Diritto a quale vita? Il caso di El Salvador

diritto all'aborto
@ProtoplasmaK - Flickr - CC BY-SA 2.0

L’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo afferma: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.” e da questa disposizione, con l’evoluzione sociale e dei costumi, ha tratto origine il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Il che potrebbe sembrare una contraddizione, poiché se si afferma il principio di intangibilità della vita umana non potrebbe affermarsi in misura speculare il diritto di impedire il sorgere di una nuova vita.

Eppure, un’interpretazione meno superficiale consente di sciogliere questo dubbio: la salute e la sicurezza della persona hanno pari importanza rispetto al diritto alla vita e, in caso di contrasto, si deve procedere a un congruo bilanciamento delle esigenze.

Il possibile pericolo della vita e/o della salute psicofisica della gestante consentono un sacrificio della vita del feto. Il diritto all’aborto è una conquista relativamente recente, in Italia è stato introdotto solo nel 1978 con la legge n. 194, e in alcuni Stati rappresenta ancora una chimera. In Sud America e in particolare nello Stato di El Salvador, si soffre la mancanza di legislazione in merito, come emerge dai frequenti casi di condanna a reclusione nei confronti di donne che hanno praticato o subito un aborto.

Il caso di el Salvador

Pochi giorni fa Maira Verónica Figueroa Marroquín è stata scarcerata dopo 15 anni, scontati per una condanna del 2003, originariamente computata a 30 anni, per aver avuto un aborto spontaneo, che nello Stato è considerato omicidio, aggravato nel suo caso. La gravidanza era stata il risultato di uno stupro, ma nemmeno questa circostanza ha fatto sì che vi fosse una tutela nei confronti della donna, la quale doveva tenere il bambino.

Stando a quanto riporta l’Art 133 del Codice Penale salvadoregno: “colui che provoca con il consenso della donna o la donna che si provoca un aborto o che consenta ad altra persona di praticarlo, sarà punito con la reclusione da 2 a 8 anni.”

Questa disposizione deriva dalla riforma del Codice del 1998, che ha prodotto una punibiltà assoluta, in quanto ha eliminato le cause scriminanti prima ammesse e cioè il pericolo per la vita della donna, il caso di violenza o di stupro e il caso di grave malformazione del feto. Si trattava, comunque, di previsioni tassative, ma che permettevano uno spiraglio di flessibilità, ora completamente eliminato. A ciò è seguita la riforma della Costituzione salvadoregna, la quale riporta all’art. 1, posizione strategica, che si riconosce alla persona umana la sua condizione di essere umano sin dal momento del concepimento, essendo sin da quel momento titolare di diritti, quindi in primis quello di intangibilità della persona. Dal combinato disposto delle due norme emerge la gravità della situazione, poiché ormai non vi sono previsioni di depenalizzazione del reato in alcun caso.

Lo scorso anno il Ministro della Salute Violeta Menjivar aveva avanzato, su proposta del partito “Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN)”, una revisione del testo dell’art. 133 c.p., che prevede 4 casi specifici di concessione del diritto all’aborto:

  • in caso di pericolo di vita e della salute della donna
  • quando la gravidanza sia derivata da violenza sessuale o da tratta di persone
  • quando sussista una malformazione del feto che gli renda impossibile la vita extrauterina
  • in caso di violenza sessuale contro un minore o in casi di stupro (relazioni sessuali tra adulti e minorenni).

Il Ministro aveva avallato la proposta per il fatto che si atteneva ai dettami socio religiosi che influenzano il potere politico nel Paese, in quanto potrebbe introdurre misure del tutto eccezionali, tassative e subordinate ad un parere medico, che autorizzi l’aborto in modo tale da praticarlo nel modo più sicuro possibile. Infatti, secondo dati risalenti del Ministero della Salute salvadoregno, tra il 2005 e il 2008 vi sono stati 19.290 casi di aborti clandestini, provocati con metodi primitivi e dolorosi, che hanno recato gravissimi danni alla salute della donna.

La proposta è ancora oggi in elaborazione, dovendosi scontrare con forti resistenze del governo conservatore, che sembra ignorare la gravità della situazione.

Uno dei problemi che ancora persistono secondo varie associazioni che agiscono sul territorio, una fra tutte Agrupación Ciudadana por la Despenalización del Aborto Terapéutico Ético y Eugenésico, è la connessione tra l’impunità per le violenze a danno di minorenni e il mancato diritto all’aborto in caso che queste causino una gravidanza. Ovviamente questa associazione ha come obiettivo fondamentale quello di raggiungere una depenalizzazione sull’interruzione volontaria di gravidanza che sia la più giusta e fruibile per tutte le donne del Paese, essendo ancora appannaggio del ceto più elevato ricorrere all’aborto in modo sicuro e segreto, ma in particolare si cerca di far concentrare l’attenzione su questo specifico evento che è una piaga troppo diffusa. Si stima, infatti, che nello scorso anno il numero di violenze sia impennato fino al 524%, cifre inquietanti che fanno intuire la gravità della situazione, soprattutto perchè le vittime erano minorenni.

 

La Commissione Intramericane dei Diritti dell’Uomo

La situazione è stata oggetto di numerosi interventi e pronunce da parte della Commissione Interamericana dei Diritti dell’Uomo, che non ha potuto evitare di criticare l’attuale assetto normativo del Paese.

La Commissione esercita un ruolo fondamentale nella cura e nello sviluppo della tutela dei diritti umani nei Paesi membri della OAS, ossia della Organization of American States. Questa organizzazione fu istituita con la Prima Conferenza Internazionale degli Stati Americani, tenuta a Washington D.C. da ottobre del 1889 fino ad aprile del 1890 e a cui si deve la creazione della Unione Internazionale degli Stati Americani, come forma primordiale della Organizzazione Interamericana. Quest’ultima deve la sua forma attuale alla conferenza di Bogotà del 1948, nella quale si forma la Carta dell’OAS, in vigore dal Dicembre del 1951.

Capisaldi storici dell’Organizzazione sono: democrazia, diritti umani, sicurezza e sviluppo, il cui perseguimento si attua sia con misure di coordinazione e di dialogo politico, sia con strumenti legislativi e giudiziari, al fine di armonizzare le relative discipline degli Stati parte dell’OAS. L’organizzazione, secondo quanto riportato dal preambolo della Carta, ha come obiettivo fondamentale di “raggiungere tra i suoi stati membri una situazione di pace e di giustizia, per promuovere la loro solidarietà reciproca, per rinforzare la loro collaborazione e per difendere la loro sovranità, integrità territoriale e indipendenza.

 

In questo contesto opera, quindi, la Commissione, organo indipendente dell’OAS, la cui missione è quella di promuovere e proteggere i diritti umani, nonché di esercitare la funzione consultiva in caso di controversie vertenti sulla materia. Istituita grazie alla Dichiarazione Americana Dei Diritti e dei Doveri dell’Uomo e rafforzata dalla Nona Conferenza degli Stati Americani tenuta a Bogotà nel 1948, essa esercita il suo potere autonomo nei confronti degli Stati insistendo sulla necessità che, al fine di poter predisporre una tutela piena nei confronti dei diritti dell’uomo:


è necessario che gli Stati si adeguino alle disposizioni della Carta poiché il vero significato della solidarietà americana ha come risultato pratico l’armonizzazione legislativa sui diritti umani, all’interno della cornice di istituzioni democratiche e nel sistema di libertà individuali e di giustizia sociale basato sul rispetto dei diritti dell’uomo.”


Essa si basa su 3 pilastri d’azione: innanzitutto può essere adita direttamente dal singolo, attraverso il sistema di petizione individuale, poi si occupa del monitoraggio della tutela dei diritti umani negli Stati Membri e, infine, concentra la propria attenzione nei confronti di temi critici. La sua attività, che si affianca a quella dei singoli Stati, è informata ai principi generali internazionali, che promuovono la protezione dell’individuo, come il principio del pro homine, secondo cui la legge deve essere sempre interpretata nel modo più favorevole all’individuo, così come il principio dell’equo processo, per il quale ogni soggetto deve avere accesso al diritto alla difesa, ai mezzi di prova e alla presunzione di innocenza.

 

Gli interventi della Commissione nel caso di El Salvador

Nella relazione stipulata lo scorso febbraio, la Commissione ha chiarito come tutte le norme, nel caso specifico l’art. 1 della Costituzione e l’art. 133 del Codice Penale, hanno come soggetto di diritto il nascituro e invece la donna, essere vivente già formato ed esistente, è quasi vista come una sorta di “mezzo”, la cui cura è secondaria. La Commissione ha pertanto reiterato il suo invito ad un intervento celere che protegga la salute psicofisica della gestante che, trovandosi nella situazione non solo di pericolo di salute, ma anche di una probabile accusa di omicidio, rifiuta di sottoporsi a visite mediche e specialistiche, preferendo rischiare la vita ed indursi l’aborto con i mezzi più barbari di cui può disporre. Il passaggio successivo della relazione inquadra i due fuochi tra i quali si gioca tutta la problematicità: l’art. 4.1 della Convenzione Americana dei diritti umani, che stabilisce il diritto alla vita affermando che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita. Tale diritto è protetto dalla legge e, in generale, dal momento del concepimento. Nessuno sarà arbitrariamente privato della vita.” e il diritto, facente parte degli obblighi generali del diritto internazionale, di tutela della vita e salute psicofisica, che peraltro trova base nella stessa Convenzione all’art. 5.1 “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria integrità fisica, mentale e morale.

La Commissione ha esposto la sua preoccupazione per le pene eccessive in cui incorrono le donne in questi casi perchè, sebbene l’art 133 del Codice Penale disponga una pena fino a 8 anni, spesso la reclusione può arrivare fino a 40 anni di carcere, a causa delle aggravanti in caso di aborto spontaneo, poiché si sospetto da induzione all’aborto e quindi lo si ricollega all’omicidio volontario aggravato.

Questa situazione non sembra poter avere un epilogo favorevole, data la presenza massiccia della forte opposizione della parte più conservatrice del Paese, che ha avuto anche modo di scontrarsi apertamente con le decisioni della Commissione, sottolineando che le politiche sociali dello Stato non possono essere soggette ad interventi esterni, che non tengono conto della cultura del Paese, in cui resiste ancora incide negli affari dello Stato, in maniera poco velata, la religione.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.oas.org/en/iachr/default.asp

http://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/La-Commissione-interamericana-dei-diritti-umani/253

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2017-2018/americhe/el-salvador/

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