L’occhio del Dragone: i diritti umani con caratteristiche cinesi

Cina e Diritti Umani
Piazza Tienanmen, foto di Lorenza Scaldaferri

Si sente spesso parlare di “caratteristiche cinesi”, interpretate erroneamente come semplice modus operandi cinese. L’espressione appare per la prima volta in Cina nel 1982, con l’introduzione da parte della leadership di Deng Xiaoping del socialismo con caratteristiche cinesi. Questo tipo di socialismo è da considerarsi come la rottura definitiva con il concetto di socialismo autarchico e chiuso in se stesso. La sua peculiarità è il connubio tra gli ideali marxisti-leninisti e le dottrine promosse dall’ala più liberale (intesa come riformista-socialista) del Partito comunista cinese (PCC), in modo da adattarsi alle esigenze di una Cina in trasformazione. Tra i pilastri che arricchiscono l’ideologia comunista cinese, si aggiungono il Pensiero di Mao Zedong, la Teoria di Deng Xiaoping, la Teoria delle Tre Rappresentatività di Jiang Zemin, la prospettiva scientifica di Hu Jintao e il Pensiero di Xi Jinping.   

Tuttavia, manca una definizione esaustiva di quali siano le caratteristiche cinesi. Persino la leadership del PCC si riferisce a esse ponendo l’accento soprattutto sulla loro duttilità. Di recente, Xi Jinping ha definito il concetto come una serie di sperimentazioni da parte del Partito e del popolo, alludendo alla loro fluidità e capacità di adattamento al contesto cinese. 

In seno a questo progetto, per caratteristiche cinesi si intende la prospettiva cinese rispetto a tematiche “delicate”, una prospettiva spesso giudicata in Occidente con un certo pregiudizio. In particolare, in questo articolo, analizzeremo la natura dei comportamenti assunti dal governo di Pechino in specifici contesti in relazione ai diritti umani. Infatti, nonostante il seggio guadagnato da Pechino lo scorso 13 ottobre 2020 nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, nel mondo occidentale diritti umani e Cina sono due elementi ancora difficili da associare. 

L’Occidente accusa la Cina di violare i diritti umani denunciando diversi provvedimenti messi in atto dal governo di Pechino: la gestione delle rivolte a Hong Kong, i campi di rieducazione nella provincia dello Xinjiang, la questione tibetana, Tienanmen, solo per citarne alcuni. La Cina si difende enfatizzando i miglioramenti raggiunti nel corso degli anni: tra il 1991 e il 2019 il governo ha pubblicato diversi libri bianchi sui progressi nel rispetto dei diritti umani e sulla maggiore attenzione dedicata al tema a livello interno. 

Valori asiatici contro valori occidentali

Una prima caratteristica che racconta la percezione cinese dei diritti umani si ritrova proprio nella Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, adottata nel 1982. Con la revisione del 2004 è stata introdotto il seguente comma: “Lo Stato rispetta e garantisce i diritti umani” (art. 33, comma 3). A tal proposito, è doveroso soffermarsi su due aspetti tipici del pensiero cinese: la percezione relativista dei diritti umani e il concetto di interesse collettivo

In occasione della conferenza sui diritti umani tenutasi a Vienna nel 1993, il capo della delegazione cinese Liu Huaqing ha sottolineato come “il concetto di diritti umani sia un prodotto dello sviluppo storico” e di come essi debbano dunque essere applicati e interpretati tenendo conto delle specificità politico-culturali dei diversi territori. Per esempio, per i Paesi in via di sviluppo la tutela dei diritti umani significa in primo luogo garantire la piena realizzazione dei diritti alla sussistenza e allo sviluppo. Questa prospettiva relativista entra in contrasto con il concetto occidentale di universalità dei diritti umani. 

Il secondo fattore da tenere in considerazione è la matrice culturale confuciana. Nell’ottica confuciana, lo Stato è come una famiglia: ogni individuo ha un proprio ruolo da rispettare all’interno di una gerarchia, che permette il corretto funzionamento dell’intero sistema. In caso di perseguimento dell’interesse personale, si scatenerebbe il caos (luan). Infatti, la Cina ha sempre messo al primo posto gli interessi della collettività rispetto a quelli dell’individuo.

In questo contesto i diritti collettivi sociali e culturali sono considerati prioritari rispetto ai diritti individuali. A conferma di ciò, l’articolo 51 della Costituzione recita: “Nell’esercitare le proprie libertà e i propri diritti i cittadini della RPC non devono nuocere agli interessi statali, sociali e collettivi, né ai legittimi interessi o alla libertà di altri cittadini». Ciò che ne deriva è:

  • La dipendenza della tutela dei diritti umani dalla sovranità statuale (rispettando dunque il principio caro a Pechino di non interferenza negli affari interni )
  • Diritti economici e sociali prevalgono sui diritti politici e civili.

Diritti Primari con caratteristiche cinesi

La Cina viene considerata come uno Stato di diritto socialista, dove la legge è subordinata al potere politico (rule by law). A differenza dei regimi democratici, il sistema Partito-Stato cinese in tema di diritti umani dà assoluta priorità a quelli socio-economici, essenziali per il benessere e il  miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. 

Essendo un Paese che poggia su fondamenti di matrice marxista-leninista, la RPC si considera nella prima fase del socialismo, che prevede il raggiungimento del benessere economico per tutti prima della realizzazione del comunismo. Si capisce quindi come il fattore economico sia centrale nell’applicazione dei diritti umani con caratteristiche cinesi. Dopo i dieci anni di caos della Rivoluzione Culturale che avevano condotto il Paese al collasso, a partire dalle riforme di Deng c’è stato un leggero incremento della ricchezza e un parziale recupero delle libertà economiche e individuali. Prendiamo in esame l’eradicazione della povertà annunciata da Xi Jinping lo scorso Novembre 2020, presentata come prova dei progressi effettuati in materia di diritti economici. 

Secondo il report del 2019 sull’evoluzione dei diritti umani negli ultimi 70 anni nella Repubblica Popolare Cinese , tra il 1978 e il 2018 le persone in condizioni di povertà nelle zone rurali sono scese da 770 milioni a 16 milioni. Inoltre, si sottolinea come la Cina sia stata uno dei primi Paesi in via di sviluppo a raggiungere uno dei Millennium Development Goals, quello relativo alla riduzione della povertà.Tuttavia, le rivendicazioni del governo sono messe in discussione dalla realtà dei fatti. Soltanto qualche mese fa il premier Li Keqiang affermava che 600 milioni di cinesi vivono con meno di 1000 RMB (circa 140 €) al mese.

Le riforme hanno migliorato sicuramente le condizioni di vita delle campagne, ma espropri di terreni e reinsediamenti coatti entrano in contraddizione con quanto affermato dall’articolo 33 della Costituzione. Infine, il divario tra città e campagna è ancora elevato, le condizioni dei lavoratori migranti sono estreme e il sistema dell’hukou resta tutt’oggi un problema.

E i diritti secondari?

Come detto, i diritti politici e civili sono in secondo piano. Alla fine degli anni Novanta, per mostrarsi come una società più aperta, la Cina firma la Convenzione Internazionale sui diritti Civili e Politici, che però non viene mai ratificata. A poco più di trent’anni da piazza Tiananmen, ancora pochissimi giovani cinesi sanno cosa è successo nell’estate del 1989. Da allora il PCC ha stretto la morsa su qualsiasi forma di attivismo indipendente, sulla libertà di associazione e di espressione. Le proteste di Hong Kong sono solo l’esempio più recente di come qualunque tentativo di modificare lo status quo sia tuttora soggetto a repressione. Dall’entrata in vigore della Legge sulla sicurezza nazionale nel luglio 2020, ogni opposizione politica al regime è severamente punita. 

La carta costituzionale cinese garantisce la libertà di stampa, di parola, di religione e di espressione ma il problema principale è l’attuazione pratica. Ad esempio, un tema molto dibattuto in Occidente è la violazione da parte dello Stato della sfera privata dei cittadini cinesi. Anche in questo caso, il concetto di privacy nella cultura cinese assume una sfumatura differente da quella occidentale. Sempre in riferimento all’ideale confuciano, la privacy individuale viene sacrificata per mantenere l’armonia statale.

Nella Cina contemporanea lo sviluppo tecnologico contribuisce a un controllo sempre più capillare della popolazione. App che permettono di applaudire in diretta il presidente Xi durante il Congresso del PCC, il sistema del credito sociale e quelli di riconoscimento facciale ci trasportano in una realtà quasi distopica. C’è però una maggiore consapevolezza di quali siano le libertà individuali: la città di Hanghzou per esempio è stata la prima a proibire l’uso dei dati biometrici nelle comunità residenziali. Secondo un report sulle applicazioni basate sul riconoscimento facciale, circa il 60% dei cinesi sostiene l’esistenza di un abuso della tecnologia.  

L’attivismo nelle organizzazioni internazionali

In ambito internazionale, la Cina ha mostrato un crescente attivismo all’interno di organizzazioni internazionali, con il fine di rafforzare verso l’esterno la sua immagine in tema di diritti umani. Si pensi  alla crescente presenza all’interno degli organi delle Nazioni Unite. La Cina entra a far parte della Commissione ONU per i diritti umani nel 1979 come osservatore, diventando membro ufficiale nel 1982.

Oggi non solo è tra i membri del Consiglio di sicurezza ONU e promuove attività di peacekeeping, ma è stata anche rieletta membro del Consiglio per i diritti umani ONU lo scorso ottobre. Secondo dati ufficiali delle Nazioni Unite, nel 2019 la Cina ha contribuito per il 15.21% nelle missioni di peacekeeping. Oltre che per la conquista del prestigio internazionale, Pechino sfrutta queste occasioni per acquisire nuove esperienze operative a livello militare.

La potenza asiatica ha sempre rivendicato il diritto di non interferenza negli affari interni, soprattutto in materia di diritti umani. Tuttavia, l’immagine della Cina come potenza responsabile proposta da Xi in politica estera ha influenzato l’approccio su una tematica così sensibile, dovendo spesso bilanciare la dicotomia tra sovranità statale e applicazione dei diritti umani promulgati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani.

Il fine non giustifica i mezzi

La diversa prospettiva sulla quale poggia l’applicazione dei diritti umani secondo il governo di Pechino merita una riflessione. I diritti umani per la RPC sono indiscutibilmente sotto la sovranità statale e nessuna interferenza può essere concessa. La stretta del governo sembra non lasciare spazio per oppositori né interni né esterni. Eppure, al contrario di ciò che si pensa, attivisti cinesi che lottano per i diritti umani esistono: Ai Weiwei, Liu Xiaobo e Hu Jia sono soltanto alcuni nomi. Nel 2008, l’attivista e intellettuale Liu Xiaobo insieme ad altri 303 cittadini cinesi, ha sottoscritto la Charta08 per richiedere il riconoscimento dei diritti umani e maggiore democrazia. La risposta del governo di Pechino è stata la condanna a 11 anni di carcere per Liu, accusato di sovversione. Nel 2010 gli viene attribuito il Premio Nobel per la Pace, ma a ritirarlo non c’è nessuno.

Lo scoppio della pandemia e la sua gestione ha deteriorato ulteriormente l’immagine di un Paese che si propone come potenza responsabile e spinge per una maggiore cooperazione internazionale, per quanto secondo le proprie regole. La comunità internazionale ha mostrato, attraverso diverse sollecitazioni, di voler adottare una linea dura nei confronti di Pechino. Tuttavia, finché sarà oggetto di una rule by law capeggiata dal Partito-Stato, la salvaguardia dei diritti umani dovrà per forza coincidere con la realizzazione e il rispetto delle linee guida dettate dal PCC. 

 

 

Fonti e approfondimenti

Andrea Ghiselli, “La Cina e il peacekeeping: una “potenza responsabile?”, T.wai,  10 novembre 2015

Bjoen Ahl, The Rise of China and International Human Rights Law, Human Rights Quarterly, vol. 37 n.3, August 2015, pp. 637-661 

Catharin. Dalpino, “Human rights in China”, Brookings, 1999

National Human Rights Action Plan of China

Chinese Delegation attends the UN Human Rights Council 45th session, 14 settembre 2020

Dichiarazione Universale diritti umani (DUDU)

Hart Bastian, “Interview to Courtney J. Fung”, E-International Relations, 20 gennaio 2020

Peace Human Rights Governance, 2018. Human Rights and Social Development in the Chinese White Papers on Human Rights

Human Rights Watch, World Report 2019: China

Ipsos, 2018. Human Rights in 2018

Renzo Cavalieri, Cosmopolis. I Diritti Umani in Cina

Samantha Power, “China the UN and the future of human rights”, Harvard Fairbank Center, 2020

Sonya Sceats, Shaun Breslin, “China and the International Human Rights System”, Chatam House, ottobre 2012 

Valigia Blu, 4 giugno 2019. L’attivismo per i diritti umani nella Cina post-Tienanmen: storia di una brutale repressione e di una resilienza straordinaria

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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