L’economia come scienza della pubblica felicità

felicità
@Francesca Magnolo - Lo Spiegone

Il concetto di felicità nell’ambito economico, al contrario di quanto si possa pensare, è presente da lungo tempo. Si tratta di un tema più volte ripreso e formalizzato specialmente in seguito al celebre paradosso formulato dall’economista statunitense Richard Easterlin negli anni Settanta. Grazie al contributo di alcuni psicologi sociali, tra cui Hadley Cantril, questo paradosso mostra come la correlazione tra reddito e felicità sia inesistente o troppo esigua, specialmente quando il livello del primo cresce oltre una certa soglia.

Tuttavia, i richiami alla felicità sono presenti ben prima di Easterlin. Infatti, i libri degli economisti italiani del Settecento, tra cui spicca Antonio Genovesi, associavano l’economia alla felicità pubblica, ovvero a una prosperità inclusiva e universale. Solo successivamente la felicità ha assunto il significato quantitativo di utilità come “soddisfazione individuale”. L’economia civile nasce riprendendo con forza il concetto originario del termine, ovvero di economia come “scienza della pubblica felicità”. La felicità si lega dunque a tre aspetti fondamentali: bene comune, benessere collettivo e cooperazione. In una comunità, infatti, lo sviluppo dipende dal grado di cooperazione intesa come mutualità e spirito associativo: più questo è alto, più il benessere complessivo aumenta. Ciò implica che tutta la società, e non solo gli enti pubblici o il mercato, concorre all’individuazione e al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze della persona. Inoltre, si ha il miglioramento della gestione dei beni comuni, definibili come quei beni non divisibili, collettivi, la cui esistenza è a vantaggio di tutti.

Al contrario, laddove prevale l’individualismo si instaura un meccanismo che porta a esiti contraddittori, con la crescita di povertà e tensioni a danno dello sviluppo di ogni membro della comunità. In questo caso, per individualismo si intende l’illusione che la felicità del singolo sia basata unicamente sul possesso di beni e sul loro accumulo. In realtà, essa dipende dalla qualità dei rapporti che ciascuno di noi ha con gli altri. Questo si ricollega al concetto di economia civile come economia delle relazioni interpersonali, ben diverse da quelle sociali. Mentre le prime sono costituite dall’incontro di identità diverse, le seconde ne sono il “contenitore”, ovvero le procedure formali e i luoghi dove avvengono gli scambi materiali e immateriali tra esseri umani. Queste due dimensioni sono di fatto complementari, ma riconoscerne l’importanza non basta. L’approccio dell’economia civile alla felicità si propone in modo ambizioso di scardinare un paradigma dominante dove le persone sono viste come entità amorali che fanno uso di frode e manipolazione per il raggiungimento di vantaggi personali. La riflessione verte dunque su una nuova visione dell’essere umano, capace di partecipare attivamente nella vita sociale e con una concezione di felicità che sia inclusiva e universale.

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