Lo scorso 30 giugno si è tenuta una seduta pubblica della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), convocata nello specifico per affrontare la situazione politica in Nicaragua, a pochi mesi dalle prossime elezioni presidenziali.
«Ciò che avevamo identificato come uno stato di costante violazione, nelle ultime settimane è sfociato in una grave asfissia dell’esercizio delle libertà civili e politiche» ha avvertito Pedro José Vaca, relatore speciale per la libertà di espressione.
Il contesto di questa dichiarazione è quello dell’arresto, nel giro di circa un mese, di 27 oppositori politici, tra cui 5 pre-candidati alla presidenza. La modifica ad hoc di alcune leggi elettorali – come quella che ha abolito il limite di mandati presidenziali – permetterà a Daniel Ortega di correre a novembre per la sua quarta elezione consecutiva e, con tutta probabilità, di vincerla. Nel frattempo, dall’aprile 2018 a oggi, centinaia di persone hanno perso la vita protestando a causa della violenza della repressione, mentre i giornalisti dissidenti sono costretti all’esilio. Tra gli ultimi ad aver abbandonato il Paese, dichiarando di essere stati minacciati, ci sono Carlos Fernando Chamorro e Sergio Marín Cornavaca.
Quello che sta succedendo in Nicaragua è emblematico della fragilità del concetto di democrazia e di quanto l’attaccamento al potere possa snaturare gli ideali di qualunque movimento e rivoluzione.
Un sandinismo divenuto irriconoscibile
Con gli eventi delle ultime settimane, il Nicaragua è tornato ad accendere la polarizzazione del dibattito regionale, mentre il resto del mondo continua a guardare altrove. Anche se il Parlamento Europeo ha chiesto sanzioni contro il governo Ortega e ha condannato con forza la sua deriva autoritaria, la cronaca delle recenti persecuzioni occupa uno spazio molto limitato sulle nostre testate.
Proprio a causa di questa attenzione discontinua, nonché delle interferenze del governo con la libertà di stampa, non è così immediato comprendere quello che sta succedendo nello Stato centroamericano. Sembra lontana l’epoca in cui il Nicaragua fu uno dei più preoccupanti teatri della Guerra Fredda, o forse la nostra mentalità ha archiviato con troppa leggerezza il periodo delle dittature latinoamericane.
Eppure basterebbe allargare lo sguardo al vicino El Salvador e ricordarsi delle mosse ben calibrate del presidente Bukele per annichilire l’opposizione, in modo graduale ma costante.
Una dinamica simile si sta sviluppando in Nicaragua, solo che la coppia presidenziale (la vice-presidente è la primera dama Rosario Murillo) agisce con meno consenso popolare e con ancora più sfrontatezza.
L’accentramento di potere si è venuto a creare poco alla volta. Tuttavia si può individuare il 2018, con la sua ondata di asprissime proteste durata alcuni mesi e costata molte giovani vite, come un fondamentale momento di svolta. Da allora si è mostrata la trasformazione ai vertici del partito che era stato il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale; da allora avanza la presa di distanza sempre più netta degli ex-guerriglieri da quel presidente che fu per loro un compagno e un comandante.
Ortega, dalla guerrilla alla presidenza
Nato da una famiglia che era stata perseguitata dal dittatore Anastasio Somoza, Ortega divenne fin da giovanissimo uno dei capi dell’FSLN, attività rivoluzionaria per la quale trascorse 7 anni in carcere dal 1967 al 1974. Quando fu liberato grazie a uno scambio di prigionieri, continuò a guidare la guerriglia di ispirazione marxista fino ad assumere un ruolo da protagonista nella sconfitta della dittatura che la dinastia Somoza aveva imposto sin dal 1936. La giunta che Ortega coordinò – e di cui facevano parte altre personalità di spicco della politica nicaraguense, come Violeta Barrios de Chamorro – mise in allarme il governo degli Stati Uniti, che temeva l’ascesa di un nuovo governo comunista nell’area. Nel 1984, Ortega vinse le prime elezioni dopo la rivoluzione sandinista: erano gli anni dell’embargo USA e dello scandalo dei finanziamenti da parte della CIA delle guerriglie contras, che portarono il Paese alla guerra civile.
Il primo governo sandinista è ricordato per la sua riforma agraria e della sanità, oltre che per i successi ottenuti nella lotta all’analfabetismo. Già allora, però, Ortega fu criticato per non essere riuscito nella promessa ripresa economica e per come mise fuori gioco l’opposizione: istituendo uno stato di eccezione che cancellava diritti civili e sociali, tra cui la libertà di espressione e il diritto allo sciopero. Nel 1990 il FSLN perse le elezioni proprio contro la ex-alleata Chamorro, che nel frattempo si era allontanata e aveva organizzato un’ampia coalizione di ispirazione liberal-conservatrice, la UNO (Unión Nacional Opositora). Ortega rimase all’opposizione, pur continuando a rivestire cariche importanti, fino al 2007.
La trasformazione ideologica e l’aggregazione dei poteri
Quando tornò alla presidenza, non aveva abbandonato la retorica rivoluzionaria. Tutto il resto, però, era cambiato. L’appoggio del cardinale Miguel Obando y Bravo fu decisivo per vincere le elezioni: da allora l’alleanza informale tra le élite economiche e quelle religiose si trasformò nella base di potere di Ortega. I colori e i simboli dell’FSLN cambiarono, il motto divenne “Nicaragua cristiana, socialista, solidaria”.
L’aborto terapeutico fu proibito nel 2008 e da allora il Nicaragua si è convertito in uno dei Paesi al mondo con la legislazione più retrograda in materia: l’interruzione di gravidanza è illegale in qualunque condizione. Dopo il matrimonio, rigorosamente religioso, con Ortega, Murillo cominciò ad assumere un ruolo sempre più preponderante nella propaganda, che da allora cita Dio e mantra di pace e amore. Un socialismo confessionale che nelle parole del giornalista del Confidencial Iosu Perales, rappresenta “un’originalità surreale”.
In parallelo con la sua immagine di uomo devoto, Ortega ha costruito con attenzione una rete di rapporti clientelari con il settore impresariale e promosso le privatizzazioni. Pur avendo criticato il modello produttivo neoliberale delle tre amministrazioni precedenti, lo lasciò intatto e di fatto continuò a servirsene. Per tutto il periodo del suo governo i gruppi economici più potenti, riuniti nel COSEP (Consejo Superior de la Empresa Privada), hanno potuto usufruire di crediti vantaggiosi ed espandere il loro mercato. Il radicato settore informale ha continuato a essere causa di disuguaglianze e povertà per il Nicaragua, anche se programmi economici palliativi riuscirono a tamponarla per alcuni anni.
La “eternamente leale” Rosario fu nominata vicepresidente nel 2017. L’FSLN era nel frattempo arrivato a sovrapporsi con l’intera amministrazione nazionale. Numerosi membri della famiglia Ortega occupano oggi cariche pubbliche.
Leggi mirate per smontare l’opposizione
Il sospetto di irregolarità ha pesato su diverse elezioni municipali e nazionali. Quello che è certo è che nel 2014 l’organo legislativo Asamblea Nacional ha varato un controverso pacchetto di riforme costituzionali: da allora è sufficiente una maggioranza relativa per vincere le presidenziali (senza la soglia del 35% si elimina di fatto il ballottaggio), il presidente ha facoltà di dettare decreti esecutivi di applicazione generale ed esponenti della polizia e dell’esercito possono rivestire cariche nel governo, qualora sia ritenuto necessario per ragioni di sicurezza nazionale. Soprattutto, con la dichiarazione di inapplicablità dell’articolo 147, si sancì la possibilità della rielezione indefinita, che vale sia per la massima carica del Paese sia per i sindaci.
Una situazione simile si è verificata più recentemente, alla fine del 2020, quando furono approvate tre leggi che sanzionano le voci critiche del sandinismo. A ottobre fu la volta della Ley de Regulación de Agentes Extranjeros e della Ley Especial de Ciberdelitos (soprannominata Ley Mordaza, “legge bavaglio”). Su base chiaramente politica, permettono al governo di controllare e censurare i giornalisti che con il loro lavoro supporterebbero “ingerenze” ostili esterne. A dicembre, per di più, una sessione straordinaria ha approvato una legge di sovranità (il nome completo è Ley de Defensa de los Derechos del Pueblo a la Independencia, la Soberanía y Autodeterminación para la Paz) che mina la stessa esistenza dell’opposizione: nessuno, soprattutto i candidati alle prossime presidenziali, può dichiarare il proprio appoggio alle proteste del 2018 o auspicare una presa di posizione internazionale contro il governo in carica, pena essere arrestato in quanto “traditore della patria”.
L’assedio degli oppositori
Questa è la sorte toccata a Dora María Téllez, Arturo Cruz e Hugo Torres, figure storiche della guerriglia e ora riconosciuti dissidenti dell’orteguismo, così come ai leader del partito di opposizione Coalición Nacional, che è stato sciolto per ordine del governo.
Dall’inizio dell’anno, la figlia di Violeta Barrios de Chamorro, Cristiana, aveva reso pubblica la sua volontà di correre per la presidenza. Un sondaggio dell’organismo costarricense CID Gallup la identificava, con il 21% delle preferenze pre-elettorali, come la favorita tra gli sfidanti di Ortega. Prima ancora di poter ufficializzare la sua candidatura, tuttavia, il governo ha disposto per mezzo della Fiscalía un’indagine per riciclaggio di denaro contro la Fondazione della madre Violeta e per presunte incongruenze nei rendiconti a carico di Cristiana. Il processo non è ancora iniziato, ma mentre si trova agli arresti domiciliari, Chamorro risulta inabilitata a presentarsi per qualunque carica.
Ognuna di queste mosse tende a un unico obiettivo: la perpetuazione dell’orteguismo al potere. La contraddizione più grande è rappresentata dalle similitudini, sia negli obiettivi che nei metodi, tra questo governo e la dittatura che aveva inizialmente scalzato. Se tutte le istituzioni democratiche sono state cooptate o smantellate, se degli ideali socialisti dell’FSLN rimane solo vuota propaganda, chi è il vero traditore della patria?
Fonti e approfondimenti
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Podcast El Hilo, La última cacería de Daniel Ortega 18/06/2021.
Editing a cura di Elena Noventa