Spesa militare dei Paesi UE membri della NATO: corsa a ostacoli per l’obiettivo del 2% del PIL 

Spesa militare
@Joe Ambrogio - pexel - Pexels License

Il raggiungimento del tetto per la spesa militare di almeno il 2% del prodotto interno lordo di uno Stato membro della NATO è stato stabilito per la prima volta nel 2006, in occasione dell’incontro tra i ministri della Difesa dei Paesi NATO. Tale impegno è stato successivamente ribadito durante il vertice dei capi di Stato e di governo nel 2014 a Newport, in Galles, in seguito all’invasione russa nella regione ucraina della Crimea.

Basato sul concetto strategico del burden sharing, definito dalla NATO come «il peso relativo della distribuzione dei costi tra gli alleati nel perseguimento degli obiettivi collettivi», l’accordo stipulato in maniera informale prevedeva che tutti i Paesi alleati si sarebbero impegnati nel raggiungimento di tre obiettivi entro i successivi dieci anni: ricondurre le spese militare entro un limite minimo del 2% del prodotto interno lordo nazionale; destinare il 20% del budget per le spese militari nell’acquisto di nuovi sistemi d’arma; e infine assicurare maggiori risorse dei Paesi alle missioni NATO, operazioni e altre attività al fine di garantire la prontezza militare dell’Alleanza. Come chiarito dalla stessa Organizzazione, i motivi legati a tale decisione sono riconducibili a un’asimmetria di capacità riscontrata tra gli alleati europei nel contribuire agli sforzi di difesa comune dell’Alleanza Atlantica

A livello operativo, i Paesi membri contribuiscono ai costi di gestione della NATO e all’attuazione delle sue politiche e attività sia in maniera diretta sia indiretta. La NATO ha bilanci e programmi annuali che derivano da contributi diretti per un valore di circa 2,5 miliardi di euro (lo 0,3% della spesa totale per la difesa degli Alleati), che sostengono anche la sua struttura di comando militare permanente, le attuali operazioni e missioni e forniscono infrastrutture militari essenziali (comprese le basi aeree e navali, le comunicazioni via satellite, le condutture del carburante e i sistemi di comando e controllo). I contributi indiretti – o nazionali – sono i più consistenti e riguardano, ad esempio, la volontaria messa a disposizione di attrezzature o truppe nelle operazioni militari.

La NATO non è dotata di un proprio esercito, quindi ogni Stato membro impegna truppe e attrezzature proprie al fine di garantire una capacità combinata dell’Alleanza. In ogni caso, ogni Paese può stabilire in maniera autonoma il numero di soldati da dispiegare, il tipo di equipaggiamento da utilizzare e quali mezzi e sistemi d’arma impiegare a seconda della propria disponibilità economica, capacità militare e volontà politica. Al fine di assicurarsi che ogni membro, in caso di necessità, possa contribuire efficacemente agli impegni della NATO è stato deciso che gli Stati membri debbano predisporre per la difesa nazionale una cifra minima del 2% del proprio PIL. 

Per stessa ammissione della NATO, il limite minimo di spesa imposto non garantisce che il denaro sarà utilizzato nel modo più efficace ed efficiente per acquisire e dispiegare capacità moderne. Nel 2015, ad esempio, la Grecia destinava circa il 73,3% del budget per la difesa solo per coprire i costi del personale militare (una delle percentuali più alte tra i Paesi alleati) attribuendo, quindi, poche risorse per perseguire gli obiettivi fissati dalla NATO. Quello che più sorprende è il fine che il governo di Atene intende perseguire con tali investimenti, dal momento che sono volti al rafforzamento del proprio apparato militare in chiave anti-Turca (paradossalmente un altro Stato membro dell’alleanza atlantica) piuttosto che contribuire agli obiettivi posti dalla NATO in termini di difesa collettiva. 

Tuttavia, secondo le linee guida dell’Alleanza, l’obiettivo del 2% rimane un indicatore cruciale in quanto utile a determinare l’impegno politico dei singoli Stati nei confronti della NATO, oltre che per aumentare la percezione complessiva della credibilità dell’alleanza come organizzazione politico-militare. 

In relazione all’obiettivo del 2% del Pil, gli alleati che hanno raggiunto questa soglia a giugno 2021 erano solamente 10 sui 30 totali: Grecia (3,82%), Stati Uniti (3,52%), Croazia (2,79%), Regno Unito (2,29%), Estonia (2,28%), Lettonia (2,27%), Polonia (2,10%), Lituania (2,03%), Romania (2,02%), Francia (2,01%). L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, avvenuta il 24 febbraio scorso, ha rimesso la questione delle spese militari al centro del dibattito politico di molti Paesi, spingendo molti governi a impegnarsi maggiormente per raggiungere l’obiettivo preposto.

La Germania – attraverso le parole del cancelliere Olaf Scholz – ha annunciato lo stanziamento di 100 miliardi di euro per rafforzare la Bundeswehr, raggiungendo così l’obiettivo del 2% del PIL in spese militari nel breve periodo. Anche Francia e Italia hanno annunciato maggiori investimenti nel settore della Difesa, con un incremento di stanziamento di spesa che passerebbe da circa 25 miliardi ad almeno 38 miliardi di euro annui. La Polonia, attraverso la legge sulla difesa della patria, ha annunciato l’obiettivo di raddoppiare gli effettivi del proprio esercito e di aumentare le spese per la Difesa fino al 3% del Pil entro il 2023

Un trend che si è registrato in termini analoghi anche in quei Paesi scandinavi che storicamente hanno mantenuto una politica neutrale. È il caso di Svezia e Finlandia, che hanno di fatto dichiarato la loro volontà di entrare nella NATO e di aumentare le proprie spese militari. Il bilancio della difesa svedese potrebbe raggiungere l’obiettivo del 2% entro il 2028, mentre la Finlandia ha annunciato fondi per 2,2 miliardi di euro da distribuire per i prossimi quattro anni. 

Secondo Bruxelles, la spesa europea per la difesa, stimata a circa 200 miliardi di euro all’anno prima della guerra in Ucraina, aumenterà di circa 60 miliardi di euro all’anno se i 21 Paesi UE della NATO raggiungeranno l’obiettivo del 2% in spese militari. 

Lo stato degli eserciti europei

L’incremento delle spese militari ha spinto l’opinione pubblica a indagare l’effettiva necessità di questi investimenti. Secondo i dati riportati nel 2017 in occasione della Munich Security Conference, conferenza annuale indipendente sulla politica di sicurezza internazionale, la capacità di difesa europea è diminuita notevolmente negli ultimi 25 anni.

Un recente documento, realizzato dalla Commissione europea e diffuso dal quotidiano spagnolo El Pais prima della sua pubblicazione ufficiale, ha messo in evidenza una serie di lacune che caratterizzano gli eserciti europei. L’analisi condotta dalla Commissione europea evidenzia carenze nei sistemi di difesa aerea posti a protezione dei centri urbani e delle infrastrutture nevralgiche, insufficienze nel numero di droni di sorveglianza, aerei da combattimento, carri armati e unità navali, difficoltà inerenti alla mobilità e alla logistica, assenza di una rete di connettività satellitare criptata con copertura europea e scarsità nell’approvvigionamento di munizioni. 

Gli eserciti europei, oltre che registrare una certa scarsità delle risorse militari, presentano inoltre un notevole numero di sistemi d’arma che risultano datati. Si pensi, ad esempio, alla durata operativa dei caccia multiruolo Tornado e degli elicotteri da trasporto CH-53G che è stata estesa a oltre i 40 anni di servizio, andando ben oltre quella prevista di circa 25-30 anni. 

Ulteriore elemento che aggrava questa situazione di inadeguatezza è l’approccio frammentario adottato dagli Stati membri UE nel settore della difesa. Ogni Paese tende a favorire gli interessi delle proprie industrie nazionali, sviluppando progetti separati e su scala ridotta. Una disomogeneità che non aiuta a livello operativo, sebbene l’Unione europea conti un numero sei volte maggiore di sistemi di difesa antiaereo e antimissilistico rispetto a quello degli Stati Uniti: 154 tipologie differenti di mezzi armati di cui 17 tipi diversi di carri armati e 27 modelli di howitzers calibro 152/155. Per quanto riguarda la flotta aerea, l’UE registra una dotazione di 20 modelli diversi di aerei da combattimento e 4 differenti tipologie di elicotteri d’attacco, mentre la flotta navale conta 11 modelli di sottomarini convenzionali e 5 di tipo nucleare; 20 tipologie differenti di Torpedinieri e 29 modelli di cacciatorpedinieri/fregate. 

La gestione della spesa militare

La capacità di difesa dei Paesi UE che fanno parte della NATO è diminuita notevolmente negli ultimi anni. Gli eserciti registrano una insufficienza in termini di mezzi mentre quelli che hanno a disposizione sono vecchi e di diversa tipologia. Questa condizione, oltre che comportare un incremento dei costi in termini di manutenzione dei mezzi e di sviluppo dei progetti a essi legati, mina la cooperazione militare e l’interoperabilità tra i vari eserciti

Secondo uno studio condotto dalla McKinsey & Company, il primo passo per una migliore gestione della spesa militare è sicuramente quello di promuovere un mercato europeo della difesa in modo tale da incoraggiare lo sviluppo di progetti comuni, atti a favorire una standardizzazione degli asset militari, oltre che diminuire i costi di sviluppo, produzione e gestione. Si stima, infatti, che eliminando le diverse tipologie di mezzi e favorendo lo sviluppo di pochi progetti che siano comuni a tutti i Paesi UE, si arriverebbe a un risparmio di circa 15 miliardi di dollari all’anno. Il secondo passo è rappresentato da una razionalizzazione del budget della difesa da parte degli Stati membri che miri a bilanciare la spesa per il personale, l’esercizio e gli investimenti

Le modalità attraverso le quali gli Stati decideranno di impiegare gli ingenti investimenti nel settore della difesa avranno infatti un impatto sulla loro capacità militare negli anni futuri, dove ciò che conterà non sarà la quantità ma la qualità della spesa.

 

Fonti e approfondimenti

Funding NATO”, North Atlantic Treaty Organization, 1 aprile 2022.

Le spese per la difesa in ambito NATO”, Camera dei deputati Servizio Studi, 28 aprile 2021.

Military expenditure | SIPRI”, Stockholm International Peace Research Institute, 2021. 

More European, More Connected and More Capable: building the european armed force of the future”, Munich Security Conference – McKinsey&Company, 2017.

Javier Solana, Angel Saz- Carranza, Maria Garcia Casas, Jose Francisco Estebanez Gomez, “On the way towards a European Defence Union- A white book as a first step”, Directorate general for external policies, 2016.

Wales Summit Declaration”, North Atlantic Treaty Organization, 30 agosto 2018.

 

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*