USA e Iran: una relazione tra due Deep State

Usa e Iran
@Österreichisches Außenministerium - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

Nelle ultime settimane è trapelato che il Presidente Trump vorrebbe incontrare il Presidente iraniano Rouhani per aprire una nuova porta al dialogo. L’annuncio ha creato un grande impatto sui media, ma ha lasciato molto freddi gli esperti diplomatici: questo perché – tolta la grande coltre mediatica che si produce nel momento in cui due entità statali si incontrano – la maggior parte dei risultati si raggiungono quando a dialogare non sono i Presidenti, ma gli apparati statali. Questi ultimi, infatti, risultano spesso essere i veri rappresentanti del “deep state“, l’unico sistema in grado di gestire un tema scottante come quello delle relazioni tra due Paesi come USA e Iran. Un mondo nascosto, ma necessario, che a volte gioca una partita diversa da quella che si vede nel settore politico.

Cosa vuol dire Deep State?

Prima di affrontare il tema delle relazioni internazionali, è necessario capire cosa vuole dire il termine “deep state“, spazzando via ogni definizione complottista che si è radicata nel linguaggio comune. La definizione basilare del cosiddetto “stato profondo” è l’insieme fondamentale di tre entità: i servizi di sicurezza ed informazione, la burocrazia, ed il mondo dei consiglieri (o dei lobbisti) che si affiancano ai politici che tutti i giorni vediamo sul palcoscenico mediatico. Tutte e tre queste entità hanno un diverso grado di stabilità e di appartenenza politica.

 

I primi sono tendenzialmente i più stabili nel tempo, e molto difficilmente scelgono una parte politica da supportare. Nelle democrazie liberali totalmente formate questi non hanno – o non dovrebbero avere – dei propri interessi politici, come invece spesso vediamo in altre forme di Stato.

Invece, i secondi sono spesso in qualche modo legati ad un gruppo politico, o ad un’idea politica di base. Tendenzialmente possono modificarsi nel tempo, ma hanno una durata molto standardizzata che di solito viene rispettata fino alla scadenza. Sono nominati dai politici, ma sempre all’interno di cerchie ristrette di esperti del sistema politico stesso.

I terzi sono chiaramente i più instabili, cambiano ad ogni tornata elettorale e spesso anche all’interno di una sola amministrazione. Consiglieri e lobbisti spesso si alternano nelle figure: non è impossibile trovare personalità che in passato hanno difeso gli interessi di alcuni gruppi diventare, poi, il braccio destro di altri uomini politici.

Al deep state ci si riferisce spesso con il termine “potere dell’anticamera“, proprio per indicare quelle personalità che, pur restando fuori dalla stanza principale, riescono ad influenzare gli attori che compaiono sotto la luce dei riflettori.

Il Deep State e la Casa Bianca

Tornando alle relazioni tra Stati Uniti e Iran, è necessario comprendere che le diverse volontà all’interno di un’amministrazione come quella Trump sono importanti, ma non sono tutto. Se guardiamo infatti al deep state americano, possiamo vedere come solo la terza componente (i consiglieri e lobbisti), ed una piccola parte della seconda (i burocrati) siano cambiati con l’entrata nella stanza ovale di “The Donald”.

 

Il Pentagono ha 3,2 milioni di dipendenti, garantendosi il titolo di ente con più dipendenti al mondo – prima ancora dell’esercito cinese, Walmart e McDonald’s: questo numero ci dà l’idea di come sia impossibile per un’amministrazione influenzare totalmente le proprie linee guida. Il Pentagono infatti persegue l’interesse nazionale in un processo dialettico con la Casa Bianca, tenendo bene a mente però che dopo poco tempo potrebbe doversi confrontare con un nuovo inquilino della stanza ovale.

Un chiaro esempio di questo rapporto può essere rappresentato proprio da uno degli eventi fondamentali delle relazioni tra USA e Iran: ossia quando, poco prima del 1979, lo Scià di Persia chiese aiuto all’amico di lunga data Richard Nixon perché aveva bisogno di più fondi e armamenti per contrastare la rivolta, il Pentagono si oppose alla decisione di aumentare il supporto all’Iran. Lo scontro intergovernativo fu duro, ma alla fine il Presidente degli Stati Uniti dovette rispondere al suo omologo a Teheran che “il Presidente ha dei limiti, non può fare tutto ciò che vorrebbe“. E questa decisione condannò lo Scià alla debacle davanti ai manifestanti.

Il Deep State a Teheran

Se a Washington il deep state è così potente, si può solo immaginare quanto questo stretto labirinto di burocrati, servizi di sicurezza, consiglieri e lobbisti possa invadere un sistema politico poco trasparente come quello iraniano. La separazione dei poteri aiuta sicuramente a limitare le influenze dell’ “anticamera”; ma visto che in Iran questo sistema di pesi e contrappesi politici e costituzionali non esiste, tutti influenzano tutti: ed indubbiamente, il Leader Supremo ed i suoi uomini più fidati giocano un ruolo di primo piano in tutto questo.

 

Il “potere dell’anticamera” a Teheran deve barcamenarsi con un sistema istituzionale molto più complesso di quello americano. Se i burocrati americani sanno che l’amministrazione prima o poi cambierà, quello iraniano invece deve fare i conti con un paio di presenze costanti, che devono essere tutelate ed ascoltate siccome rimangono stabili nel tempo. Il primo è il Leader Supremo, e tutta la casta degli ulema; mentre il secondo sono le forze di sicurezza (i Pasdaran e i vari servizi interni), che in questo sistema politico rappresentano una fazione a sé stante. Gli unici che – tendenzialmente – passano sono i Presidenti: nonostante ufficialmente siano coloro che hanno il potere nell’ambito della politica estera, di fatto, essendo temporanei, sono quelli che vengono meno rispettati.

Un esempio classico di questo genere di relazioni intergovernative può essere sempre preso dai rapporti tra USA e Iran. Durante la presidenza Ahamadinejad, dopo un’iniziale luna di miele con Washington, il Presidente iraniano è passato ad attaccare duramente l’America definendola come il “Satana Occidentale”: mentre questo teatro andava avanti, i diplomatici e gli intermediari hanno cercato di mantenere aperto un canale di dialogo con lo studio ovale, prima con Bush e poi soprattutto con Obama dopo il 2008. L’idea di mantenere i rapporti con Washington venne dato sotto la spinta del Leader Supremo che voleva una valvola di stabilità nei confronti della super potenza occidentale. Per capire però quanto i rapporti siano portati avanti da un gruppo così eterogeneo, è utile ricordare come spesso sia successo che in questi canali siano stati create apposta delle incomprensioni. Ad esempio personaggi legati ai Pasdaran hanno cercato varie volte di creare dissidi al fine di causare tensioni e difendere gli interessi del gruppo, che lega parte della sua esistenza alla lotta contro l’Occidente. 

Le Relazioni Usa – Iran

Assodato quello che si è definito nei paragrafi precedenti, cerchiamo ora di capire perché le relazioni tra Iran e Stati Uniti da un po’ di anni a questa parte vadano considerate come l’incontro tra due apparati statali, più che tra due o più amministrazioni. 

Se è vero – e va riconosciuto – che Obama ha dato un impulso alla costruzione del JCPOA l’accordo sul nucleare iraniano, va anche ricordato come questa non sia stata una spinta nata solamente dalla volontà della Casa Bianca, ma anche da un’intera fetta dell’apparato americano che si riconosceva in una certa visione. L’idea era quella che non si poteva andare incontro ad una nuova Nord Corea, e che se Teheran si fosse trasformato in Pyongyang avrebbe probabilmente scatenato una reazione a catena incontrollabile in Medio Oriente: di conseguenza, le negoziazioni hanno avuto una sola direzione per tutti, dagli apparati di sicurezza ai consiglieri di Obama. Dall’altra parte, la situazione politica, economica e sociale iraniana ha creato le condizioni perché vi fosse un’unità di intenti per evitare l’isolamento politico a livello internazionale del Paese.

Attualmente però le condizioni sono molto differenti: alla Casa Bianca c’è un’amministrazione che ama lavorare in superficie per poter usare la politica estera per scopi elettorali sensazionalistici. Questo approccio non è per niente apprezzato dalla porzione dell’ “anticamera” che lavora alle relazioni con l’Iran, che – conoscendo bene la controparte,  il quadrante in cui è collocata ed i rapporti tesi del passato – prediligerebbe il silenzio e la calma, rispetto agli incontri formali ed agli annunci con strette di mano sensazionali. Da parte dell’Iran, è necessario capire invece come l’intero apparato sappia di non potersi permettere uno scontro frontale con Washington. Allo stesso tempo, i Pasdaran, il Leader Supremo e la Presidenza Rouhani hanno degli interessi totalmente opposti, che i vari membri della delegazione tengono bene in mente.

L’unica costante che sembra rimanere è legata alla natura delle relazioni tra USA e Iran, le quali – nonostante siano squassate da annunci ed eventi – sembrano al momento rimanere comunque relazioni tra apparati, più che tra politici. Un mondo di dialoghi in cui l’anticamera resta più importante del salone, ed in cui l’interesse nazionale viene preservato sul lungo periodo, cercando di evitare rischi e guadagni temporanei. L’obiettivo è comunque quello di mantenere uno status quo favorevole agli attori in campo, anche al costo di poter vedere sviluppi molto più positivi nei rapporti tra i due Paesi.

Fonti e approfondimenti:

Limes “Stati Profondi gli abissi del Potere”

https://www.newyorker.com/magazine/2018/05/21/trump-vs-the-deep-state

https://www.mepc.org/journal/deep-states-mena

https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-08-13/how-we-got-iran-deal

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