di Irene Giorgini
Tra i Paesi dell’est e quelli occidentali dell’Unione europea, ancora oggi coesistono visioni e posizioni divergenti riguardo a molte tematiche. Una di queste è la tutela dei diritti civili per le persone LGBTQ+. La Romania, entrata in Unione europea nel 2007, dopo il lungo assoggettamento sovietico-comunista, è tornata a rivendicare le sue origini ortodosse utilizzandole come perno per ribadire posizioni estremamente conservatrici su questi temi.
I diritti LGBTQ+ durante la dittatura di Ceaușescu
A cavallo tra le due guerre mondiali, quando la Romania era sotto l’influenza nazi-fascista, le persone della comunità LGBTQ+ venivano percepite come nemiche della nazione. Durante il periodo comunista, invece, l’omosessualità veniva considerata come una corruzione di costumi che arrivava dall’Occidente.
Seppure abbastanza indipendente dall’Unione Sovietica, tra il 1967 e il 1989 il Paese è stato vittima della sanguinaria dittatura di Nicolae Ceaușescu, che ha messo in ginocchio l’economia nazionale. Il regime privò la popolazione di molti diritti, tra cui quello di espressione. Nel 1966, fu vietato l’aborto e, con l’art. 200 del Codice penale emanato nel 1968 venne criminalizzata l’omosessualità, reato per cui si prevedeva la reclusione per cinque anni. In carcere, le persone arrestate per crimini legati all’omosessualità subivano una doppia condanna: oltre alla privazione della libertà da parte delle autorità, si verificavano stupri da parte dei detenuti, era previsto un isolamento forzato e il divieto di mangiare con gli altri. La situazione non migliorò con la caduta della dittatura, avvenuta nel 1989, quando la Chiesa ortodossa egemonizzò l’opinione pubblica.
La transizione dalla dittatura alla democrazia fu graduale e, spesso, funzionari del partito comunista rimasero al potere negli anni successivi. Lo stesso Ion Iliescu, primo e terzo presidente della Repubblica, leader della rivoluzione e del periodo di transizione, era stato membro del partito comunista, anche se fu poi emarginato da Ceaușescu. Importante fu l’entrata in vigore della Costituzione del 1991, che però non apportò cambiamenti nel riconoscimento dei diritti e nel limitare le discriminazioni nei confronti delle persone LGBTQ+.
In seguito alla caduta della dittatura, il cambiamento nella vita quotidiana delle persone tardò comunque a manifestarsi. La povertà continuava a dilagare, il lavoro a scarseggiare e le pensioni a essere bassissime. Prioritario per la maggior parte delle persone era trovare un modo per aumentare il salario e uscire dalla povertà stringente. In un Paese dove tutto era stato negato, per la maggior parte delle persone depenalizzare l’omosessualità non era una priorità. La Chiesa ortodossa, che mirava ad aumentare la condanna in carcere per atti omosessuali da 5 a 7 anni, tornò a essere l’oasi dove rifugiarsi, allontanando così la mentalità rumena da un’integrazione delle persone LGBTQ+.
La spinta dell’europeizzazione e il successivo arresto
Dopo il crollo del regime per l’abolizione dell’art. 200 fu fondamentale l’impegno del gruppo di attivisti dell’associazione Accept, la più grande associazione LGBTQ+ rumena. Nonostante fosse per loro molto difficile riunirsi, poiché rischiavano di essere perseguiti penalmente, nel 1996 iniziarono la loro campagna per la depenalizzazione e il riconoscimento di diritti fondamentali.
Dopo molte battaglie, sulla spinta dell’europeizzazione, nei primi anni del nuovo millennio vennero percorsi i primi passi in avanti a livello legislativo e diminuirono le discriminazioni. Nel 2001, si raggiunse finalmente un primo traguardo: venne abolito l’art. 200 e l’omosessualità smise di essere un reato.
Negli anni successivi, lo slancio riformatore ha portato a ottenere ulteriori risultati. Nel 2005, è stata equiparata l’età del consenso per le relazioni sessuali, portandola a 15 anni sia per le persone eterosessuali che per quelle omosessuali e nel 2006 è stata approvata la legge contro ogni forma di discriminazione e odio.
Dopo questi primi anni di apertura, la situazione è precipitata di nuovo nel 2015, quando l’associazione conservatrice Coalitie pentru Familie ha raccolto 3 milioni di firme, numero necessario per indire un referendum per inserire in Costituzione il divieto dei matrimoni omosessuali. Nonostante soltanto 3,7 milioni di persone si siano recate al voto (appena il 20% della popolazione) e il quorum del 30% necessario alla sua validità non sia stato raggiunto, questo referendum ha generato nuove ondate di odio e discriminazione.
Diritti LGBTQ+ oggi
L’associazione Accept, come molte altre, si sta battendo per poter finalmente ottenere le unioni civili. Su questo tema c’è ancora molto da lavorare, sia a livello politico, che a livello sociale. Lo Stato, infatti, non sembra ancora pronto. Esemplare è il caso di Adrian Coman e di suo marito Clai Hamilton, statunitense. Sposati in Belgio nel 2010, hanno deciso di trasferirsi in Romania, Paese di origine di Coman, ma per Hamilton è stato impossibile ottenere il permesso di soggiorno, in quanto il governo Rumeno si è rifiutato di riconoscere il matrimonio. Aiutati dall’associazione Accept, la coppia ha deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea che, nel 2018, ha riconosciuto loro il diritto di essere “coniugi” e quindi, automaticamente, il diritto di residenza per Hamilton.
Analizzando i dati forniti dall’Eurobaromentro nel 2019 si riscontra come le persone a favore dei matrimoni omosessuali siano ben lontane da raggiungere la metà della popolazione (29%). Inoltre, si può notare come le percentuali rimangano basse quando si pongono domande che riguardano l’inclusione e la normalizzazione delle persone LGBTQ+. Molti non accetterebbero scambi di affetto in pubblico tra coppie dello stesso sesso, così come politici omosessuali o transessuali sono mal visti da larga parte della popolazione. Ancora più drammatica è la percentuale delle persone che accetterebbe un figlio omossessuale (21%). Comparando queste risposte con quelle raccolte nel 2015, si nota comunque un lieve progresso e un leggero calo del livello di discriminazione. Nel 2019, infatti, il 38% si è dichiarato totalmente favorevole a concedere gli stessi diritti alle persone omosessuali, mentre nel 2015 lo era il 36%. Nel 2019 rispetto alla frase “non c’è nulla di sbagliato in una relazione omosessuale” il 29% si dichiarava d’accordo, mentre nel 2015 solamente il 22%.
Studiando i dati di un altro sondaggio proposto dall’associazione Accept, troviamo un’avversione simile al riconoscimento dei diritti e una forte discriminazione per le persone LGBTQ+, con un’incidenza minore (seppur lieve) tra gli under 34. Ad esempio, per il 51% della popolazione sopra i 34 anni è importante la protezione legale e l’inclusione sociale per tutte le famiglie, anche quelle omosessuali; mentre per i giovani tra i 18 e i 34 anni tale percentuale a favore della protezione sale al 60%.
Limiti dell’attualità e prospettive future
Leggendo i dati, si può comunque notare che negli ultimi anni la discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ+ sta leggermente e lentamente diminuendo e che le persone giovani, nonostante le differenze non siano così marcate, sembrano più predisposte al riconoscimento di pari diritti.
Questo dato può essere dovuto al fatto che non ci sono canali ufficiali per un dibattito pubblico su queste tematiche e che le associazioni, seppure molto attive, si trovano solamente nelle principali città. È importante segnalare che nelle scuole è vietata l’educazione sessuale e affettiva, salvo la previa autorizzazione di tutti i genitori degli alunni. Ad aggravare la situazione si è aggiunta una nuova legge che, dal 2020, vieta ogni discussione, pubblicazione accademica e studio scientifico e sociologico su «teorie e opinioni riguardo ai “gender studies”» anche nelle università, siano esse pubbliche o private. Associazioni LGBTQ+ e mondo accademico si dichiarano indignati e hanno più volte manifestato il loro dissenso senza successo per il momento.
I riconoscimenti di pari diritti da parte dell’opinione pubblica delle persone LGBTQ+ sono stati ottenuti sotto la spinta dell’europeizzazione. Le associazioni LGBTQ+ stanno giocando un ruolo importante nella mentalità comune, che però viene osteggiata dalla Chiesa ortodossa e dalle spinte conservatrici che ancora sono diffuse nella società rumena.
Fonti e approfondimenti
Accept. 2021. Valori și percepții ale românilor cu privire la familie și căsătorie.
European Commission. 2019. Eurobarometer on Discrimination 2019: The social acceptance of LGBTI people in the EU.
Levente Viski Vlad, “Decriminalization of Homosexuality in Romania. Repealing Article 200 from the Penal Code”, Academia.edu, 2019.
Meniconi, Alberto, “La nozione di “coniuge” nei matrimoni same-sex: il caso Coman”,Ius in Itinere, 06/2020.
Moraru, Adela, 2010, Social perception of homosexuality in Romania, Procedia Social and Behavioral Sciences, Volume 2, p. 5727- 5730.
Enne, Nicola, “Stop all’educazione sessuale e agli studi di genere: la Romania è ostaggio dei conservatori”, .blmagazine.it, 2020.
Takacs, Judit, 2019, Social Attitudes towards Homosexuality in Hungary and Romania: Does the Main Religious Denomination Matter?, Intersections – East European Journal of Society and Politics, p. 71-79.
Timu, Codrin, The Romanian crusade against gender identity and LGBT+ rights: Brief analysis on the constitutional role of political parties and the Church, Romanian Lawyers Week, 06/2020.
Woodcock, Shannon, 2018, A short history of the queer time of “post-socialist” Romania, or, Are we there yet? Let’s ask Madonna!, Analize – Journal of Gender and Feminist Studies, Routledge.
Editing a cura di Francesco Bertoldi
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