Per la storia politica di Cuba, il 1959 è un anno di svolta. A partire dal giorno di Capodanno la Rivoluzione cubana che portò all’instaurazione di un regime comunista terminò la fase della lotta armata e iniziò il periodo “riformista”. Venne deposto un dittatore, Fulgencio Batista, e venne formato un nuovo governo in cui il rivoluzionario Fidel Castro venne nominato primo ministro. Questa transizione politica, tutto fuorché netta, ebbe una durata lunga. Il 1959 è l’anno primo della Rivoluzione, quando ancora si doveva delineare un soggetto politico; tante abilità permisero la riuscita di un progetto rivoluzionario inserito in un complicato scacchiere internazionale.
La realtà cubana
Verso la metà degli anni Quaranta, Cuba era informalmente un protettorato degli Stati Uniti. Una volta riuscita a ottenere l’indipendenza dalla Spagna nel 1898, cadde sotto l’egida della neonata, ed attuale, potenza mondiale degli Stati Uniti d’America. Questi, dopo essere usciti vittoriosi da una guerra contro la Spagna, si erano arrogati il controllo economico di una buona parte del mosaico caraibico. Secondo alcuni storici, per gli intellettuali e le classi borghesi cubane questo passaggio significò una smorzatura della piena coscienza di una indipendenza totale. A questo sentimento si aggiunse la presenza di un dittatore come Fulgencio Batista, la cui affiliazione con gli USA era di dominio pubblico e la cui correttezza morale era assai criticata. La maggior parte degli storici sono concordi nell’affermare che non era un rappresentante congeniale per la piena immedesimazione tra leader e popolo. Si può dire, anzi, che non fosse un uomo amato. Eppure, i primi atti di un movimento rivoluzionario massimalista cominciarono a sorgere poco dopo l’insediamento coatto del dittatore, rivelatori di un malcontento già generalizzato in cui l’attuare dittatoriale di Batista non fece altro che esasperare una situazione già satura. Oltre a ciò, il suo esercito, foraggiato da corruzione e clientelismo, non rappresentava un alleato utile al mantenimento del potere.
La prima azione rilevante avvenne il 26 luglio 1953, quando un centinaio di rivoluzionari tentò di assaltare la base militare Moncada a Santiago di Cuba. L’esito fu disastroso per gli assalitori: più di 70 morti e vari arresti. Tra gli organizzatori rimasti in vita, due fratelli: Fidel e Raúl Castro. Dal momento in cui i due fratelli vennero arrestati iniziò, informalmente, la narrativa della Rivoluzione. Una narrazione sicuramente costruita, anche se non si capisce fino a che punto, che seppe, grazie alla intelligenza comunicativa dei suoi leader, forgiare un’immagine di sé più grande della realtà dei fatti.
I leader della rivoluzione
Da quella sconfitta, segno di inizio e non di rinuncia, Fidel Castro fondò il “Movimento del 26 luglio”, o M26, consacrato da un “manifesto politico” enunciato dallo stesso Castro durante la sua arringa difensiva di fronte ai giudici cubani. Dopo essere stato assolto dall’incauto Batista, reo di aver sottovalutato il suo avversario e di essersi sentito troppo sicuro dei suoi mezzi, Fidel Castro si esiliò a Città del Messico. Lì incontrò Ernesto Guevara de la Serna, quasi un suo coetaneo, che stava affrontando un viaggio per l’America latina, immortalato nei suoi Diari della motocicletta. Tra i due nacque un’intesa tale da convincere Ernesto Guevara a entrare nel gruppo di rivoluzionari di Castro con l’intento di ribaltare la dittatura di Batista.
Le loro differenti formazioni culturali possono essere usate come riferimento delle diverse anime che mossero i sentimenti rivoluzionari. Per fare un esempio, al momento del loro incontro Guevara vedeva la rivoluzione come una sorta di liberazione nazionale, antimperialista, mentre Castro sembrava lasciar trasparire l’idea secondo cui lui fosse invece già pronto a trasformarla in una rivoluzione socialista. Anche in questo caso è possibile che Castro abbia voluto offrire un’immagine di sé ben cosciente del progetto futuro che si andava a delineare, nonostante, forse, all’epoca non vi era ancora una linea politica definita, giunta solo più tardi.
Il ritorno e la lotta armata
Il ritorno dei rivoluzionari a Cuba è sicuramente uno dei momenti essenziali della narrazione di cui si è accennato. Ottantadue barbudos (chiamati così per le loro barbe lunghe e incolte per necessità, secondo una versione, per “stile”, secondo un’altra) si diressero a bordo dello yacht Granma (“nonna” in inglese) sovraccaricando il mezzo di trasporto e in un periodo di burrasche. Che l’idea di partire con il mare agitato fosse intenzionale o meno è importante, ma non per la realtà dei fatti. Il 14 novembre 1956, gli ottantadue giunsero sulle coste di Cuba, dopo un viaggio pieno di pericoli e di cambi di rotta. La loro posizione, però, venne scoperta quasi subito e dopo pochi giorni si ritrovarono a combattere con l’esercito regolare cubano. L’esito segnò una nuova sconfitta per i rivoluzionari: rimasero in vita in meno di una ventina e si rifugiarono sulle montagne. Batista, inconsciamente malconsigliato o meno, fece diramare la notizia che tra i morti c’era anche Fidel Castro.
La risposta di Castro arrivò il 24 febbraio del 1957, sulla prima pagina del New York Times: “Castro è ancora vivo e lotta ancora tra le montagne”. Uno scoop sensazionale per il giornale e per il giornalista Herbert L. Matthews; una mossa astuta da parte di Castro. La sua immagine conquistò un’enorme attenzione internazionale, il suo esercito era ancora vivo ed era pronto a riprendere le armi. Con il passare del tempo, l’immaginario di Castro e dei barbudos conquistò non solo il popolo, ma soprattutto molti militari. Vennero ascoltati i loro proclami e le loro idee si sparsero per tutto il Paese, soprattutto grazie a Radio Rebelde, l’organo di propaganda del “movimento” divenuto esercito.
La sconfitta definitiva di Batista, segno anche dell’incapacità governativa del dittatore, avvenne nell’estate del 1958 con l’Operacion Verano. L’esercito, supponendo di avere mezzi e numeri maggiori, affrontò con spavalderia i rivoltosi, ma subì una pesante sconfitta. Molti militari disertarono mentre altri vennero sopraffatti dalle qualità militari dei comandanti e della loro forma di guerriglia. Vinta la battaglia, i rivoluzionari attuarono il contrattacco: a dicembre Guevara giunse a Villa Clara e Cienfuegos a Yaguajay. La capitale era circondata. La fuga di Batista, così come raccontata dai vincitori, rappresenta l’atto finale di un governatore disinteressato, fuggito nella Repubblica Dominicana con un tesoro da 400 milioni di dollari. Era il giorno di Capodanno del 1959. I rivoluzionari avevano vinto.
Il ruolo degli Usa e la narrazione della Rivoluzione
Fulgencio Batista era un dittatore voluto dagli Stati Uniti, pagato affinché mantenesse attivi e inalterati i commerci degli zuccherifici e delle raffinerie di petrolio. Inoltre, Cuba era stata trasformata in un parco divertimenti degli statunitensi, una sorta di Las Vegas tropicale, dove erano accettate delle devianze – tra cui il gioco d’azzardo e la prostituzione – rispetto alla morale puritana che governava gli USA. Quando sorse il movimento rivoluzionario, gli USA lo considerarono come un problema interno e non intervennero. In molti si sono chiesti il perché. Una delle risposte, forse la più completa, dà gran parte del merito alla narrazione di cui si è parlato, costruita in maniera tale da “tenere a bada” l’alleato di Batista. Per gli USA, infatti, Fidel Castro appariva come un uomo amato dal popolo, oltretutto proveniente da una compagine politica politicamente moderata, seppur massimalista. L’attuazione di una svolta al socialismo reale, così come è stato successivamente, non si è manifestata fin da subito.
Proprio per questo motivo, quando divenne evidente tanto l’inettitudine di Batista quanto la forza di Castro, gli USA lasciarono il dittatore senza finanziamenti. Una volta avvenuto il colpo di Stato, nell’anno primo della Rivoluzione – quel 1959 da cui sono passati 60 anni – gli Stati Uniti si mossero molto cautamente per capire se si potesse mantenere inalterato l’ordine stabilito, magari stringendo rapporti con un leader più capace e sorretto dal popolo.
La storia insegna che così non avvenne. Eppure, sempre senza avere la certezza che si trattasse di un piano studiato o meno, per tutto il 1959 ci furono molti momenti di confronto tra Stati Uniti e la Cuba rivoluzionaria. Castro, mostrandosi alle telecamere statunitensi, in un inglese stentato e in evidente difficoltà, cercava in tutti i modi di calmare i rapporti e di assicurare i vicini ingombranti: Cuba non avrebbe subito dei cambi sostanziali e la lotta armata, seppur violenta, era stato l’unico mezzo a loro disposizione. Da allora, però, avrebbero lasciato le armi.
Nonostante gli sforzi, l’indecisione degli Usa venne smobilitata velocemente. Già nel 1960 venne posto l’embargo, come risposta alle riforme economiche del governo e agli accordi stretti con l’URSS, per cui le raffinerie statunitensi a Cuba avrebbero dovuto lavorare il grezzo russo. Una volta decisa la statalizzazione delle stesse raffinerie, la rottura divenne totale.
Il peso di questa incertezza iniziale non è da sottovalutare. Gli Stati Uniti, in questo percorso, hanno agito troppo tardi e in maniera maldestra. Non sono stati in grado di comprendere a pieno l’enorme problematicità di Cuba. Il successivo legame tra l’URSS e l’isola caraibica non è che la conferma. Difficilmente la Storia, soprattutto ora che quasi tutti i protagonisti sono scomparsi, potrà fornire delle novità rispetto a ciò che è stato raccontato. Indubbiamente, a 60 anni dal colpo di Stato e dall’inizio (o fine, a seconda del modo in cui si voglia vederla) della rivoluzione, si può decretare un vincitore, e questo non siede a Washington.
Fonti e approfondimenti
Alessandra Bisegna, Francesco Cirafici, Paolo Mieli, Passato e presente. Fidel Castro entra all’Avana con il Prof. F. Cardini, Raiplay
Lioman Lima, Revolución cubana: cuáles fueron las causas del levantamiento con el que Fidel Castro cambió Cuba en 1959, BBC News Mundo, 30 dicembre 2018
Angelo Trento, La rivoluzione cubana, Giunti Editore, Firenze, 2002