenza che portava i primi a considerarsi membri di una razza superiore.
I dominicani si identificavano come discendenti delle élite europee (bianche, cattoliche e di cultura europeo/ iberica), mentre gli haitiani erano visti come gli unici discendenti degli schiavi africani (quindi neri, di religione animista e di cultura africana).
L’occupazione della parte dominicana dell’isola da parte delle forze militari haitiane, nel periodo tra il 1822 e il 1844, fu il pretesto per il rafforzamento di questa mentalità discriminatoria. In quel periodo prese piede il mito del dominicano indio, secondo il quale i dominicani erano i discendenti degli indiani taino, che avevano abitato l’isola prima della conquista spagnola. Questa narrazione, completamente priva di fondamento – i Taino furono sterminati poco dopo l’arrivo degli europei – era espressione dello stigma associato alle persone afrodiscendenti.
Era considerato preferibile, infatti, ricondurre le origini del popolo dominicano alle popolazioni native, che pure erano meno privilegiate dei bianchi, piuttosto che ammettere di essere discendenti degli schiavi deportati dal continente africano.
Una migrazione economica
A inizio Novecento, l’antagonismo creatosi tra i Paesi che occupavano il suolo dell’isola di Hispaniola favorì gli interessi economici e politici degli Stati Uniti, che occuparono l’isola, nel 1915, con il pretesto di reprimere la criminalità e il banditismo.
Durante l’occupazione, gli Stati Uniti effettuarono grandi investimenti nel settore agricolo. Di conseguenza, i terreni coltivabili vennero concentrati nelle mani di pochi grandi proprietari, tagliando fuori dal mercato i contadini che operavano un’agricoltura di sussistenza.
Ad Haiti nacque una guerriglia armata per contrastare questo fenomeno, mentre in Repubblica Dominicana molti contadini, per le stesse ragioni, emigrarono alla ricerca di lavoro, determinando una diminuzione della manodopera disponibile.
Per rimediare alla carenza di lavoratori nelle piantagioni dominicane (soprattutto di canna da zucchero) e contemporaneamente indebolire la lotta armata ad Haiti, gli Stati Uniti incentivarono la migrazione di braccianti agricoli provenienti dalle aree rurali haitiane in Repubblica Dominicana.
L’arrivo di un intenso flusso di immigrati che occuparono posti di lavoro, stimolò l’insofferenza nei loro confronti con conseguenze devastanti.
Nel 1936, Haiti e la Repubblica Dominicana raggiunsero un accordo sulla fissazione della linea di frontiera, individuando un confine convenzionale lungo il fiume Masacre.
Ciò collocava, però, alcune comunità a maggioranza haitiana in territorio dominicano. Questa situazione venne considerata un rischio per la sovranità dello Stato e l’identità nazionale, anche perché la frontiera era poco controllabile dalle autorità di Santo Domingo, situata molto più a Est.
Rafael Leónidas Trujillo Molina, dittatore dominicano salito al potere con un golpe appoggiato dagli Stati Uniti, decise di approfittare della situazione per liberare l’area dagli abitanti haitiani attraverso un processo di “dominicanizzazione” della zona di frontiera.
Secondo alcuni storici, Trujillo elaborò questa manovra anche per assicurarsi il favore dell’aristocrazia dominicana, facendo dimenticare di avere egli stesso antenati haitiani e la pelle scura, che schiariva abitualmente usando del trucco.
Il massacro e l’ambiguità del governo dominicano
Il progetto di “dominicanizzazione” trovò attuazione con “la masacre del perejil” (il massacro del prezzemolo).
Questo nome deriva dallo stratagemma usato dai militari dominicani per individuare le persone di origini haitiane: i soldati si aggiravano nella zona di frontiera con rami di prezzemolo in mano e chiedevano ai passanti di pronunciare il nome della pianta.
Poiché gli haitiani parlano il creolo e non lo spagnolo, coloro che avessero difficoltà a pronunciare la parola perejil o non la conoscessero venivano identificati come haitiani e uccisi. Non esistono conteggi ufficiali del numero delle vittime di questo massacro, ma le stime variano da alcune centinaia di persone a 35.000.
Nonostante la ferocia dimostrata nei confronti della popolazione di Haiti, il regime di Trujillo, successivamente, dimostrò di riconoscere l’utilità della forza lavoro proveniente da quel Paese. A partire dal 1952, infatti, il dittatore stipulò una serie di accordi con il governo haitiano per ottenere una fornitura costante di braccianti a basso costo – un haitiano riceve una paga pari al 60% del salario di un dominicano – da impiegare nel settore agricolo dominicano.
Questi accordi prevedevano che il governo haitiano si impegnasse a fornire il numero di lavoratori richiesto dalla Repubblica Dominicana: si trattava generalmente di giovani, con un basso livello di scolarizzazione, originari delle aree rurali.
Il governo di Trujillo concedeva loro una sorta di permesso di soggiorno e li mandava a lavorare nelle piantagioni e a vivere segregati nei bateyes, agglomerati di case costruite con materiale di recupero intorno ai campi di lavoro, in condizioni di estrema povertà e degrado.
L’evoluzione della migrazione
A partire dagli anni Settanta, l’economia dominicana entrò in un periodo di difficoltà: la crisi della produzione dello zucchero, in particolare, determinò la cancellazione degli accordi che regolavano l’importazione di braccianti haitiani.
Nonostante questa congiuntura negativa, la migrazione haitiana verso lo Stato confinante proseguì, prevalentemente con modalità irregolari. La combinazione di crisi politiche, disastri naturali e ambientali e l’estrema povertà che hanno caratterizzato Haiti in tempi recenti, infatti, l’hanno resa una terra da cui molti cercano di fuggire a ogni costo.
«Durante la propria storia, Haiti non ha mai progettato un piano di sviluppo duraturo che aiuti la popolazione a trovare un minimo di benessere nella propria terra […] L’haitiano medio cresce convinto che la sua felicità è altrove e che deve andarsene per trovarla» ha spiegato padre Freddy Elie, direttore del centro Niños de la Esperanza, un progetto per il sostegno ai bambini del campo profughi di Caradeux.
La riduzione dei posti di lavoro nel settore della coltivazione dello zucchero ha avuto l’effetto di modificare le caratteristiche del movimento migratorio, portando gli studiosi a parlare dell’affermarsi di una nuova migrazione haitiana.
I migranti sono stati costretti a cercare occupazione in altri ambiti del settore agricolo (ad esempio le coltivazioni di pomodoro, ananas, caffè, riso e tabacco) o nell’edilizia.
Lo sviluppo, in Repubblica Dominicana, del settore terziario e del turismo ha creato nuovi posti di lavoro anche nell’ambito dei servizi, un elemento che ha favorito l’aumento della migrazione femminile, poco presente nel corso del Novecento.
Una migrazione più varia
Nei tempi in cui gli haitiani erano destinati esclusivamente alle piantagioni di canna da zucchero, essi si spostavano tipicamente in gruppi di soli uomini, con la prospettiva di recarsi nello Stato vicino per un periodo limitato di tempo.
La migrazione di donne era scoraggiata, perché si riteneva che in Repubblica Dominicana queste avrebbero solo potuto prostituirsi (pratica cui ci si riferiva con il termine creolo dispregiativo lave boutèy). Questo pregiudizio era rafforzato dal fatto che in Repubblica Dominicana esisteva la tendenza a esotizzare e sessualizzare le donne afrodiscendenti.
Con la maggiore richiesta di manodopera in settori considerati stereotipicamente femminili, come quello delle pulizie o dei servizi in ambito turistico, invece, è stato in parte superato questo stigma.
La prospettiva di emigrare, inoltre, è diventata un progetto che prevede un trasferimento per un periodo lungo o definitivo, perciò è più frequente che essa coinvolga intere famiglie.
È presente, anche se con dimensioni ridotte, il fenomeno della migrazione di studenti universitari.
Il costante flusso migratorio da Haiti, nel corso dell’ultimo secolo, ha avuto come conseguenza il radicarsi del sentimento razzista nato nell’Ottocento in Repubblica Dominicana. La strumentalizzazione di questo pregiudizio ha consentito, a partire dagli anni Duemila, l’adozione di misure fortemente discriminatorie per i migranti e i loro discendenti. La situazione, aggravata da una sentenza del 2013, ha creato problematiche ancora oggi aperte.
Fonti e approfondimenti
Alberto Piernas, Ser inmigrante y haitiano en República Dominicana, El Salto, 5 dicembre 2021.
Angie Natalia Moreno Becerra, Katherin Puentes Vanegas, Influencia de Alta Tasa de Inmigrantes Haitianos en República Dominicana y Causas, Institutional Repository Universidad Piloto de Colombia, 2019.
BBC News Mundo, La Masacre del Perejil: la matanza en 1937 que marcó las relaciones de Haití y la República Dominicana, 8 ottobre 2019.
Félix Gerónimo, Haití: Crónica de una migración no deseada, Gaceta Judicial.
Maye Primera, Miles de dominicanos de origen haitiano pierden sus derechos políticos, El País, 11 novembre 2013.
Observatorio Político Dominicano, La presencia de inmigrantes haitianos en República Dominicana, 11 settembre 2013.
Schwarz Coulange Méroné, Inmigrantes haitianos y dominico-haitianos en República Dominicana. Cambios y posibles implicaciones de los perfiles, Estudios Demográficos y Urbanos, maggio-agosto 2019.
Yanis Iqbal, The Long History Of Anti-Haitianism In The Dominican Republic – OpEd, Eurasia Review, 3 gennaio 2022.
Editing a cura di Matilde Mosca
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