Di Enrico Breveglieri
Per decenni la caccia alle balene ha costituito uno dei biglietti da visita meno gratificanti per il Giappone: le immagini delle baleniere giapponesi che lottano contro i motoscafi di associazioni di attivisti come Greenpeace nei freddi mari dell’Antartide hanno solcato a lungo gli schermi televisivi suscitando indignazione.
Nel 2019, Tokyo ha formalmente abbandonato la Convenzione internazionale della pesca alle balene, perdendo la possibilità di continuare a cacciarle con la giustificazione della “ricerca scientifica”, dovendo limitare quest’attività solamente alle acque della propria Zona economica esclusiva.
Dove non sono arrivate proteste e pressioni diplomatiche potrebbero arrivare la legge della domanda e dell’offerta e una scelta nazionalistica poco saggia. Se l’industria baleniera giapponese si confermasse sulla strada del collasso economico, a guadagnarci sarebbero in primis le balene.
“Scopi scientifici”
Il Giappone entrò nella Commissione internazionale per la caccia alle balene nel 1951, organismo nato in seguito alla Convenzione Internazionale per la caccia alle balene, siglata nel 1946. L’obiettivo della Commissione era quello di praticare la caccia mantenendo gli stock stabili, garantendo a tutte le nazioni con flotte di baleniere di poter pescare a piacimento.
Tuttavia, la caccia sostanzialmente indiscriminata, che stava portando all’estinzione delle balene, spinse la comunità internazionale verso una moratoria totale alla caccia per scopi commerciali, varata nel 1982 e ufficializzata nel 1986. è in questa circostanza che il Giappone collaudò quella che sarebbe diventata la sua principale difesa e giustificazione per la caccia alle balene: la “ricerca scientifica”.
Il Giappone ha sempre fatto riferimento all’articolo 8 del testo del 1946, che conferisce agli Stati il potere di catturare balene per scopi di ricerca scientifici, in base a criteri stabiliti da organi non sovranazionali ma bensì interni.Da allora, ha continuato a cacciare le balene per scopi “scientifici” mai veramente tali: le balene catturate ogni anno erano decine, ma soprattutto la loro carne ha continuato a essere parte dei campionari dei supermercati giapponesi.
Tentativi di influenza
Tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000, diversi Stati dei Caraibi e dell’Africa entrarono nella Commissione internazionale. Dietro il loro ingresso c’era la mano nipponica, che a suon di investimenti in Paesi in via di sviluppo tentava di estendere la propria influenza, contando di orientare anche il processo decisionale della Commissione.
Poi, nel 2018, la svolta. Durante il meeting della Commissione a Florianópolis, una cittadina del Brasile, la Commissione votò contro la proposta giapponese per ripristinare la caccia con fini commerciali e decise di cambiare la propria impostazione: d’ora in avanti, l’obiettivo non sarebbe stato più quello di garantire la sostenibilità della caccia alle balene ma la sopravvivenza della specie.
Alla fine dell’anno, il Giappone abbandonò la commissione, sostenendo di non essere più in grado di salvaguardare l’indotto della caccia. Le pretese di condurre ricerche scientifiche di dubbia utilità si sono infrante e il governo giapponese disse le cose come effettivamente stavano: Tokyo voleva cacciare le balene, non studiarle.
Ora il Giappone può cacciare liberamente balene, ma può farlo unicamente nelle proprie acque territoriali e nella propria Zona economica esclusiva, un’area di 4.5 milioni di chilometri quadrati che in realtà è molto più ristretta delle distese oceaniche antartiche in cui le baleniere operavano. Ma soprattutto è una zona meno battuta dalle balene, il che riduce quindi il pescato massimo delle navi nipponiche. Una restrizione che, in ogni caso, sarebbe destinata ad avere un certo surplus.
La popolazione giapponese non vuole più la carne di balena
L’industria della caccia alle balene in Giappone soffre non solo per le restrizioni territoriali, ma anche per un mercato che si è ristretto di pari passo con il territorio di caccia.
La carne di balena è sempre meno consumata da cittadini e cittadine giapponesi. Dati relativi al consumo pro-capite di carne di balena del 2019 stimano un consumo medio di 30 grammi, equivalenti circa a due fette di prosciutto. Nonostante sia difficile dire nello specifico quali siano le cause di questa riduzione, è probabile che le immagini violente di balene agonizzanti trascinate sulle baleniere nipponiche abbiano avuto un impatto sui più giovani, che percepiscono la carne di balena come un pasto antiquato, appartenente al passato. Tra i fattori potrebbe esserci anche una nuova sensibilità alle tematiche green, dato che più studi hanno confermato i gravi danni per l’ambiente legati alla diminuzione nella popolazione di cetacei.
Va inoltre considerato quali sono i rischi per la salute della carne di balena, al cui interno si accumulano quantità relativamente ingenti di mercurio. Si tratta di un elemento presente ovunque all’interno della catena alimentare degli oceani, che però si accumula in concentrazioni sempre più alte tanto più è grande l’animale che consuma altri animali.
Un altro discorso inerente all’industria delle baleniere in Giappone è quello della dipendenza del settore dai sussidi elargiti dal governo, che sono in rapido calo. Nel 2020, il governo ha donato 5.1 miliardi di yen (circa 36 milioni di euro), che si sono ridotti ad appena 1.3 miliardi (poco più di 9 milioni) e poi sono stati sostituiti da un miliardo di prestiti annuali fino al 2024, anno in cui le compagnie del settore dovranno restituire le somme e rendersi economicamente indipendenti.
Si tratta di un traguardo virtualmente irraggiungibile dato il basso consumo e i prezzi in aumento, che sono una misura necessaria per i pescatori che devono aumentare il prezzo di vendita per andare in pari con le spese.
Il “fattore nostalgia”
Il sentimento comune sembra essere quello di voler mantenere attivo il settore, salvaguardando un’attività che molti cittadine e cittadini più anziani sentono come parte della propria cultura.
Infatti, il consumo di carne di balena e la caccia alle balene hanno fatto parte per secoli se non addirittura millenni della tradizione culinaria locale: le prime tracce di consumo di carne di balena risalgono all’epoca Jomon (che va dal 4000 al 300 avanti cristo) mentre le prime tracce di caccia alle balene con arpioni risalgono al dodicesimo secolo. Altra prova dell’importanza culturale della balena per i giapponesi? Godzilla è ispirato alla balena, come si intuisce dal suo nome Gojira, che assomiglia molto alla parola Kujira, ovvero balena.
Nelle piccole città storicamente legate alla caccia alle balene come Wada o Ishinomaki si tenta di riportare in auge il consumo di balena con iniziative simboliche, ad esempio includendola nei pasti delle mense scolastiche o facendo leva sul “fattore nostalgia” della generazione che ne faceva uso quando era molto più comune sulle tavole del Sol Levante.
Queste iniziative,tuttavia, sembrano non aver avuto successo nel risollevare il consumo a livello nazionale, che resta bassissimo. I negozianti sostengono che, nonostante alcuni la comprino per rievocare i tempi passati, questo non è abbastanza per tenere in piedi le vendite: Junko Sakuma, della Rikkyo University, parlava nel 2019 di 3700 tonnellate in magazzini di tutto il Paese.
A tutto ciò si unisce un terzo fattore negativo per l’industria: si pescano sempre meno balene. La ragione sembra essere correlata al riscaldamento globale ed è un problema che coinvolge tutte le popolazioni nel mondo, non solo quella giapponese.
E’ praticamente impossibile che tornino i tempi in cui la flotta di navi baleniere del Giappone solcava i mari del mondo per sfamare una popolazione giapponese allo stremo dopo una guerra mondiale persa a carissimo prezzo. Il settore non è economicamente sostenibile, il prodotto è poco appetibile (letteralmente, considerando quanto mercurio c’è nella carne di balena) e per colpa del riscaldamento globale ci saranno sempre meno cetacei nella Zona economica esclusiva giapponese dove il Giappone deve limitarsi a pescare dal 2018.
Nei decenni che verranno probabilmente l’industria della caccia alle balene per il Giappone diventerà qualcosa di simbolico, tenuta in piedi semplicemente per senso della tradizione e per folklore. E le balene, ammesso che non si siano estinte, manderanno i loro ringraziamenti.
Fonti e approfondimenti
Brown, Paul, “Japan admits using aid to build pro-whaling vote“, The Guardian, 11 novembre 1999
International Whaling Commission, International Convention for the Regulation of Whaling, 2 dicembre 1946
International Whaling Commission, Dichiarazione di Florianopolis, maggio 2018
Japan Whaling Association, “History of Whaling“
Leonard, Abigail, “In Japan, few people eat whale meat anymore, but whaling remains popular“, The World, 17 aprile 2019
Marco Press, “Japanese whaling industry on the brink of collapse: less demand, less subsidies for whale meat“, 2 agosto 2022
McCurry, Justin, “Japan’s whaling town struggles to keep 400 years of tradition alive“, The Guardian, 26 dicembre 2021
McKirdy, Euan, Jozuka, Emiko, “IWC withdrawal: Japan to resume commercial whaling in 2019“, CNN, 26 dicembre 2018
National Oceanic and Atmospheric Administration, “Whales and Climate Change: Big Risks to the Ocean’s Biggest Species“, 23 maggio 2022
New Zealand Herald, “New menu item for Japanese school lunches: whale meat“, 7 aprile 2019
nippon.com, “Whale Meat No Longer a Major Protein Source in Japan“, 7 gennaio 2019
Tejedor, Chrystian, “Whale consumption should be dramatically decreased in Caribbean to avoid mercury poisoning“, Florida International University, 25 maggio 2021
Tokyo Metropolitan Government, “What are Exclusive Economic Zones (EEZ)?”,
Walter Kille, Leighton, “Impact of whaling on the ocean carbon cycle”, Journalistresource, 5 settembre 2014
Westervelt, Allison, “The Perception And Reality Of Japanese Whale Hunting“, iGlobeNews, 13 novembre 2021
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