Lo scorso 22 dicembre, con uno dei suoi ultimi atti da presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump ha concesso la grazia ai quattro ex contractor della Blackwater condannati nel 2014 per l’uccisione di 14 civili a Baghdad nel 2007. Gli agenti della compagnia di sicurezza privata, ingaggiata dal governo statunitense, avevano aperto il fuoco con armi pesanti contro la popolazione civile in piazza Nisour nella capitale irachena a seguito di alcuni episodi di tensione.
La decisione di Trump ha riaperto una ferita profonda e riacceso un dibattito che ormai si trascina da diversi anni sull’impiego di contractors nel contesto di operazioni militari all’estero. I contractors vengono spesso definiti come moderni mercenari, al soldo del migliore offerente e attratti dalla prospettiva di un rapido tornaconto economico. Osservazione vera, ma che semplifica la realtà di un fenomeno molto complesso e sempre più diffuso. Basti pensare ai casi della guerra in Iraq e Afghanistan, dove il numero di personale paramilitare privato ha eguagliato, in alcuni momenti, gli effettivi delle forze regolari statunitensi. Un evidente cambio di marcia se si considera che, nel corso della guerra in Vietnam, il personale privato rappresentava meno del 20% della spedizione USA.
Le compagnie di sicurezza private al giorno d’oggi forniscono una diversa gamma di servizi agli Stati che le ingaggiano. In alcuni casi, i contractors vengono coinvolti in vere e proprie operazioni di combattimento, fornendo supporto tattico e assistenza al personale militare regolare del Paese cliente. In altri casi, le compagnie private sono incaricate di addestrare e formare forze militari locali o di fornire servizi d’intelligence. Infine, e probabilmente questa è la figura più diffusa, i contractors svolgono funzioni di logistica, trasporto e manutenzione, in modo tale da sollevare le forze regolari da tali compiti e permettendo loro di concentrarsi sulle operazioni di combattimento. La figura del mercenario si è quindi evoluta di pari passo con le necessità della guerra, riflettendo le complessità delle operazioni e delle missioni nei contesti bellici contemporanei.
Perché ci si affida ai contractors?
Le ragioni per cui uno Stato decide di affidarsi a compagnie militari private sono diverse. La motivazione principale è l’intrinseco abbassamento del costo politico di una guerra o di una singola operazione. Anche solo affiancare il personale militare di un Paese con dei contractors consente di ridurre l’impiego di soldati regolari e, di conseguenza, anche il numero di possibili perdite tra quest’ultimi. Quando un soldato muore, il governo di uno Stato è esposto allo scrutinio dell’opinione pubblica. I governi, almeno quelli democratici, devono rendere pubbliche le liste dei militari che hanno perso la vita in missione. Il discorso è completamente differente per le morti dei contractors, le quali passano molto spesso inosservate ai cittadini; anzi, molto spesso l’entità del loro impiego non è neanche del tutto nota.
Campagne su vasta scala, come la guerra in Afghanistan e in Iraq, hanno portato il governo statunitense a ingaggiare compagnie militari private per fornire supporto alle proprie forze e raggiungere, quindi, il numero di effettivi necessario per le operazioni belliche. L’alternativa sarebbe stata quella di incrementare ulteriormente l’impiego delle forze armate regolari per svolgere funzioni ancillari o, in casi estremi, ricorrere alla coscrizione; scelta molto più dolorosa, nonché un suicidio politico.
Già da questi primi spunti, si evince il rischio derivante dall’impiego di compagnie militari private. Se si abbassa il costo politico della guerra, i governi saranno più propensi ad autorizzare l’utilizzo della forza per conseguire i propri obiettivi. Mandare soldati in uniforme è sempre una scelta dura, per qualsiasi governo: i contractors sono la soluzione ideale per sollevare i decision makers da questo grattacapo.
L’altro vantaggio è costituito dalla possibilità di negare il proprio coinvolgimento nel caso in cui le missioni operate dai contractors dovessero fallire, o semplicemente andare storte. A fare da esempio, in questo caso, non ci sono gli Stati Uniti, ma la Russia. Il gruppo Wagner è la compagnia militare privata ‘di bandiera’ cui Mosca si affida per perseguire i propri obiettivi all’estero, pur mantenendo celato il proprio coinvolgimento. In questo modo è il costo diplomatico ad abbassarsi, permettendo al Cremlino di agire all’estero ed evitare il confronto diretto con i propri avversari geopolitici.
Nel febbraio del 2018, delle forze pro-Assad, supportate da un contingente del gruppo Wagner, attaccarono un giacimento petrolifero in mano alle forze curde nel nord-est della Siria. L’attacco fu respinto dalla coalizione supportata dagli USA, anche grazie all’impiego diretto dell’artiglieria e dell’aviazione statunitense. I combattimenti provocarono l’uccisione di diversi mercenari russi. Sebbene il coinvolgimento russo in tale episodio fosse alquanto evidente, l’evento non ha provocato alcuna escalation militare tra Washington e Mosca, poiché nessuna forza regolare russa è stata coinvolta nello scontro: la vita di un contractor, sebbene vita umana, vale molto meno di quella di un soldato regolare agli occhi del Cremlino.
U.S. counter-attack in Syria included Air Force AC-130 gunships, F-15s, F-22s, Army Apache helicopter gunships and Marine Corps artillery killing 100 Russian and Assad-backed fighters in 3-hour battle beginning around midnight last night.
— Lucas Tomlinson (@LucasFoxNews) February 8, 2018
Contractors: un problema per le forze armate regolari
L’abbassamento del costo politico e diplomatico delle operazioni militari all’estero non è l’unico problema legato ai contractors. Ci sono diversi aspetti pratici da valutare prima di lasciarsi ammaliare dalla flessibilità delle compagnie militari private. È vero che i contractors possono essere dispiegati rapidamente e che il loro affiancamento alle forze regolari permette a queste ultime di tralasciare compiti di natura ancillare (vigilanza, manutenzione, etc.), ma una volta sul campo vi sono diversi inconvenienti che bisogna considerare.
Affiancare forze regolari e compagnie private potrebbe comportare una catena di comando più lenta e ingarbugliata. Gli ufficiali delle forze regolari si troverebbero nelle condizioni di dover dare ordini sia ai propri soldati, sia ai quadri superiori delle compagnie private. Inoltre, si potrebbe instaurare un rapporto di diffidenza tra i soldati regolari e il personale privato.
In aggiunta, quando si consente a un ente privato di svolgere operazioni militari per conto di uno Stato, si crea inevitabilmente della concorrenza per il personale militare specializzato all’interno del Paese in cui l’ente ha sede. Stati Uniti e Regno Unito stanno entrambi affrontando questo effetto collaterale delle compagnie di contractors. Gli enti privati offrono contratti molto attraenti dal punto di vista salariale (tra i 4-8 mila euro al mese), molto di più di quanto guadagnano i militari regolari. Questa competitività dal punto di vista economico porta diversi soldati a preferire la via del privato, piuttosto che rimanere in servizio. Spesso le compagnie di sicurezza mirano proprio ad assumere ex membri delle forze speciali, poiché più preparati ad affrontare le situazioni di crisi. Ne consegue una perdita economica per lo Stato che ha investito ingenti risorse per la formazione di personale militare qualificato.
Stato e uso legittimo della forza
Lo Stato, in base alla sua concezione contemporanea, viene considerato come il detentore esclusivo del monopolio dell’uso legittimo della forza, sia sul territorio nazionale, sia nel contesto delle relazioni internazionali (guerra tra Stati). L’utilizzo da parte di Stati di contractors per effettuare operazioni militari al di fuori del proprio territorio erode in parte tale precetto dottrinale, poiché gli Stati si trovano a esternalizzare una delle loro funzioni basilari. Di fatto, tale fenomeno sta contribuendo alla creazione di uno scenario internazionale più complesso, in cui gli Stati non sono più gli unici protagonisti. L’utilizzo di contractors, abbassando il costo politico e diplomatico dell’uso della forza, porta inevitabilmente al moltiplicarsi dei fattori di tensione sullo scacchiere geopolitico.
Il governo italiano, al giorno d’oggi, non assume contractors per affiancare il proprio personale militare all’estero (fatta eccezione per cuochi e addetti alle pulizie), discostandosi, fortunatamente, dalla prassi di altri Paesi come Russia, Stati Uniti e Regno Unito.
D’altro canto, una proposta di legge (atto Camera 1295) concernente la disciplina dell’utilizzo di compagnie di sicurezza private è in corso di esame in sede referente presso la I Commissione Affari costituzionali alla Camera dei deputati. L’atto riguarda, tuttavia, l’impiego di contractors da parte di aziende pubbliche e private operanti all’estero per la protezione delle proprie infrastrutture e del proprio personale, e non della possibilità per le Forze Armate di impiegare questo tipo di figura professionale. Rimangono comunque i dubbi sugli effetti che potrebbe causare l’apertura del mercato nel settore della sicurezza e alla possibilità che vi possa essere in futuro una fuga di personale verso le compagnie private a scapito delle Forze Armate.
Editing a cura di Carolina Venco