Gli scenari dell’Australia, dal voto al globo

Voto in Australia
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Per certi versi, il passaggio alle urne del 21 maggio, che ha posto fine all’esperienza Morrison e ha determinato il ritorno dei Laburisti al governo dopo nove anni, può essere visto come una trasformazione, se non epocale, certamente molto significativa per la politica australiana. Tra i risultati elettorali e le prime mosse del nuovo corso, sono tanti i segnali di cambiamento nell’aria. 

Mentre l’esecutivo Albanese cerca di evidenziare i punti di discontinuità con chi lo ha preceduto, uno sguardo ampio sulle dinamiche regionali offre più di un motivo per ritenere che la strategia australiana nel prossimo futuro vedrà soltanto una parziale inversione di rotta

Lo specchio del voto, dal locale al globale

La Coalizione di Morrison ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti, poco meno del 36%. Tuttavia, a uscire vincitore dalla tornata è stato il Partito laburista. Infatti, i quasi 500mila voti in meno a livello nazionale si sono tradotti, attraverso il sistema delle preferenze, in 77 seggi su 151, un risultato che garantisce all’ALP 19 seggi in più rispetto alla compagine guidata da Morrison e, cosa più importante, la maggioranza. 

Per il sistema elettorale australiano, le circoscrizioni uninominali in cui è suddiviso il territorio nazionale vengono aggiudicate ai candidati che riescono a ottenere la maggioranza assoluta. Se questa circostanza non si verifica al termine del primo scrutinio, si prendono in considerazione le altre preferenze espresse dall’elettorato, che sulla scheda è chiamato a indicare un ordine di gradimento dei politici in gara. Al secondo scrutinio, pertanto, si procede prendendo in considerazione le seconde preferenze indicate dagli elettori che avevano dato il primo voto al candidato posizionatosi ultimo, e così via finché un candidato non raggiunge la soglia del 50% +1. 

Fonte: Australian Electoral Commission

Un primo elemento di interesse riguarda proprio il meccanismo delle prime preferenze. In linea con il trend delle ultime tornate elettorali, il voto per i principali partiti (laburisti e liberal-nazionali) è calato ancora, fermandosi sotto il 70% aggregato e facendo registrare il minimo storico. I seggi vinti dai partiti minori sono 16. Tra questi, sono 10 quelli ottenuti dai candidati indipendenti, di cui 6 dai candidati “verde acqua”, riuniti attorno a una piattaforma incentrata sulla giustizia ambientale – anche se meno ambiziosa di quella presentata dai Verdi.

Incrociando il declino delle forze politiche più consolidate e il crescente interesse verso la tematica ambientale, si potrebbe pensare a una svolta radicale: stanchi e preoccupati dall’inazione degli ultimi anni, gli australiani avrebbero mandato un segnale contro l’establishment e, contemporaneamente, stabilito la priorità strategica del futuro. 

Si tratta di una chiave di lettura adottata da diversi media mainstream. Secondo il Diplomat, l’utilizzo strategico da parte degli indipendenti del voto preferenziale avrebbe aperto la strada a un profondo cambiamento nella politica australiana. Il professore di Scienze atmosferiche Michael Mann e l’ex Primo ministro Malcolm Turnbull si spingono oltre. L’esempio australiano, per gli autori, dovrebbe illuminare la discussione che sta lentamente prendendo piede sul sistema elettorale negli Stati Uniti, un altro Paese storicamente caratterizzato da una profonda disinformazione sullo stato del clima. 

Le prime dichiarazioni di Albanese sembrano confermare questa lettura. Nel discorso dopo la vittoria, il leader laburista ha detto che l’Australia deve diventare una “superpotenza di energia rinnovabile”. Pochi giorni fa ha annunciato l’istituzione dell’innovativo Dipartimento dei cambiamenti climatici, dell’energia, dell’ambiente e dell’acqua. Ma come messo in luce dal Climate Council, sebbene gli obiettivi del Labor siano molto più incisivi dell’approccio “do-nothing” (“stare a guardare”) della Coalizione, questi si rivelano comunque carenti sotto numerosi aspetti, in particolare rispetto al ruolo ricoperto da carbone e gas

Per comprendere se l’opinione pubblica e i nuovi arrivati in Parlamento riusciranno a spingere la maggioranza nella direzione di un cambiamento davvero radicale nell’approccio alla crisi climatica ci vorrà del tempo. 

L’Australia laburista tra le grandi potenze

A salutare favorevolmente le intenzioni laburiste sul clima non sono stati soltanto i mezzi di informazione più attenti alla causa. Nell’ultimo vertice Quad, Albanese ha sostenuto che il riscaldamento globale è una sfida chiave per l’Asia-Pacifico, ricevendo gli elogi degli altri membri dell’alleanza. Il Quad, insieme al più recente trattato AUKUS, rappresenta uno degli assi della strategia anti-cinese orchestrata dagli Stati Uniti per mantenere il primato nella regione, che prevede forme di cooperazione che vanno ben al di là della sicurezza. 

Nel mandato di Morrison, la politica estera australiana è stata estremamente asservita agli interessi statunitensi – non una novità, visto che da quando ha preso il posto dell’Inghilterra nella supremazia dei mari, i leader australiani hanno fatto estremo affidamento sull’impero americano. Negli anni in cui il confronto con la Repubblica popolare si infiammava al di là del Pacifico, lo stesso accadeva a Sud, tanto nella retorica quanto nei fatti. Ne è un esempio l’inchiesta sulle origini del Covid-19 promossa dall’Australia e che ha portato, in reazione, alla guerra commerciale avviata da Pechino, facendo danni economici da entrambi i lati

Durante questo periodo, la coalizione al governo ci ha tenuto a rimarcare in ogni occasione pubblica la sua fedeltà all’alleato storico. Alla luce della politica estera più e meno recente dell’Australia, non stupisce quindi che anche con il nuovo esecutivo l’alleanza con gli Stati Uniti sia il punto fermo di qualsiasi obiettivo di influenza all’estero. Per questo, sia il Quad sia l’AUKUS rappresentano ancora due cavalli su cui puntare per l’Australia. 

Parallelamente, l’uscita di scena di Morrison e dei liberal-nazionali fa sperare Pechino in una graduale apertura dell’isola continente. Data l’importanza degli scambi commerciali tra i due Paesi, il Global Times auspica che il governo laburista inserisca una “relazione più razionale e costruttiva” con la Repubblica popolare tra le priorità della sua agenda. Al momento, complice anche una netta maggioranza dell’opinione pubblica australiana che condivide una visione negativa del governo cinese (78%), Albanese sembra volere mantenere la linea del suo predecessore. 

Un nuovo approccio nello scacchiere regionale?

Di certo vi è che dai primi giorni nella nuova veste, Albanese e i ministri che compongono l’esecutivo hanno messo in chiaro di volere occupare una posizione centrale nelle dinamiche regionali. 

Guardando al suo “cortile di casa”, Canberra intende promuovere iniziative per lo sviluppo e interventi strutturali nelle isole del Pacifico, rilanciando il percorso tracciato dalla step-up policy inaugurata nel 2016 dall’allora governo Turnbull. La nuova ministra degli Esteri, Penny Wong, ha promesso un forte impegno australiano nella sua prima visita al Forum delle isole del Pacifico, sottolineando che il “cambiamento climatico rimane la più grande minaccia per i mezzi di sussistenza, la sicurezza e il benessere dei popoli del Pacifico”. 

Il nuovo attivismo è senza dubbio animato anche dal timore dell’espansione cinese nell’area. Nei giorni scorsi, anche il ministro degli Esteri cinese Wang ha visitato le isole del Pacifico nel tentativo di ampliare la sfera di influenza della RPC, che nel mese di aprile ha sottoscritto con le Isole Salomone un accordo di sicurezza, dipinto nel dibattito pubblico australiano come uno dei maggiori fallimenti della propria politica estera. Con la firma, infatti, è venuto meno uno degli obiettivi fondamentali perseguiti dalla fine della seconda guerra mondiale, ovvero evitare che una potenza rivale si garantisse una presenza militare nel Pacifico meridionale. 

Di fronte all’assertività cinese, l’Australia laburista potrebbe infine trovare nuove convergenze con i Paesi del sud-est asiatico. Riuscire a coinvolgere Indonesia, Cambogia, Laos, Filippine e Vietnam in una più fitta rete di relazioni culturali ed economiche, come sottolinea The Conversation, è un imperativo strategico per Albanese e Wong, che in campagna elettorale avevano annunciato un aumento di 470 milioni di dollari australiani per gli aiuti esteri e la creazione di un Ufficio del sud-est asiatico presso il Dipartimento degli affari esteri e del commercio. 

Come nel caso delle isole del Pacifico, dati i rapporti commerciali che questi Paesi intrattengono con la Cina, il filo su cui cammina il nuovo esecutivo potrebbe essere particolarmente sottile. Specie se, per completare il tragitto, la spalla del Labor deve reggere anche il peso di un’aquila.

 

Fonti e approfondimenti

Australian Government – Minister for Foreign Affairs, “Speech to the Pacific Islands Forum Secretariat”, 26/05/2022. 

Australian Government – Department of Foreign Affairs and Trade, “Pacific Step-up”. 

CLIMATE COUNCIL, WHERE DO AUSTRALIA’S MAJOR PARTIES STAND ON CLIMATE ACTION?.  

Edel, Charles, “A Fault Line in the Pacific”, Foreign Affairs, 3/06/2022.  

Jaishankar, Dhruva, and Madan, Tanvi, “The Quad Needs a Harder Edge”, Foreign Affairs, 19/05/2022. 

Lowy Institute, Climate Poll 2021

Mann, Michael, and Thurnbull, Malcolm, “How Australia’s electoral system allowed voters to finally impose a ceasefire in the climate warsThe Guardian, 28/05/2022. 

Petroni, Federico, “La straordinaria scelta dell’Australia”, Limes, 12/10/2021.

Straiting, Rebecca, “‘Mutual respect and genuine partnership’: how a Labor government could revamp our relationship with Indonesia”, The Conversation, 23/05/2022. 

Weijia, Hu, Rational China policy can ease Australia’s economic woes, Global Times, 23/05/2022. 

Wyet, Grant, “The Real Power of Preferential Voting in Australia”, The Diplomat, 31/05/2022. 

Yang, Samuel, “Will the change of Australian government end the trade war with China?”, ABC, 1/06/2022.  

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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