COP29, tra presenti scomodi e assenti (in)giustificati

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Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Con oltre 70 mila partecipanti la COP29 a Baku in Azerbaijan è la più partecipata di sempre, dopo la COP28 tenutasi lo scorso anno a Dubai. Molti leader di Stati chiave per le negoziazioni climatiche hanno deciso però di non partecipare alla Conferenza. Contribuendo a creare un clima piuttosto negativo intorno a questa edizione, da molti vista come “COP di transizione” verso la prossima edizione. Che si terrà a Belem, in Brasile, nel cuore della Foresta Amazzonica

Le “forti divergenze” delle Parti

In realtà, ben più che le assenze di molti leader, a rendere il clima negativo intorno alla Conferenza sono le vedute “fortemente divergenti” che esistono intorno ai punti in agenda. Già la prima bozza negoziale girata alla fine della prima settimana di lavori ha rivelato l’impossibilità di raggiungere un accordo fra le Parti a causa di queste distanze. 

Molte trattative, particolarmente quelle in materia di mitigazione, si sono arenate e, preso atto dell’impossibilità di un accordo, l’Organismo sussidiario per l’attuazione (SBI) e per la consulenza scientifica e tecnologica (SBSTA) della COP hanno rinviato i lavori al prossimo negoziato, previsto a giugno 2025 a Bonn. Tra i divari che sembrano insormontabili ci sono i Contributi Nazionali Determinati (NDC) con orizzonte 2035.

 Secondo l’Emission Gap Report 2024, con gli attuali NDC il miglior risultato raggiungibile é un riscaldamento globale di +2.6°C sopra ai livelli pre-industriali. Obiettivo ben superiore rispetto a quello fissato dall’Accordo di Parigi. Per UNEP, alla base di questo mancato risultato c’è l’assenza di volontà politica. Che abbiamo visto anche in questi giorni a Baku.

Le Parti inedite alla COP29

Se l’assenza di volontà politica è però ormai una costante, inedite sono le alleanze createsi al tavolo delle trattative sugli NDC e sul Programma di Mitigazione. Da una parte Unione Europea, Canada, Svizzera e SIDS. Dall’altra il gruppo dei Like-Minded Developing Countries (LMDC), che comprende anche Cina e India, insieme al gruppo dei Paesi arabi (Arabia Saudita in testa) e di quelli africani. 

Il primo gruppo comprende molti dei Paesi che hanno aderito all’High Ambition Coalition (HAC). Una coalizione di 25 Stati (tra cui membri UE, Canada, Kenya, Zambia, Cile, Colombia e i SIDS) che spinge per l’allineamento degli NDC alla climatologia, l’uscita dai combustibili fossili e un impegno piú ambizioso contro la lotta al cambiamento climatico. Con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2025, del 60% entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. 

Le assenze di peso alla COP29

Di fronte a una volontà apparentemente così netta di assumere la leadership globale nella lotta al cambiamento climatico, le assenze illustri  suonano stridenti. Guardando al continente europeo, la Presidente della Commissione europea von der Leyen non é volata a Baku per “impegni istituzionali”. All’appello mancano anche il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz. Il primo ha scelto di boicottare l’Azerbaijan a seguito dell’offensiva militare azera contro i separatisti armeni del Nagorno-Karabakh. Il secondo ha rinunciato a causa della recente crisi di governo. 

Dalle Americhe, mancano leader centrali come il presidente uscente degli Usa Biden, che aveva deciso di non partecipare ancor prima di conoscere l’esito elettorale, il Primo ministro canadese Trudeau e il presidente brasiliano Lula da Silva, assente a causa di un trauma cranico. Ma grandi assenti si contano anche nel gruppo guidato dalla Cina. Così come quello indiano e quello saudita, nemmeno il presidente cinese è partito alla volta dell’Azerbaijan. 

Le altre contraddizioni, dentro e fuori dal tavolo 

Seppur con meno risonanza mediatica, anche il Primo ministro di Papua Nuova Guinea ha deciso di disertare la COP29. Una posizione significativa, assunta in segno di protesta contro la mancanza di un sostegno credibile “alle vittime del cambiamento climatico”. Che nei SIDS sono e continueranno a essere moltissime. Il ministro degli Affari Esteri ha definito la COP29 addirittura una “totale perdita di tempo”, vista la completa inefficacia delle precedenti COP.

Presenti in molti sono, invece, i presidenti africani (Ghana, Togo, Guinea-Bissau, Repubblica Democratica del Congo) e dei Paesi arabi. Ad accomunare questo secondo gruppo di Paesi è la volontá di boicottare la discussione di piani e obiettivi concreti per l’uscita dai combustibili fossili. E il rifiuto di trattare qualsiasi programma di mitigazione, insistendo affinché i gli impegni degli NDC si basino esclusivamente sull’Accordo di Parigi.

Nonostante le assenze illustri, il numero di partecipanti alla Conferenza è altissimo. Con più di 2000 funzionari, l’Azerbaijan ha la delegazione più numerosa, seguita da Brasile, Turchia, Emirati Arabi e Cina. L’Italia è il Paese europeo piú presente con 437 delegati, il triplo di quelli di Francia e Spagna. Tra le delegazioni piú piccole, invece, spiccano Niger e Nicaragua. 

Le premesse dell’Unione Europea

La posizione negoziale dell’UE alla COP29 è stata approvata il 14 ottobre scorso da una Commissione non ancora formalmente insediata e da un Consiglio dell’UE presieduto dall’Ungheria, notoriamente “clima-scettica”. La ministra ungherese per gli Affari ambientali e l’Economia circolare, Anika Raisz, ha, peró, garantito che “l’UE continuerà a svolgere un ruolo di primo piano negli sforzi internazionali per limitare il riscaldamento globale”.

Nel documento che serve da base per le negoziazioni, l’UE sottolinea l’importanza di concordare un Nuovo Obiettivo Finanziario (NCQG). Che presenti un approccio multilivello e sia in grado di accogliere finanziamenti da un gruppo più ampio di contributori, privati inclusi. Bruxelles sembra infatti riconoscere che gli Stati da soli non siano in grado di sostenere finanziariamente le decisioni negoziate alla COP29 e sembra volersi appellare a donazioni private volontarie. Quanto alla formulazione dei piani climatici per il 2025, l’UE chiede invece agli Stati maggior ambizione

Le ambizioni dell’Unione Europea

Per ora, seppur il suo impegno climatico sia ancora insufficiente, l’UE si colloca tra i primi 15 attori con le migliori performance secondo il Climate Change Performance Index, con 7 Stati membri (Danimarca, Olanda, Svezia, Lussemburgo, Estonia, Portogallo e Germania) che la precedono e 40 posizioni sopra Stati Uniti e Cina. Del resto, il Green Deal (la strategia UE per il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050) ha rappresentato un punto di svolta nelle politiche climatiche globali ed è valso a Bruxelles il riconoscimento della leadership internazionale in questo campo.

Nonostante le rassicurazioni della presidenza di turno ungherese, l’agenda climatica dell’UE per questa COP29 sembra meno ambiziosa che nelle precedenti edizioni della Conferenza, particolarmente quelle di Glasgow e Dubai. Un fattore che gioca sicuramente a sfavore del ruolo UE come leader mondiale contro il cambiamento climatico è la composizione del Parlamento Europeo risultante dalle elezioni di giugno 2024

Rispetto alla tornata elettorale del 2019, i verdi e i liberali hanno perso 41 seggi a favore di gruppi di estrema destra ostili alle politiche ambientali e climatiche. Anche la recente vittoria di Trump negli Stati Uniti non aiuta Bruxelles, che in ambito di trattative sul clima perde un alleato importante nei negoziati con la Cina e con i grandi produttori di petrolio della regione del Golfo.

Stati Uniti: presto fuori dagli Accordi di Parigi? 

La partecipazione della delegazione statunitense è sotto tono a seguito del trionfo di Trump alle recenti elezioni. Per i negoziati globali sul clima, questa notizia significa una sola cosa: l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, così come era già accaduto nel 2019. Il neo rieletto presidente ha già dichiarato che questa volta non si fermerà alla firma dell’ordine esecutivo per il ritiro dall’Accordo. Ma che punterà anche all’uscita dalla Convenzione Quadro sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, adottata durante il Summit della Terra del 1992 a Rio de Janeiro per stabilizzare le emissioni di gas serra. 

Apertamente negazionista climatico, Trump non ha mai nascosto di voler puntare sull’energia da fonti fossili (prevalentemente petrolio) per diminuire la dipendenza degli Stati Uniti dall’approvvigionamento energetico dall’estero e per rilanciare il settore manifatturiero, creando nuovi posti di lavoro a discapito delle professioni green. Secondo il tycoon, l’uscita dall’Accordo di Parigi aiuterebbe gli Stati Uniti anche nella competizione economica con la Cina, visto che le condizioni imposte dall’Accordo sfavorirebbero Washington.

Cosa significherebbe il ritiro degli Stati Uniti 

Questo cambio di rotta della politica climatica statunitense avrà un impatto enorme sugli impegni climatici globali, a cominciare dalle risorse finanziarie. Infatti, secondo i principi di “chi inquina paga” e della “responsabilità storica” dell’Accordo di Parigi, i Paesi che hanno contribuito maggiormente alle emissioni climalteranti per alimentare la loro crescita economica devono essere i maggiori finanziatori della lotta al cambiamento climatico. Gli Stati Uniti rientrano a pieno diritto in questa categoria. Tuttavia, se Trump li sfilerà veramente dall’Accordo, tutti questi obblighi cadranno.

Il ritiro di Washington potrebbe avere anche altre importanti ripercussioni finanziarie. Infatti, per limitare le divergenze su questo tema (e quindi la stasi), la strategia proposta alla COP29 è quella di reperire i fondi principalmente da enti internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale. Sebbene si tratti di organi internazionali indipendenti, gli Stati Uniti hanno un’influenza molto importante su di essi. Quindi, non è inverosimile pensare che Washington potrebbe ostacolarne i finanziamenti. 

Il nuovo ruolo della Cina

In questo scenario globale, la Cina continua a crescere ed emettere. Pechino, che produce da sola il 33% delle emissioni globali, prevede di raggiungere il picco massimo nel 2030. E, secondo una legge varata poco prima di COP29, si dà l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. 

La posizione cinese alla Conferenza di Baku è di sostanziale ostruzionismo, soprattutto in materia finanziaria e di mitigazione. Nonostante rappresenti la seconda economia al mondo, la Rpc continua a rifiutarsi di contribuire finanziariamente agli impegni climatici globali, in quanto si considera (e vuole continuare a essere considerato) ancora Paese in via di sviluppo. Inoltre, la sua opposizione durissima alle proposte della High Ambition Coalition per l’uscita dal combustibile fossile e per un maggior impegno climatico sta totalmente arenando le trattative della COP29.

Ciò detto, è impossibile non riconoscere che la Cina abbia investito intensivamente in energie rinnovabili. E guidi incontrastata la loro diffusione nel mondo, grazie al suo monopolio della catena di lavorazione e commercializzazione dei minerali critici alla base delle tecnologie per la transizione energetica e digitale. Tra l’altro, dato che l’UE e gli Stati Uniti hanno avviato le procedure di imposizione di dazi all’importazione di veicoli elettrici, pannelli solari e batterie prodotti in Cina, è probabile che la delegazione cinese presente a Baku stia lavorando per trovare nuovi sbocchi commerciali. Proiettando la sua influenza economica, anche in questo campo, soprattutto sui Paesi del Sud globale.

I petro-Stati della COP29

Già dalla scorsa edizione di COP, gli Stati produttori ed esportatori di petrolio, i cosiddetti petro-Stati stanno avendo un ruolo chiave nei negoziati climatici. La COP28 di Dubai si era chiusa con gli organizzatori che si vantavano del successo ottenuto per essere riusciti a nominare per la prima volta nel documento finale della Conferenza i combustibili fossili. Tuttavia, proprio a causa delle pressioni dei petro-stati e delle lobby del fossile, anziché accordarsi sulla necessità di  “eliminare le fonti fossili”, gli Stati avevano convenuto sul ben meno urgente bisogno di “allontanarsi gradualmente” dall’utilizzo di fonti fossili.

Questa edizione della COP si è aperta il 12 novembre scorso con un controverso discorso del presidente azero Aliyev secondo il quale possedere giacimenti di gas e petrolio è un “dono di Dio”, che ha permesso al suo Paese di arricchirsi. In effetti, l’Azerbaijan figura a pieno diritto tra i petro-stati, poiché le esportazioni di petrolio e gas rappresentano il 90% degli introiti provenienti dalle esportazioni, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto Interno Lordo. Secondo il presidente Aliyev petrolio e gas sono risorse naturali come sole, vento, rame e oro e “i Paesi non dovrebbero essere incolpati di averle e di fornirle ai mercati, perché i mercati ne hanno bisogno”.

Dagli interessi ai bilanci della COP29

Letta tra le righe, questa dichiarazione sembra legittimare la presenza alla COP29 di ben 1.773 lobbisti, che se considerati tutti insieme rappresentano una delle delegazioni piú numerose. Alla testa di questa compagine c’è indubbiamente Socar, azienda nazionale azera di petrolio e gas naturale che sembra stia approfittando della COP per ampliare le sue relazioni commerciali. Secondo un’indagine dalla ONG Global Witness, “i funzionari della COP29 hanno usato la loro posizione per facilitare accordi su petrolio e gas durante la conferenza sul clima”. 

A queste rivelazioni si aggiunge un crescente numero di prove secondo le quali le COP del clima sono sempre piú viste come un luogo dove fare affari con i combustibili fossili, a dispetto degli sforzi per proteggere le negoziazioni dai conflitti di interesse. Quando si tratterà di tracciare il bilancio del forum, dovremo ricordarci tutto questo. 

Fonti e approfondimenti 

Afp. 2024. E’ cominciata a Baku, in Azerbaijan la conferenza sul clima COP29, Internazionale, 11/11/2024.

Barbieri, M. 2024. Di cosa si discuteva nel Mitigation Work Programme, Italian Climate Network 16/11/2024.

Climate Action Tracker. 2024. Overall rating of EU climate action. Climate Action Tracker, 06/02/2024.

CCPI.2024. Climate Change Performance Index 2025

Collini, S. 2024. La Cop29 tra il petrostato Azerbaigian e un’Italia alle prese col rischio dipendenza da gas, Green report.it 12/11/2024.

Di Donfrancesco, G. 2024. Cop29: è già lite sull’agenda dei lavori. Obiettivo 1000 miliardi per i Paesi più poveri, Il Sole 24 Ore, 11/11/2024.

Di Rocco, A. 2024. Clima, alla Cop29 di Baku la Cina si prepara a diventare paladina dell’ambiente. Mentre Trump si sfila dagli accordi, Milano Finanza 11/11/2024.

Economia Circolare. 2024. Alla Cop29 l’UE chiede piú ambizione agli Stati e alle imprese, Economia Circolare.com 17/10/2024.

Euronews Green. 2024. Cop 29: leader politici assenti per motivi politici e sfiducia nella lotta al riscaldamento del clima, Euronews 10/11/2024.

Fabbri, F. 2024. COP29. La Cina investe più di tutti in energia pulita (e più di tutti inquina), il suo ruolo nella decarbonizzazione globale, Energia Italia News, 11/11/2024.

Global Witness. 2024. COP29 is for oil deals, Global Witness 08/11/2024.

Graziosi, S. 2024. La Cop parte in salita: USA fuori dagli accordi e tanti grandi assenti. Panorama, 11/11/2024.

Mazzantini, U. 2024. Il presidente esecutivo della COP29 Unfcc scoperto a promuovere accordi sui combustibili fossili, Green report.it 08/11/2024.

Sky Tg 24. 2024. Cop29, il paradosso dell’Azerbaijan: il 92% dell’export del Paese riguarda gas e petrolio, Sky Tg24, 12/11/2024.

UNEP. Emission Gap Report 2024

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