Nicaragua: l’evoluzione del dissenso contro Daniel Ortega

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Nicaragua - @JorgeMejíaPeralta - Flickr - CC BY 2.0

Lo scorso anno il Nicaragua ha festeggiato i quarant’anni della liberazione dalla dittatura di Anastasio Somoza, l’ultimo di una dinastia che governava il Paese dal 1936. Ma si trattava solo dell’inizio di una guerra civile che entrò nelle dinamiche della Guerra Fredda. La parte vincente, il Frente Sandinista de Liberación Nacional, appoggiato dall’URSS, iniziò un processo di transizione culminato nel trionfo elettorale del 1985. Dall’altra parte, le Contras, retaggio della Guardia Nacional di Somoza, perpetravano mirati attacchi terroristici sotto l’egida degli Stati Uniti guidati da Reagan, con l’intento di debilitare i rivoluzionari. Lo spargimento di sangue terminò solo con la vittoria dell’opposizione nel 1990 e con lo scioglimento delle Contras. 

Daniel Ortega, ex leader del Frente Sandinista, recuperò il potere nel 2007 e da allora governa ininterrottamente, grazie ad alcune modifiche della Costituzione che gli hanno permesso di superare il limite dei due mandati. In molti considerano l’attuale presidente come un nuovo Somoza, un libertador trasformato in dittatore. La sua famiglia, in primis sua moglie Rosario Murillo, chiamata dispregiativamente “la strega”, controlla in maniera incontrastata le principali aziende del Paese e i tribunali. Il malcontento, dopo anni di nepotismo e di potere assoluto, si è esacerbato solo a partire dalle proteste del 18 aprile del 2018 contro la riforma delle pensioni. Una misura, come l’aumento del prezzo del biglietto della metro in Cile, che in realtà nasconde un disagio pregresso e generalizzato. Da quella data non ci sono stati progressi. Le negoziazioni tra il governo e la società civile sono naufragate e Ortega si è rifiutato in varie occasioni di anticipare le elezioni previste per il 2021. Ripercorriamo allora quello che è successo e analizziamo lo scenario futuro. 

Lo scoppio e lo sviluppo della crisi

La riforma che innescò la crisi politica in Nicaragua imponeva ai pensionati il versamento del 5% delle loro pensioni per la copertura delle malattie. Anche il contributo degli impiegati alla previdenza sociale sarebbe cresciuto dal 6,25% al 7% del loro stipendio. Il governo spiegò che queste misure erano necessarie per salvare l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INSS), in crisi a causa di anni di amministrazione inefficiente e di un utilizzo inappropriato dei suoi fondi per finanziare progetti di investimento legati a Ortega. 

Il 18 aprile del 2018 i pensionati scesero in piazza per opporsi alla riforma. L’immagine degli anziani strattonati dalla Polizia scatenò l’indignazione generale e parte della popolazione, soprattutto i più giovani e gli studenti, prese parte alle proteste. La decisione di Ortega di ritirare la riforma delle pensionisolo quattro giorni più tardi, non servì a placare l’ira dei manifestanti, in rivolta non più contro una misura specifica ma contro tutto il sistema su cui si reggeva il regime.

Il governo rispose con una delle più brutali azioni repressive della sua storia recente, passata agli onori della cronaca come “Operación Limpieza”. Ortega si avvalse dell’aiuto di gruppi paramilitari per distruggere le barricate create dai manifestanti, seguendo il modello dei guerriglieri sandinisti, e cominciò a scagliarsi contro la folla accumulando morti e arresti. Secondo un report della Commissione Internazionale dei Diritti Umani, ad oggi tra le 300 e le 500 persone sono rimaste vittima delle proteste mentre le persone fatte prigioniere sono quasi 800.

Dal giugno dello stesso anno, e cioè da quando la comunità internazionale ha cominciato a minacciare il presidente con le prime sanzioni, Ortega cambiò il suo linguaggio e presentò le manifestazioni come “un fallito golpe”, trasformando gli studenti di colpo in “terroristi” o, per usare le parole di Rosario Murillo, in “vampiri” e “sanguisughe”. L’Assemblea Nazionale approvò una norma che permetteva di punire “i finanziatori del terrorismo” con 15 o 20 anni di carcere, norma aspramente criticata dall’ONU poiché il suo chiaro obiettivo era quello di criminalizzare la protesta pacifica. In seguito, vennero espulsi dal Paese la Commissione Interamericana dei Diritti Umani e un gruppo nominato dall’Organizzazione degli Stati Americani che avevano in programma la pubblicazione di un report sulla violenza statale dall’inizio delle proteste fino a quel momento. 

Ortega rese le proteste illegali il 29 settembre. Tuttavia, non fu in grado di fermarle e già da marzo del 2019, sei mesi dopo, le persone sono tornate in piazza per manifestare la propria delusione per i pochi passi avanti fatti nelle negoziazioni con la società civile. La repressione si concentrò su alcuni obiettivi. La stampa fu il settore più bersagliato dalle minacce: alcuni giornali, asfissiati dal controllo del regime, chiusero i battenti e molti giornalisti, tra cui il direttore del “Confidencial” Fernando Chamorro, scapparono in Costa Rica. 

Anche i preti di Managua e Masaya hanno dovuto affrontare la persecuzione statale, come nel caso di Erick Alvarado Cole, prete della parrocchia della Divina Misericordia della capitale. Cole offrì rifugio agli studenti dell’Università Autonoma e venne accerchiato dalla polizia che iniziò a sparare contro la sua chiesa. Un proiettile perforò una statuina di Gesù Cristo, che divenne così il simbolo della battaglia contro il regime. 

I tentativi di negoziazione

Sono due i settori della società che si sono seduti a negoziare con Ortega nell’arco di questo anno e mezzo di crisi. Da una parte l’Alianza Civica, una eterogenea organizzazione che riunisce femministe, studenti universitari, rappresentanti del settore privato, contadini e accademici. Dall’altra i principali imprenditori del Nicaragua come Carlos Pellas, che detiene il controllo della più grande casa produttrice di zucchero del Paese e del Ron Flor de Caña, fiore all’occhiello della produzione nazionale, e Roberto Zamora, presidente del Gruppo Proamerica, presente in nove Paesi del continente, con un patrimonio stimato di 12 miliardi e 600 milioni di dollari. Bastano questi nomi per far capire la portata dell’influenza che questi milionari possono esercitare sul governo di Ortega.

L’Alianza Civica e gli imprenditori si sono uniti per negoziare con il presidente, forti della pressione internazionale da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, con delle richieste precise: anticipazione delle elezioni presidenziali previste per il 2021 e liberazione di tutti i detenuti, considerati come prigionieri politici, oltre alla loro impunità.

Fino ad ora, le due parti non hanno raggiunto un compromesso. Nel giugno del 2019, Ortega ha liberato circa 100 prigionieri attraverso l’applicazione di una Legge di Amnistia che, secondo i leader della rivolta sociale, aveva come principale obiettivo quello di ripulire l’immagine della polizia, responsabile della morte e della tortura dei manifestanti. Inoltre, l’Alianza non aveva ottenuto la liberazione totale dei prigionieri motivo per cui, in segno di protesta, i suoi rappresentanti decisero di abbandonare temporaneamente il tavolo delle trattative.

Qualche mese più tardi, a novembre, il presidente ha sfruttato questo gesto per chiudere la via del dialogo “in assenza dell’altra parte”. Il continente era appena entrato nel periodo della crisi di potere di Evo Morales in Bolivia e Ortega si fece scudo di quella circostanza per giustificare il suo rifiuto a indire nuove elezioni: “Quello che è successo in Bolivia è la prova che con la via elettorale le popolazioni si sentiranno in diritto e in obbligo di cercare le armi per prendere il potere con la via rivoluzionaria”, disse.

Scenario attuale

L’unione tra l’Alianza Civica e gli imprenditori è durata solo 15 mesi. Il 2020 è iniziato infatti con la separazione delle due parti, che non trovano un accordo sui prossimi passi da seguire. L’Alianza Civica ha intenzione di indire uno sciopero nazionale, che spaventa particolarmente gli imprenditori in quanto potrebbe debilitare ulteriormente la già disastrata economia del Paese. Dall’inizio delle proteste, la Fondazione Nicaraguense per lo Sviluppo Economico Sociale ha segnalato che le persone licenziate sono state 417.000 e prevede una decrescita economica del -2%. La crisi ha generato un flusso migratorio, specialmente verso la Costa Rica, che accoglie ad oggi circa 40.000 nicas. L’ultima sanzione imposta dagli Stati Uniti è stata abilmente aggirata da Ortega attraverso la nazionalizzazione della Distribuidora Nicaraguense de Petróleo, guidata da uno dei suoi sette figli, Rafael Antonio. 

Con lo stallo delle negoziazioni e la riduzione dell’interesse internazionale sulla crisi in corso, Ortega ha come unico obiettivo quello di resistere fino alle elezioni del prossimo anno. Il presidente potrebbe mantenere il potere, indebolendo ulteriormente gli spazi di espressione lasciati all’opposizione e manipolando il processo elettorale, grazie anche all’assenza di osservatori internazionali e all’espulsione dal Paese delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. 

 

Fonti e approfondimenti

BBC Mundo, “Crisis en Nicaragua, a un año del inicio de las protestas: “Ortega solo va a ceder cuando la presión nacional e internacional lo pongan en una situación extrema””, 18/04/19

https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-47964275

BBC Mundo, “La “operación limpieza” que hizo que Nicaragua viviera el día más sangriento desde que iniciaron las protestas contra Daniel Ortega”, 10/07/18

https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-44775857

BBC Mundo, “Crisis en Nicaragua: liberan a 50 presos de los más de 670 que la oposición exige para continuar el diálogo”, 15/03/19

https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-47592491

Organizzazione degli Stati americani, bollettini del 2019 sul Nicaragua
https://www.oas.org/es/cidh/actividades/visitas/nicaragua2018.asp

ONU, “Nicaragua: Impune ante las violaciones de los derechos humanos”, 6/09/19

https://news.un.org/es/story/2019/09/1461712

El País, “La división de la oposición de Nicaragua da un balón de oxígeno a Daniel Ortega”, 9/01/20

https://elpais.com/internacional/2020/01/08/america/1578521196_867571.html

El País, “Estados Unidos golpea las finanzas de la familia Ortega en Nicaragua”, 16/12/19

https://elpais.com/internacional/2019/12/16/america/1576457941_905226.html

El País, “Ortega libera a los principales líderes de las protestas en Nicaragua”, 11/06/19

https://elpais.com/internacional/2019/06/11/america/1560262232_466339.html

El País, “La crisis hunde a la economía de Nicaragua tras años de crecimiento”, 10/01/19

https://elpais.com/internacional/2019/01/08/america/1546978369_167727.html

 

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