Una scuola democratica per un antifascismo militante

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Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Ogni anno, il 25 aprile è un’occasione non solo per celebrare la Liberazione ma anche per riflettere sul suo significato più intimo. Quello che assegniamo alla lotta antifascista nella nostra esperienza quotidiana. 

La questione è più attuale che mai. Nonostante il loro apparire sempre più grottesco, i rigurgiti nazifascisti oggi popolano l’Europa. Proprio il continente che, avendo saggiato una volta il putridume di quell’acqua, dovrebbe essere meno disposto al rituffarcisi. La storia, purtroppo, non sempre insegna. 

Ma la storia non parla da sola. Va fatta parlare, perché possono esistere quantomeno due versioni dello stesso fatto. Per questo, in ogni corso di comunicazione, una delle prime lezioni è dedicata alla strategia dello storytelling. Da una parte, il protagonista che vince. Dall’altra, l’antagonista che perde. 

Tra i banchi di scuola la storia me la ricordo più o meno così

Finita la grande guerra, l’Italia naviga senza timoniere in gran tempesta. Un’ideologia anti-umana riesce a vincere le menti di un popolo, perché approfittando di una serie di circostanze, un timoniere si fa avanti. È quello più sbagliato. Ma le istituzioni lasciano, per mero interesse o ancor più infame inerzia, campo libero. Chi non ci sta, viene accompagnato a randellate verso l’uscita dal retro. Finché le condizioni a un certo punto cambiano: l’impero non sembra più inscalfibile. Inizia il riscatto di un popolo. Dapprima mentalmente soggiogato, trova le forze nonché un valido aiuto esterno per riprendere le redini del proprio destino. 

È una semplificazione, certo. Protagonisti e antagonisti almeno sono chiari, penseranno i più ottimisti di voi. Il problema è che sono tra i pochi elementi a essere tratteggiati in maniera definita, quasi puntuale. Mancano però le sottotrame. Mancano però i rumori di quel ventennio e passa, divenuto all’improvviso una guerra a tutto campo. Mancano però i silenzi di quel periodo, e ve ne furono in abbondanza. Mancanze o abbondanze, in modi diversi, si fanno sentire. Se bastassero protagonisti e antagonisti per puntare al cuore, del resto, nessuno sentirebbe il bisogno di organizzare dei corsi di comunicazione – tanto meno di parteciparvi. 

Dopo anni di confronti e letture sul tema, ho buone ragioni per ritenere che siamo stati in parecchi, al termine del ciclo scolastico, a condividere un’esperienza troncata. Un’immagine tutt’al più sfocata di quanto è stato. Per non parlare del poi. L’Amnistia Togliatti, per esempio, penso ora valga da sola un approfondimento a puntate. Per il me di una decina d’anni fa, invece, rimaneva un detto non detto. Da scoprire in separata sede. Come il resto della storia, tra tentativi di golpe e stragi a mano armata – e coperta – dallo Stato. Che da soli bastano a smentire la narrazione attualmente mainstream. Il fascismo non è finito con l’anniversario di oggi. 

Io ho avuto fortuna: ho tempo e modo di leggere, di studiare

Per tanti della mia generazione, costretti a fare continuamente i conti con un presente precario e, peggio, vincolati a un futuro dal segno ancora più incerto, non è scontato. Senza dimenticare che, nel prossimo futuro, dovremo giocoforza fare i conti con l’uscita di scena delle ultime voci della Resistenza. Con loro, verrà inesorabilmente a perdersi un altro pezzo necessario. Che pure un paragrafo ben scritto difficilmente sarà in grado di restituire nella sua cruda umanità. Nel frattempo, le cose peggiorano. 

Basta vedere cosa è successo solo negli ultimi tempi. Diversi esponenti del governo, “Incalzati” dai giornalisti in vista della Liberazione, hanno dovuto scegliere se dichiararsi antifascisti o fingersi incoscienti. Come da tradizione, hanno optato per la seconda. Ma le risposte preoccupano, perché tradiscono una sempre maggiore fiducia nelle proprie intenzioni. Arrivano a svuotare pienamente la Costituzione, insieme al sacrificio di quanti hanno dato la vita per garantire i nostri diritti. 

A me ha colpito in particolare il ministro della Cultura, che qualche mese fa si è reso artefice di una vergogna indigeribile.

Sangiuliano ha infatti rilanciato la domanda di rito al suo interlocutore, chiedendo a questi di definirsi anticomunista. Il ministro conosce bene il fondamentale contributo offerto dai rossi alla realizzazione della democrazia italiana. Ma legittimare il discredito dei propri avversari davanti all’opinione pubblica per lui, per loro, è più importante. Perché così facendo, riescono a sviare, a deviare. A porsi, grazie al più melodrammatico dei mezzucci, sullo stesso piano dei propri interlocutori. Senza assumersi responsabilità. Su quelle, non sono mai andati forte. 

Invece l’assunzione di responsabilità è il sale della democrazia

Ed è la scuola il luogo in cui questa deve essere insegnata, anzi co-imparata. Per questo, abbiamo bisogno di un sistema educativo rifondato sulla spina dorsale della nostra Carta fondamentale: l’antifascismo.

Quella di scuola democratica è un concetto di cui si dibatte tanto, fin dall’immediato secondo dopoguerra. Quel che mi preme qui sottolineare è il capovolgimento frontale di quanto si sta verificando oggi, non a caso, sul fronte dell’educazione. Che credo c’entri intrinsecamente con la mancanza di profondità storica. 

È una scuola democratica quella in cui il confronto plurale si fa metodo non di insegnamento verticale, ma di crescita orizzontale, reciproca. Di pari passo, quella in cui la conoscenza della realtà – o come viene denominata oggi, la certificazione delle competenze e dei meriti – lascia il posto a un altro obiettivo, molto più essenziale da raggiungere. Ovvero la capacità di immaginare, e costruire insieme, le condizioni di superamento della realtà stessa. 

Uno dei più terribili detti e non detti, nel racconto della conquista del potere ad opera degli squadristi, è quello legato alla volontà di quanti “lasciarono fare”. Il timore allora comune tra le classi più abbienti era che, in seguito alla Rivoluzione d’ottobre, l’Italia corresse il rischio di diventare un’altra Russia. Si era spalancato un orizzonte del possibile che per molti rappresentava la fine dei – propri – privilegi. Per mettere a tacere l’alternativa, anche l’olio di ricino e le armi andavano bene. 

Ecco, senza giri di parole

Penso sia dovere di una scuola democratica prendere la violenza fascista e assumersi la responsabilità di schifarla. Senza aver paura di impressionare nessuno o di toccare delle corde sensibili.

Penso sia dovere di una scuola democratica attualizzare tutto questo. Aprendo una discussione senza filtri sulle negazioni terribili che vivono le tante categorie per cui l’orizzonte del possibile si schiaccia, oggi, per colpa delle decisioni di qualcun altro. Di quel qualcun altro che, a causa di un’escursione termica di potere, ingabbia generi, etnie, orientamenti sessuali in gelide gabbie. Che un sincero antifascista non può tollerare. 

Penso sia dovere di una scuola democratica invitare chi non riesce a fare i conti con il passato a non assumersi responsabilità improprie sul presente. Contrastando radicalmente l’humus da cui la sua presenza trae vitalità. 

Penso sia dovere di una scuola democratica scoperchiare i silenzi, ricucire le mancanze. Farsi, collettivamente, storia narrante. 

Senza limitarsi in sé stessa, perché la crescita che riguarda ciascuno e ciascuna di noi non deve avere frontiere già tracciate, a partire dall’intimo più e meno remoto. A partire dal nostro singolare essere scuola e insieme divenire. Da rifondare ogni giorno. 

Il 25 aprile, in fondo, è un ottimo punto di inizio.