La differenza tra cambiamento climatico e crisi climatica

riscaldamento globale
Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La comunità scientifica non ha più dubbi: il cambiamento climatico è realtà e i responsabili siamo noi. Eppure, il boato di questa saracinesca abbassata non ha ancora avuto tutti gli effetti sperati sull’opinione pubblica. Le ragioni sono molteplici. Le industrie fossili continuano a escogitare nuovi stratagemmi per salvare trivelle e giacimenti. I decisori politici posticipano la transizione ecologica, a volte per mancata lungimiranza, a volte per cieco interesse. I mezzi di comunicazione finiscono per rispecchiare le medesime contraddizioni, giocando nell’una o nell’altra direzione. 

Il cambiamento climatico, come tutti i fenomeni sociali, è anche una questione di narrazione. Ne sono consapevoli esperti e attivisti, che hanno aperto un confronto parallelo sulle vie più efficaci per parlare al cuore della società, partendo dalle  espressioni che utilizziamo nella vita di tutti i giorni. Cambiamento climatico e crisi climatica, per esempio, anche se spesso sovrapposti, possono incidere in modo diverso sulla percezione delle persone. Per questo è importante capire come e quando adottarli. 

Cambiamento climatico e crisi climatica: come cambiano le parole

«È una crisi climatica, non un cambiamento climatico». Con queste parole, nell’ottobre 2019, il Guardian annunciò un cambio di passo nel proprio racconto giornalistico in materia ecologica. Secondo la direttrice dell’epoca, Katharine Viner, la testata doveva rispettare due principi fondamentali: l’accuratezza scientifica e la chiarezza espositiva. Il Guardian optò per la cornice emergenziale ritenendola più idonea a descrivere lo stato delle cose. Ma soprattutto a favorire una concreta presa di coscienza della fetta di pubblico meno sensibilizzata. 

Per lo stesso motivo sono stati in tanti a premere per una “crisificazione” della questione ecologica, facendo leva sul cosiddetto framing. Ovvero sul processo con il quale un mittente, inserendo il proprio messaggio in una certa cornice, orienta chi lo riceve a una certa interpretazione dei problemi e delle loro soluzioni. Diversi attori sociali hanno così cambiato il modo in cui raccontano il tempo che stiamo vivendo. Nella speranza di spingere a un’agenda climatica più ambiziosa la comunità internazionale. Se si vuole far comprendere una verità complessa, del resto, è necessario scegliere attentamente le parole, in modo da attivare gli opportuni schemi interpretativi nella mente delle persone. Solo così si può costruire una narrazione della realtà che si dimostri convincente quando si rivolge all’opinione pubblica. E la spinga all’azione. 

A interrogarsi sul punto di vista da assumere per definire le proprie identità e narrazioni è la stessa società civile. In prima linea ci sono i movimenti ecologisti, che in questi anni hanno sviluppato concetti e strategie anche molto differenti tra loro. E sono andati in alcuni casi ben oltre la cornice della crisi, arrivando a dipingere lo scenario attuale come apocalittico o post-apocalittico. Una scelta dalle profonde conseguenze, che ha stimolato interrogativi nuovi rispetto alle azioni da intraprendere in una “catastrofe già avvenuta”. 

Cambiamento climatico o crisi climatica: una divisione politica 

Sottolineando la gravità del momento storico, gli aedi della crisi climatica – e così dell’emergenza o del collasso climatici – non si limitano a rispecchiare a parole il surriscaldamento del Pianeta, al contrario ne fanno una questione politica.Di fatto, quello che sta accadendo è che la società civile sta cercando di appropriarsi della narrazione sul clima. Si capisce bene quanto pesi tutto ciò dalla battaglia per le parole che si è combattuta negli Usa. 

Qui l’espressione “cambiamento climatico” nei primi anni Duemila raggiunse l’apice della popolarità su iniziativa di un consigliere per la comunicazione. Fu Frank Luntz a suggerire ai membri del Partito repubblicano di utilizzarla perché, non avendo un’accezione negativa, evitava di spaventare l’elettorato. Escludendo così l’idea di un fenomeno difficilmente governabile. Il messaggio andò in porto e “cambiamento climatico” si diffuse sempre più, scalzando il falso equivalente, poiché ben più preoccupante, di “riscaldamento globale”. Uno sviluppo che ha contribuito a determinare esiti apparentemente contraddittori. 

Per esempio, uno studio pubblicato su Public Opinion Quarterly nel 2011 rilevava un elemento interessante. Su un campione di sostenitori repubblicani, se il 56% dubitava dell’esistenza del “riscaldamento globale”, il 60,2% sosteneva che il “cambiamento climatico” fosse un fenomeno reale. In conti sono stati rimessi parzialmente in ordine da un’analisi del 2024. Oggi il 72% dei cittadini statunitensi è preoccupato quando sente parlare di “riscaldamento globale”. Ma solo il 68% lo è per il “cambiamento climatico”. 

La crisi scintilla del cambiamento

Nello studio emerge un altro dato interessante. de Bruin e Sinatra evidenziano che  i cittadini preoccupati per il “riscaldamento globale” o il “cambiamento climatico” sono di piú rispetto a quanti temono la “crisi climatica” o “l’emergenza climatica”. Per le autrici,  una dimensione centrale in questo passaggio è la familiarità. Quando minore è la consuetudine nell’uso di una delle espressioni, minori sono il senso di urgenza e il sostegno per un’azione politica in merito. 

Coprire gli ultimi metri di questa distanza è oggi una delle sfide principali per portare a termine il percorso iniziato dall’ultima ondata di movimenti ecologisti. Un percorso che, tuttavia, nasconde anche dei rischi. Un recente rapporto sottolinea che l’esposizione ripetuta a messaggi minacciosi e allarmanti può produrre un effetto anestetico e sbiadisce i contorni di un’emergenza. Dalla quale, nostro malgrado, siamo tutti risucchiati. Che fare allora?

La risposta cambia a seconda di ruoli e contesti. Tuttavia l’imperativo è unico e sempre valido, a partire da chi ha maggiori responsabilità nella riscrittura di questa traccia collettiva –  educatori, divulgatori, giornalisti: restituire trasparenza alla realtà. Del resto, come ricordano gli autori camminiamo tutti in un equilibrio fragile. Però non possiamo smettere di camminare. Come a dire: crisi è; cambiamento s’ha da fare. 

Fonti e approfondimenti 

Bruine de Bruin, W., Kruke, L., Sinatra, G. M., & Schwarz, N. (2024). Should we change the term we use for “climate change”?. Climatic Change, 177(8), 129

Lakoff, G. (2010). Why it matters how we frame the environment. Environmental communication, 4(1), 70-81 

Maibach, E. W., Uppalapati, S. S., Orr, M., & Thaker, J. (2023). Harnessing the power of communication and behavior science to enhance society’s response to climate change. Annual Review of Earth and Planetary Sciences, 51(1), 53-77 

McComas, K., & Shanahan, J. (1999). Telling stories about global climate change. Communication research, 26(1), 30-57

Ok!Clima. Novembre 2023 .La crisi climatica e come comunicarla  

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