Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization et al.: analisi della sentenza che ha cancellato Roe v. Wade

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Come preannunciato dalla bozza diffusa da Politico, la Corte Suprema, con la decisione Dobbs v. Jackson, ha ribaltato il precedente del 1973, Roe contro Wade, che garantiva l’accesso all’aborto a livello federale, sostenuto anche dalla più recente Planned Parenthood v. Casey del 1992.

Il caso riguardava il giudizio di costituzionalità di una legge statale del Mississippi del 2018  (The Gestional Age Act) che vieta la maggior parte delle interruzioni di gravidanza  dopo le prime 15 settimane di gestazione. La Jackson Women’s Health Organization, l’unica clinica che pratica aborti in Mississippi, ha citato in giudizio Thomas E. Dobbs, ufficiale sanitario statale presso il Dipartimento della salute dello Stato del Mississippi e Kenneth Cleveland, direttore esecutivo del Mississippi State Board of Medical Licensure, per contestare la costituzionalità della legge, in palese contrasto con i precedenti Roe e Casey. I tribunali inferiori avevano impedito l’applicazione della legge, proprio sulla base della sentenza Planned Parenthood v. Casey, che impediva agli Stati di vietare l’aborto prima della vitalità fetale, quindi entro le ventiquattro settimane, sulla base del fatto che la scelta di una donna durante quel periodo è protetta dal diritto alla privacy sotto il Quattordicesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti.

Non possiamo non sottolineare che ci troviamo davanti a una tragedia annunciata: l’ex presidente Trump ha sempre sostenuto, infatti, di voler raggiungere questo “traguardo” e gli stessi giudici hanno ammesso che alla prima occasione utile avrebbero fatto in modo di cancellare queste pronunce. Andando ad approfondire gli aspetti giuridici della sentenza, è necessario esaminare le modalità con cui si è arrivati a Dobbs v. Jackson. 

L’ex giudice Ruth Bader Ginsburg, pur ritenendo il diritto all’aborto centrale per la dignità della donna, ha sempre avuto delle riserve su Roe, insistendo sulla necessità di una legge del Congresso sul tema. RBG riteneva infatti che l’America non fosse ancora pronta per quella pronuncia nel 1973, ma soprattutto che le motivazioni di diritto su cui essa si basava fossero troppo deboli. Solo oggi ci rendiamo davvero conto delle sue parole.

 

La Corte Suprema e il principio dello stare decisis

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America è un’istituzione che pur essendo di nomina politica, ha il compito di vigilare sulla corretta interpretazione della Costituzione in maniera imparziale. Negli Stati Uniti vige il sistema giuridico di Common Law, sviluppato essenzialmente come diritto giurisprudenziale, per cui sono gli stessi giudici attraverso le loro pronunce basate anche sulle sentenze del passato, a creare il diritto, vincolando le decisioni giurisprudenziali. Questa regola generale si concretizza nel secolare principio dello “stare decisiso regola del precedente vincolante, che prevede che una decisione già presa, costituisca un precedente e non possa essere ribaltata, salvo eccezioni.
«Errare dal lato della difesa dei precedenti fa sembrare la legge equa e prevedibile», scrisse l’allora giudice capo William Rehnquist nel 1984. Il giudice Louis Brandeis si era spinto oltre nel 1932, scrivendo: «Nella maggior parte dei casi è più importante che la norma di diritto applicabile sia stabilita piuttosto che sia stabilita in modo corretto».

Con la sentenza Dobbs, i giudici conservatori hanno scavalcato questo principio, creando un precedente di portata storica. Il giudice Alito, che ha redatto l’opinione della maggioranza, ha ripreso proprio Brandeis, scrivendo che «è importante che una legge sia stabilita nella maniera giusta» poichè quando un giudice ritiene che una sentenza precedente sia errata, è suo dovere correggerla, indipendentemente dallo stare decisis.

Nella sua lunga storia, la Corte Suprema (fondata nel 1789) non ha applicato lo stare decisis solo 233 volte. Alito cita come esempio (a più riprese) la sentenza Brown vs. Board of Education del 1954, con cui la Corte Suprema ribaltò una sentenza di cinquant’anni prima che approvava la segregazione razziale nelle scuole: questo ci dimostra come ci  siano alcuni casi in cui la Corte ha il dovere di ignorare lo stare decisis e ribaltare un precedente.

Gli studiosi di diritto americano sostengono che un gruppo selezionato di casi storici dovrebbe essere considerato un “super precedente” irreversibile, ma la Corte ha osservato ripetutamente che lo stare decisis non è un “comando inesorabile”. In un parere del 2020, il giudice Brett Kavanaugh ha formulato sette punti guida per l’applicazione del principio: la qualità del ragionamento, la coerenza con altre decisioni, i cambiamenti dei fatti e della legge, la funzionalità della decisione, il modo in cui le persone fanno affidamento su di esso e l’età del precedente. Secondo la Corte, nella sentenza  Dobbs, ben cinque di questi punti sono a favore della decisione presa. 

Nonostante tutto, lo stare decisis è sempre stato un valore fondamentale per la Corte Suprema, che rispettando le sentenze già prese, mostrava di essere un’istituzione di una certa integrità e che esprimeva continuità nell’interpretazione del diritto e della Costituzione, non mostrandosi quindi,  “schiava” del pensiero politico della maggioranza dei suoi membri. 

Va sottolineato inoltre, che lo stare decisis era già stato applicato all’aborto nel 1992, con la sentenza Planned Parenthood v. Casey. Anche in quel momento, la Corte era quasi completamente di nomina repubblicana: di nove giudici, otto erano stati nominati da presidenti repubblicani, tra cui Ronald Reagan e George H. W. Bush, che si erano dichiarati esplicitamente contrari a Roe v. Wade. L’unico giudice di nomina democratica, Byron White, era un centrista che nel 1973 aveva votato contro. 

La motivazione a supporto del sostegno a Roe fu proprio lo stare decisis: la Corte dichiarò che i fattori che avevano portato alla sentenza del 1973 non erano cambiati, dunque non si poteva giustificare un riesame della decisione. In particolare, un passaggio dell’opinione della maggioranza sottolinea l’importanza che la Corte dava alla propria credibilità: «La Corte deve avere cura di parlare e agire in modo da consentire alle persone di accettare le sue decisioni nei termini in cui la Corte li esprime, in quanto fondate veramente in linea di principio, non come compromessi con pressioni sociali e politiche che, in quanto tali, non hanno alcuna incidenza sulle scelte di principio che la Corte è obbligata a compiere».

 

L’analisi della decisione

L’opinion redatta dal giudice Alito appare alquanto fuori contesto. Partendo dal presupposto che fino al XX secolo non solo l’interruzione di gravidanza non era un diritto costituzionalmente garantito, ma era considerato un crimine, si fa un lungo riferimento alla storia della pratica dell’aborto, a partire dal XIII secolo, per arrivare a concludere che sebbene nei vari periodi storici le autorità differissero sulla gravità della punizione per gli aborti commessi in diversi momenti della gravidanza, nessuno ha mai approvato la pratica. Seguendo questo ragionamento, si conclude che il diritto all’aborto non è profondamente radicato nella tradizione americana. Al contrario, secondo Alito, nella storia degli Stati Uniti si è sempre proibito, in modo più o meno severo,  l’aborto fino al 1973. 

Si arriva così al fulcro della questione: Roe e Casey si fondano su un’interpretazione del Quattordicesimo emendamento della Costituzione, secondo cui esiste un diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo. La Corte Suprema riconosceva il diritto all’aborto in un’ottica di limitazione dell’ingerenza statale, anche se non assoluta, poiché lo Stato avrebbe il dovere di intervenire in alcune circostanze, che coincidono in particolare con il tempo di gestazione. Roe v. Wade enunciava quindi due principi: l’aborto è possibile per qualsiasi ragione fino al punto in cui il feto è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno; in caso di pericolo per la salute della donna, l’aborto è legale anche qualora la soglia sia stata sorpassata.

Alla luce dell’excursus storico iniziale, si ritiene impossibile che quando fu redatto il Quattordicesimo emendamento, su cui si dichiara fondato il diritto costituzionale all’aborto, si pensasse a questa eventualità, tanto che l’interruzione volontaria di gravidanza non è mai citata. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’attuale maggioranza conservatrice della Corte (soprattutto Amy Coney Barrett, allieva del giudice Scalia) sostiene la dottrina dell’originalismo, secondo cui i limiti di ciò che è possibile fare sono definiti dalle parole della Costituzione scritta più di due secoli fa, che vanno interpretate alla lettera

Il giudice Alito conclude sostenendo che la Corte vuole rinviare la questione dell’aborto agli organi legislativi, consentendo alle donne stesse di cercare di influenzare l’opinione pubblica e quindi il processo legislativo, esercitando pressioni sui legislatori, votando e candidandosi alle cariche politiche, poichè le donne non sono prive di potere elettorale o politico. Si sottolinea inoltre che la percentuale di donne che si registrano per votare è superiore a quella degli uomini e che nelle ultime elezioni del novembre 2020, le donne, che costituiscono circa il 51,5% della popolazione del Mississippi (lo Stato in cui è stata emanata la legge contestata davanti alla Corte) costituivano il 55,5% degli elettori che hanno votato. 

La Corte sembra disinteressarsi totalmente alle conseguenze pratiche di questa decisione. Cosa succede, ad esempio, se in uno Stato che decide di impedire totalmente l’aborto, il medico e la donna concordano sulla necessità di utilizzare la pratica, in quanto trattamento medico necessario? I giudici sembrano non prendere in considerazione l’eventualità.

Nelle conclusioni si sostiene inoltre che questa sentenza riguarda solo l’aborto e che non sono in pericolo altri diritti basati sullo stesso ragionamento. Questa affermazione appare poco convincente: questioni come i diritti per le coppie dello stesso sesso non hanno basi storiche profonde al pari dell’aborto. Infatti, il giudice Thomas, nella sua opinione concordante, ha preso di mira in maniera esplicita altri tre casi storici che si basano sullo stesso ragionamento legale: Griswold v. Connecticut del 1965 che dichiara che le coppie sposate hanno diritto alla contraccezione; Lawrence v. Texas, un caso del 2003 che invalida le leggi sulla sodomia e rende legale l’attività sessuale tra persone dello stesso sesso in tutto il Paese e Obergefell v. Hodges, il caso del 2015 che stabilisce il diritto di sposarsi alle coppie omosessuali.

Era davvero necessario tutto questo per decidere sulla Gestational Age Act del Mississippi? A minare la credibilità di questa Corte concorre un altro fattore: il caso Dobbs poteva essere risolto anche senza ribaltare Roe e Casey. In concreto, il caso riguardava il giudizio di legittimità su una legge dello Stato del Mississippi, The Gestional Age Act, che mira a impedire l’aborto dopo le prime quindici settimane di gravidanza, termine più restrittivo rispetto a quanto stabilito dalla sentenza Casey del 1992, secondo cui, come abbiamo visto, si può abortire finchè che il feto non è in grado di sopravvivere anche fuori dall’utero, intorno alla ventiquattresima settimana. La risoluzione della controversia dunque non richiedeva di pronunciarsi più in generale sull’aborto: i giudici conservatori avrebbero potuto dare ragione al Mississippi approvando il limite delle quindici settimane, dando comunque un duro colpo all’accesso all’interruzione di gravidanza, ma senza annullare completamente la sua garanzia costituzionale. Questa sembra essere l’opinione del giudice Roberts, che nella concurrent opinion ha sottolineato la drammaticità di questa sentenza, con conseguenze non necessarie per risolvere il caso di specie.

 

 

Fonti e approfondimenti

Blake, A., “What Ruth Bader Ginsburg really said about Roe v. Wade”, The Washington Post, 27/06/2022.

Boccuni, P., Dalla Roe v. Wade alla Dobbs v. Jackson. Aborto in USA: storia di un processo al contrario”, salvisjuribus.it, 27/06/2022.

Centre for reproductive rights, “Roe vs. Wade and the right to privacy”, reproductiverights.com, 29/06/2022.

Huberfeld, N., “Returning regulation to the states, and predictable harms to health, SCOTUSblog, 30/06/2022.

Rao, R., “A eulogy to Roe, SCOTUSblog, 28/06/2022.

The New York Time Staff, “Read the Decision that Overturned Roe v. Wade: Dobbs v. Jackson, Annotated”,The New York Time, 24/06/2022.

The week staff, “The doctrine of stare decisis”, The Week, 22/05/2022.

 

Editing a cura di Cecilia Coletti

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