Chi frequenta il deserto conosce e teme i diavoli di sabbia. La meteorologia descrive questo fenomeno come un innalzamento circoscritto della temperatura in una zona secca e deserta che porta alla formazione di una tromba d’aria che stravolge il terreno, alzando una colonna di polvere che modifica il paesaggio e il terreno circostante. Il fenomeno non è molto pericoloso per i danni che può provocare, ma per la capacità di far perdere l’orientamento. Il diavolo di sabbia è la perfetta metafora dell’attuale Medio Oriente, più la tensione si alza più aumenta il rischio che tutto si ribalti.
La situazione tra Siria e Turchia è l’emblema di questa immagine. Pochi mesi fa Erdogan era un presidente in grande difficoltà, soprattutto dopo l’abbattimento dell’apparecchio militare russo al confine con la Siria. Sembrava pronto a tutto pur di dialogare con l’Europa nella ricerca di appoggio internazionale. Mentre il nuovo sultano era in grande difficoltà il suo odiato nemico, Bashar Al Assad, era in grande crescita. La Siria sembrava destinata a tornare unita nelle mani del suo precedente padrone. Il presidente aveva riacquisito peso internazionale e aveva liberato città importanti, come Palmira, dalle mani dei combattenti di Daesh e dai ribelli moderati grazie al supporto russo.
La temperatura si è alzata e il sistema si è ribaltato riportandoci un immagine totalmente differente rispetto a quella precedente solo pochi mesi dopo.
La Turchia è stata colpita al cuore e ha tenuto il fiato sospeso, per speranza o per paura, la notte del 15 luglio quando una parte delle forze armate ha tentato il colpo di Stato. Erdogan ha sfruttato questo evento per scatenare una guerra all’opposizione. Più di 50.000 persone sono state arrestate e ancora di più sono state allontanate dal proprio lavoro perché contrarie al presidente e nemiche dello Stato. Questo ha confermato l’immagine che avevamo fotografato pochi mesi fa. Erdogan davanti a questo episodio ha voltato le spalle alla sua politica estera, di facciata, pro occidente e si è girato verso l’unico appoggio che poteva trovare: la Russia. Pochi mesi prima i due presidenti si erano scambiati ignominiose accuse dopo l’abbattimento dell’aereo e adesso si incontrano e firmano contratti economici milionari e cooperano sul campo.
La Siria sembrava dover essere condannata a portare avanti una guerra sfiancante in nome della rivalità tra Erdogan e Assad, tra Russia e NATO, tra curdi e jihadisti ma ha assistito ad un cambio di scenario inaspettato. Mentre in Italia si assisteva al terremoto del Centro Italia, in Medio Oriente hanno assistito ad un terremo diplomatico nel momento in cui truppe turche, coordinate a truppe lealiste siriane, hanno varcato il confine e attaccato le postazioni jihadiste e le postazioni curde. L’ordine era quello di non permette ai curdi di formare un territorio proprio al confine turco e non permettere al mondo di pensare che la Turchia fosse una supporter dei terroristi islamici.
Putin è stato l’architetto di questo grande accordo, dopo aver capito che i ribelli non sarebbero stati annientati dalle forze di Assad, pur avendo tentato di piegarli con il bombardamento sistematico dei civili. La situazione si è modificata e se fino a pochi mesi fa sembrava impossibile una tregua sul campo in Siria, nei giorni scorsi si è arrivati ad un accordo, che per una settimana farà tacere le armi.
Gli Stati Uniti e la Russia si sono colpiti a suon di cyber terrorismo e accuse in sede diplomatica per tutti gli ultimi mesi, ma all’improvviso sono riusciti ad arrivare ad un accordo che nessuno sembrava neanche immaginare. Alcuni analisti definivano la Siria una guerra senza fine, incapace anche di essere fermata da una tregua. La tensione è salita troppo e in questo caso ha portato ad un diavolo di sabbia calmo in cui si contano i morti degli scontri degli ultimi dodici mesi.
Ma il Medio Oriente non è solo la Siria, mentre tutte le super potenze mondiali e regionali sono bloccate nelle sabbie di Damasco, nel Golfo Persico la situazione è cambiata e la tensione non è mai scesa. Quattro mesi fa l’Arabia Saudita sembrava la potenza dominante in Medio Oriente, aveva proposto l’invio di truppe in Siria per risolvere la situazione e la coalizione saudita in Yemen stava portando risultati. Il regno dei Saud adesso è in una situazione totalmente differente, dopo l’uscita dei vari fascicoli sull’undici settembre sono sempre più limpidi i collegamenti tra il paese e gli attentatori e questo ha causato gravi problemi internazionali. Dall’altra parte il paese sta perdendo potere economico a favore dei rivali iraniani, che sulla sponda opposta del Golfo vendono le proprie riserve di petrolio e cercando di diventare un punto centrale della regione.
Casa Saud sa di non poter permettere questo e conosce bene le dinamiche del Medio Oriente. Sa di dover alzare la tensione affinché tutto si ribalti, sa di dover creare un diavolo di sabbia. I sauditi negli ultimi mesi hanno reso praticamente impossibile l’arrivo dei fedeli iraniani per il pellegrinaggio annuale, hanno continuato a bloccare navi iraniane nel golfo e hanno perpetuato violenze sulle minoranze sciite e sui cittadini iraniani in territorio saudita. Tutti tentativi volti a scatenare una reazione iraniana, sapendo a monte che l’occidente intero si schiererà al proprio fianco. Davanti a queste provocazioni, per adesso, Teheran sembra essere capace di resistere, mostrando una buona conoscenza di come vanno le cose in Medio Oriente.
Il diavolo di sabbia modifica il panorama, ma mantiene una costante: stravolge quello che lo circonda.I capovolgimenti politici mediorientali agiscono allo stesso modo, la situazione si modifica, gli attori geopolitici cambiano alleanze, ma restano sul campo molte vite.
Fonti e Approfondimenti:
http://edition.cnn.com/2016/09/13/middleeast/syria-ceasefire/
https://www.foreignaffairs.com/articles/syria/2016-09-12/born-fight
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