Aggiornato il 04/04/2023
Il gerrymandering rappresenta l’atto di tracciare o modificare in modo ingannevole i confini dei collegi elettorali per manipolare l’esito delle votazioni. Sebbene oggetto di dibattito e spesso criticato, risulta ancora difficile contrastare questa pratica.
Il termine “gerrymandering” deriva da una vignetta satirica del Boston Sentinel del 1812, in cui si faceva ironia sul modo in cui il governatore Elbridge Gerry disegnò i confini dei collegi elettorali della Contea di Essex, in Massachusetts. Gerry modificò le circoscrizioni per favorire il suo collega di Partito Federalista, creando distretti con forme particolari e talmente evidenti da suscitare ilarità, in particolare uno che ricordava un drago. Da qui nacque il termine “gerrymandering“, che deriva dalla combinazione del nome di Gerry con “salamander” e il suffisso “-ing“.

Elkanah Tisdale, Originally published in the Boston Centinel, 1812
Come i confini dei collegi elettorali influenzano le elezioni
Le leggi elettorali sono gli strumenti che convertono i voti in cariche elettive, un obiettivo che non può prescindere dai confini geografici. Che si tratti di elezioni nazionali o regionali, con sistema proporzionale o maggioritario, i candidati competono in un’area geografica delimitata, i cosiddetti collegi elettorali o distretti.
A seconda del tipo di voto, i collegi assegnano una o più cariche, ma devono rispettare alcune regole: essere contigui e avere una popolazione proporzionale al numero di seggi che assegnano. Tuttavia, l’obbligo di unità territoriale è alla base del gerrymandering, una pratica illegale e strumentale che traccia confini ingannevoli per manipolare l’esito delle votazioni.
In nome della necessità di rispettare l’unità territoriale, i governanti corrotti disegnano collegi elettorali con forme astruse e articolate, raggruppando le comunità in base alle loro tendenze di voto. Questa pratica ha effetti diversi a seconda del contesto in cui viene applicata, ma resta un tema dibattuto e spesso sotto accusa.
Il Gerrymandering nei sistemi proporzionali
Nei sistemi elettorali proporzionali i collegi sono grandi e assegnano un numero variabile di seggi, sempre maggiore di uno, che vengono ripartiti in modo proporzionale. L’impronta del sistema elettorale nella tutela dei partiti minoritari influenza la ripartizione dei seggi e il gerrymandering agisce solo sull’esito della ripartizione, invece che escludendo determinati candidati.
Tuttavia, è difficile che questo ottenga un impatto significativo in queste votazioni, proprio a causa della necessità di spostare grandi flussi di voti perché l’effetto sia tangibile. L’esistenza di confini storici dei collegi territoriali rende inoltre rare le occasioni di ridefinizioni dei distretti, e quindi la possibilità di fare gerrymandering.
Nel caso dei sistemi elettorali proporzionali, l’unica forma di “ingegneria elettorale” è quella che riguarda la dimensione dei collegi. I collegi più piccoli richiedono l’ottenimento di percentuali di voto più alte per partecipare alla spartizione delle cariche, mentre quelli più grandi “aiutano” i partiti minori. Le mappature con pochi grandi collegi sono quindi favorevoli ai partiti minori, mentre quelle con molti collegi ristretti sono molto penalizzanti per loro.
Per questo motivo, il gerrymandering viene spesso associato ai soli sistemi maggioritari, anche se l’assunto è impreciso.
Il gerrymandering nei sistemi maggioritari
Le elezioni svolte con il sistema maggioritario sono caratterizzate dalla competizione diretta tra i candidati dei vari partiti per un unico seggio disponibile in una determinata circoscrizione. La mappatura dei collegi diventa quindi fondamentale per stabilire chi sarà il vincitore, poiché ogni voto conta molto in una competizione altamente polarizzata.
In un sistema in cui basta ottenere un singolo voto in più del proprio avversario, infatti, la ricompensa offerta da un collegio favorevole è enorme, e quindi il gerrymandering è un’azione estremamente remunerativa. Ottenere un piccolo vantaggio grazie a come viene disegnato il proprio collegio permette di escludere completamente il proprio avversario dalla gestione del potere, e di proteggere o addirittura intensificare il vantaggio indebito ricevuto da questa situazione.
In questo contesto, sono state sviluppate tecniche per interferire efficacemente con la normale competizione elettorale, rendendo il disegno dell’area in cui competono i candidati cruciale per il risultato finale.

A seconda del disegno dei collegi, gli stessi voti portano a tre risultati diversi
Le tecniche del gerrymandering
Una tecnica che potrebbe aumentare l’efficacia del gerrymandering è il “packing“, ovvero il raggruppamento dei voti uguali in un singolo distretto. In questo modo, il partito bersaglio otterrebbe una vittoria con una percentuale elevata ma sarebbe indebolito nei territori circostanti, che andrebbero quasi certamente ai concorrenti.
Al contrario, la tecnica del “cracking”, ovvero la suddivisione di una zona fedele a un partito tra quelle vicine, potrebbe rendere il partito complessivamente meno forte in tutti i distretti, portando a una diminuzione dei seggi nei sistemi proporzionali o a rischiosi “testa a testa” in quelli maggioritari. In alcuni casi, questa tecnica può essere utilizzata in modo vantaggioso anche per il partito la cui area viene divisa, in modo da conquistare voti favorevoli in più di un solo collegio.
Altre due tecniche sono usate specialmente nei sistemi maggioritari, in particolar modo negli Stati Uniti:
Un’azione molto efficace è il “rapimento” (kidnapping) che consiste nell’accorpare le aree di influenza di due candidati forti in un unico distretto, in modo che almeno uno di loro venga sconfitto e non acceda ad alcuna carica elettiva.
Altra tecnica comune di gerrymandering è il “dirottamento” (hijacking) che consiste nel ridisegnare i confini del distretto in cui un candidato forte intende correre, escludendo le aree a lui particolarmente favorevoli, così da indebolirne la candidatura.
La sfida del gerrymandering: bilanciare imparzialità e rappresentanza politica
Il gerrymandering è un problema scottante in moltissimi paesi con sistema elettorale maggioritario, primo tra tutti gli Stati Uniti, e in tutti il nocciolo della questione è sempre lo stesso: a chi spetta la responsabilità della mappatura dei collegi e come poter assicurare la sua imparzialità?
Questa infatti può essere valutata solo a posteriori dopo le votazioni, per quanto il sospetto a volte sia lecito. Gli organi che svolgono questo compito, per quanto indipendenti, sono inoltre soggetti alla corruzione. Vi è poi un problema addizionale:
In teoria la mappatura migliore sarebbe quella che assicura una rappresentanza fedele con le percentuali complessive di voto nell’intero Stato o regione ma, anche in buona fede questa operazione non è possibile, dato che il voto non è completamente prevedibile se non a grandi linee.
Una rappresentanza così fedele non è perfettamente ottenibile nella realtà dei fatti ma può essere utilizzata come misura della bontà dei confini una volta che vengono tracciati, a seconda di quanto il risultato finale differisca da quello virtualmente ottenibile con i collegi ottimali. Più c’è discrepanza tra voti e seggi ottenuti dai partiti a livello nazionale, più è lecito pensare che ci siano stati degli errori (o delle manipolazioni) nella definizione dei collegi.
Fonti e Approfondimenti
Daniel Z. Levin (1988) Measuring a Gerrymander, Michigan Journal of Political Science
Fairvote Action, Gerrymandering
American Civil Liberties Union – Voting Rights Project, Everything you always wanted to know about redistricting