La prospettiva delle minoranze culturali è solita rimanere al margine della narrazione storica tradizionale. Il movimento Chicano ha combattuto questa tendenza, dando voce a una delle comunità più importanti sul suolo USA. La riuscita in questo intento sarebbe stata però incompleta se non fosse stato per la tenacia delle donne al suo interno, determinate a scardinare la subordinazione determinata sia dal razzismo che dai ruoli di genere.
Il Trattato di Guadalupe-Hidalgo
Nel 1848, con la firma del Trattato di Guadalupe-Hidalgo, il Messico cedette una vasta porzione dei suoi territori agli Stati Uniti. Il Trattato fu stipulato durante una conferenza di pace tra i due Paesi, che pose fine a un sanguinoso conflitto territoriale iniziato quasi due anni prima. Gli Stati Uniti uscirono vittoriosi dal conflitto e ottennero gran parte del Texas – il Rio Grande fu scelto come nuovo confine naturale con il Messico. Insieme al Texas, però, il Messico cedette una vasta parte dei suoi territori. I messicani residenti in Arizona, California, New Mexico, Nevada, Wyoming, Utah e parte di Colorado passarono sotto la giurisdizione statunitense.
Questo momento sancì la nascita di una delle più grandi comunità degli Stati Uniti. Chicanos è il termine con cui la comunità dei discendenti messicani si identifica, la cui popolazione (attualmente stimata sui 70 milioni di persone) costituisce la maggioranza dei latinos residenti nel Paese.
Sebbene il numero dei chicanos continui a crescere, grazie soprattutto all’immigrazione, diversi fattori ostacolano la piena integrazione e la mobilità sociale di questo gruppo. Questa minoranza, come molte altre, deve fare i conti con diverse problematiche sociali: povertà, crimine, violenza, scarso accesso all’assistenza sanitaria, sottorappresentazione nella politica statunitense e discriminazione nelle scuole. Proprio per questo, storicamente, i chicanos hanno lottato per rivendicare la propria identità e per migliorare le proprie condizioni nella società statunitense.
Discriminazione e problemi identitari
La comunità dei messicano-americani crebbe per tutto il secolo successivo al trattato di Guadalupe-Hidalgo, non senza problemi di integrazione. Sin dall’inizio, gli appartenenti a questa comunità vennero formalmente discriminati dalle istituzioni statunitensi.
Secondo il trattato di Guadalupe-Hidalgo i Messicani residenti nei territori ceduti agli Stati Uniti avrebbero ricevuto la cittadinanza statunitense. In questo senso, vennero classificati legalmente come “bianchi” per consentire loro di ottenere la cittadinanza statunitense, in quanto gli Stati Uniti, secondo il Naturalization Act del 1790, riconoscevano solo alle “persone bianche” la possibilità di diventare cittadini. Dalle ricostruzioni storiche emerge però che in gran parte dei casi la cittadinanza venne conferita solo all’elite messicano-spagnola, e che la maggioranza dei cittadini messicani fu considerata come una minoranza “di serie B”. Questa nuova minoranza venne soggetta alla giurisprudenza relativa alle “tribù indiane” – fortemente discriminate e marginalizzate.
Durante il secolo successivo le condizioni di questa minoranza nella società statunitense non migliorarono in modo significativo. Per esempio, negli anni Quaranta del Novecento, chicano veniva utilizzato come termine dispregiativo per riferirsi alla classe operaia messicana-americana in una società statunitense prevalentemente caucasica. Similmente, in Messico, il termine veniva usato in modo intercambiabile con pocho (scolorito) per deridere i messicani-americani, “colpevoli” di aver perduto la loro cultura, costumi e lingua di origine.
El Movimiento
A partire dagli anni Sessanta la comunità chicana iniziò a fare suo il termine, originariamente dispregiativo, e a rivendicare una forte presenza politica e culturale in risposta ad anni di oppressione sociale e discriminazione. Il Movimento Chicano (El Movimiento) degli anni ’60 e ’70 si caratterizzò per una forte presenza politica negli Stati Uniti.
El Movimiento ha rappresentato la continuazione del movimento messicano-americano per i diritti civili degli anni ’40. Sotto la guida di Rodolfo “Corky” Gonzales, César Chávez e Dolores Huerta, che collaborarono lungamente anche con il movimento Black Power, il Movimento Chicano ha intrapreso diverse importanti battaglie: dal ripristino delle concessioni terriere, ai diritti dei lavoratori agricoli, al miglioramento dell’istruzione, al diritto al voto e alla lotta contro gli stereotipi.
Femminismo e chicanismo
Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 le donne chicane cominciarono a costruire uno spazio autonomo – tutto al femminile – all’interno del Movimiento statunitense. Di fronte a una leadership e un’impostazione politica appannaggio maschile, il femminismo chicana (Xicanisma) opera una duplice rottura: dal Movimiento e dal machismo che lo contraddistingue – interpretato come retaggio coloniale – e dal femminismo predominante negli Stati Uniti, le cui protagoniste e destinatarie erano quasi esclusivamente donne bianche e borghesi. Emerge dalla necessità di includere identità e storie che si trovavano fuori dalla narrazione egemonica, raccontare vite attraversate da conflitti etnici e di classe. Come per il black feminism, nasce da un’esigenza di intersezionalità: raccontare le donne non bianche, non eterosessuali, lontane dallo stereotipo della latina ipersessualizzata e della madre dedita al sacrificio.
Nel 1971 a Houston si riunì la Conferencia de Mujeres por la Raza, il primo momento di incontro delle donne chicane statunitensi con lo scopo di discutere le istanze femministe all’interno del movimento. Tra i temi emersi ci furono i diritti sessuali e riproduttivi – su tutti aborto sicuro e legale – e accesso all’istruzione superiore come volano di emancipazione.
Il nodo cruciale del femminismo chicano è quello dell’identità ed emerge dalla condizione di cittadine di seconda classe. La pratica femminista diventò quindi strumento di emancipazione rispetto a un destino subalterno nella società bianca e borghese, ma anche di recupero delle radici storico-familiari lontane dalla cultura (coloniale) angloamericana.
A caratterizzare l’elaborazione teorica del femminismo chicano è in particolare l’immagine e la postura della mestiza (meticcia), elaborata in particolare da Gloria Anzaldúa.
Xicanas
All’inizio degli anni ‘90 – in concomitanza del V centenario della “scoperta dell’America” – si diffuse l’utilizzo del termine Xicana(s) come atto di critica espressa al processo di colonizzazione tramite la “trasgressione” ortografica che è insieme recupero di un linguaggio pre-ispanico.
Il pensiero Xicana non si sviluppa come vera e propria filosofia accademica, ma nell’ambito degli studi chicani e di genere, come teoria e pratica di lotta pienamente inserita nel filone “women of color/mujeres de color”.
Quest’ultimo muove una denuncia di invisibilizzazione delle differenze tra le esperienze femminili nella società statunitense, un approccio intersezionale che rifiuta la categoria di “donna” basata esclusivamente sul modello bianco-borghese e non tiene conto delle diverse forme di oppressione legate alla classe e la “razza”.
C’è poi una forte commistione con gli studi de/post-coloniali – tramite il recupero della storia e dell’identità indigena incarnata nei corpi delle latine – e con gli studi queer. In particolare, il rifiuto dello stereotipo della donna latina ipersessualizzata e oggettificata (anch’esso retaggio culturale) si trasforma in critica all’eteronormatività della società (e del femminismo) statunitense.
Latina: Gloria Anzaldúa
Scrittrice, poeta, teorica femminista-queer, chicana texana, patlache (parola nahuatl per lesbica), Gloria Evangelina Anzaldúa è un’esponente imprescindibile del femminismo chicano. Nata in Texas da genitori di origine messicana, dopo un periodo di lavoro come insegnante di scuola materna, nel 1977 si trasferì in California, dove iniziò a scrivere, a tenere conferenze e occuparsi di femminismo, cultura e identità chicana e scrittura creativa presso varie Università dello Stato. Da questa posizione prova a raccontare “la frontera” e l’esperienza delle donne che la abitano – geograficamente, politicamente, culturalmente.
Nella sua opera “Borderlands/La Frontera”, pubblicato nel 1987, Anzaldúa parla delle terre di confine come spazi simbolici e si sofferma sul plurilinguismo (già dal titolo) come elemento fondante del mestizaje – concetto da lei introdotto al grande pubblico statunitense. L’opera ricostruisce la storia di un’esistenza a cavallo tra diverse culture vicino al confine tra Messico e Texas e, al contempo, è una ricostruzione di mitologie e filosofie culturali degli indigeni messicani, con un focus particolare sul ruolo delle donne nella cultura ispanoamericana.
Nelle sue opere Gloria Anzaldúa ha recuperato e reinventato alcuni miti femminili nati dal contatto/scontro della civiltà nativa con quella europea: come quello della Malinche, la traduttrice-amante di Cortés a lungo ritenuta dai discendenti degli aztechi una “traditrice”, presentata invece come esempio di una faticosa intermediazione linguistico-culturale.
Il suo lavoro sulla cultura di confine è considerato parte del filone post-coloniale e precursore della filosofia Latinx (recente approccio che coniuga l’esperienza chicana con la querness) . In opere come “La Conciencia de la Mestiza: Towards a New Consciousness” Anzaldúa analizza la costruzione di un’identità non binaria, che sfida la rigidità di una cittadinanza costruita su schemi coloniali e l’eteronormatività che, in particolare sui corpi e le vite delle donne chicane, si mostra in tutta la sua violenza.
In questo è esemplare della teorizzazione femminista chi/xicana che nel tempo ha (de)scritto la frontiera come un luogo di teorizzazione e denuncia. Un luogo da cui parlare e rivendicare le specificità del meticciato. Anzaldúa è tra le più autorevoli esponenti del pensiero di confine e in particolare della frontiera tra Stati Uniti e Messico – da cui scrive ed è ispirata – ma che utilizza come metafora di ogni altra possibile divisione costruita su “razza”, genere, sessualità, classe.
I am a mestiza,
continually walk out of one culture and into another,
because I am in all cultures at the same time,
alma entre dos mundos, tres, cuatro, me zumba la cabeza con tono contradictorio.
Estoy norteada por todas las voces
que me habitan simultáneamente.
[Una lucha de fronteras / A Struggle of Borders Because]
Fonti e approfondimenti
Anzaldúa, Gloria. La conciencia de la mestiza, (1987).
Anzaldúa, Gloria. Papers, Texas Archival Resources Online, (1942-2004).
Belausteguigoitia, Marisa. “Borderlands/La Frontera: El Feminismo Chicano De Gloria Anzaldúa Desde Las Fronteras Geoculturales, Disciplinarias Y Pedagógicas.” Debate Feminista 40, (2009): 149-69.
Cacheux Pulido, Elena Margarita. Feminismo chicano: raíces, pensamiento político e identidad de las mujeres, (2021).
Chicana Ideologies and Issues, page of the Website created for the course “Introduction to Latino Studies” by the University of Michigan.
Pardo, Mary. “Mexican American Women Grassroots Community Activists: “Mothers of East Los Angeles“, Frontiers: A Journal of Women Studies 11, no. 1, (1990): 1-7.
Nationality Act of 1790 – Immigration History. (2021).
Provenzano, Serena. La donna chicana: ‘alienata dalla cultura madre e aliena nella cultura dominante’, Visioni LatinoAmericane, Numero 6, Gennaio 2012, Issn 2035-6633, Centro Studi per l’America Latina (2021).
Editing a cura di Matilde Mosca
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