Cinquecento anni fa, Hernán Cortés attuò nell’odierno Messico la più grande annessione territoriale mai portata a termine per l’impero spagnolo da un singolo individuo. Nessun’altra civiltà conobbe una tale devastazione in un lasso di tempo così breve come quella Mexica. Il mondo mesoamericano e quello iberico si incontrarono e si scontrarono: per le popolazioni locali furono fatali lo squilibrio della tecnica militare e delle conoscenze relative a realtà “altre”.
Il contesto precolombiano
All’inizio del XIII secolo, gli antichi messicani (designati successivamente dagli studiosi occidentali come Aztechi in ricordo di Aztlán, punto di partenza mitico della loro migrazione) scesero dall’attuale California verso la Valle di Anahuac, oggi Valle del Messico. L’incontro con le popolazioni locali di agricoltori e le vestigia delle civiltà olmeca e tolteca portarono i nuovi arrivati, un popolo guerriero e di cacciatori-raccoglitori, a installarsi nella Valle. Nel 1325, fondarono la città di Tenochtitlan sui margini del lago principale. Si arricchirono con il commercio e divennero famosi per le loro guerre di conquista. Nel giro di un secolo, si imposero violentemente su un territorio che si estendeva da un oceano all’altro e su oltre quindici milioni di persone. Era composto da trentotto province tributarie, che mantennero l’autonomia religiosa, politica e amministrativa rispetto a Tenochtitlán. Dal 1503, questa miriade di territori e popoli si trovò sotto il comando dell’imperatore Montezuma II.
La guerra e la religione
I Mexica avevano convenzioni belliche che rispettavano scrupolosamente, in quanto ritenevano che le battaglie fossero giudicate dalle divinità: non potevano essere né troppo inique né a sorpresa. Inoltre, le guerre di conquista puntavano a preservare le popolazioni assoggettate così da poterle integrare a livello economico e tributario. Infine, gli Aztechi non imponevano il proprio credo, bensì assorbivano i culti dei nuovi vassalli nel loro pantheon politeista.
Gli spagnoli avrebbero violato del tutto tali convenzioni e lo choc avrebbe reso la risposta degli aztechi inadeguata, a prescindere dalle forti tradizioni guerriere. Per di più, lo scopo ufficiale della conquista spagnola era l’evangelizzazione, e il cattolicesimo era rigorosamente intollerante: le chiese andavano costruite sulle rovine dei templi “pagani”. Fu questo il contrasto che rese impossibile un dialogo pacifico tra le due civiltà e che si risolse nella sottomissione totale di una all’altra.
Il conquistador
Hernán Cortés nacque nella regione spagnola dell’Estremadura nel 1485. A soli diciannove anni decise di tentare fortuna nel Nuovo Mondo. Partecipò a numerose spedizioni militari per reprimere le rivolte indigene e nel 1511 alla conquista di Cuba, accumulando un capitale importante di ricompense. Gli spagnoli erano alla ricerca di nuovi teatri di conquista e Cortés venne nominato capitano generale di un’iniziativa volta a esplorare le coste dell’odierno Messico. Impiegò la sua nuova fortuna per equipaggiare la sua armata di 110 marinai, 553 soldati e 16 cavalli. Salparono il 18 febbraio 1519.
L’arrivo degli spagnoli
Le poche fonti mesoamericane sulla conquista narrano di spaventosi fenomeni naturali che avrebbero preannunciato l’arrivo di una grande sciagura, in corrispondenza dello sbarco dei primi spagnoli sulle quelle terre.
Quando i nuovi arrivati cercarono di comunicare con i nativi sulle isole al largo dell’odierno Yucatan, questi li risposero nel loro dialetto maya probabilmente “Ma c’ubah than”, ossia “non comprendo le vostre parole”. Da tale espressione gli europei trassero il nome che diedero alla regione, emblematico dell’incomprensione tra quei due mondi.
Gli interpreti e le interpretazioni
Un’altra spedizione era naufragata pochi anni prima e i sopravvissuti erano stato fatti prigionieri. Fu così ritrovato Jerónimo de Aguilar, che conosceva il dialetto e la cultura maya locali. Mentre gli spagnoli continuavano ad avanzare, i maya Tabascani donarono loro venti donne schiave. Una di queste, successivamente conosciuta come la Malinche, era mexica di nascita. Nei territori in cui si parlava la lingua degli Aztechi, il nahuatl, era la Malinche a tradurla al dialetto maya, che Aguilar avrebbe in seguito trasposto allo spagnolo. Entrambi, ma soprattutto la Malinche, giocarono un ruolo fondamentale nella conquista di quelle terre.
L’incomprensione di quello che si palesava davanti a loro portò le popolazioni locali a convincersi che gli spagnoli fossero delle divinità e più precisamente che si stesse verificando il ritorno di Quetzalcoatl. L’iniziale credenza in questo mito giocò a favore degli europei e paralizzò parzialmente la resistenza locale. Tuttavia, svanì con le notizie dei primi massacri perpetrati dai conquistadores. D’altra parte, la poca resistenza è motivata dal fatto che gli Aztechi avevano soggiogato gran parte della regione poco prima. Cortés apparve dunque a prima vista come un male minore, forse addirittura come un libertador.
Una delle chiavi del successo spagnolo fu la capacità, soprattutto tramite gli interpreti, di capire le credenze, i timori e le dinamiche locali, come l’esistenza di divisioni interne all’impero.
Gli alleati e la marcia verso Tenochtitlan
Tali divisioni furono determinanti per l’impresa. Infatti, lungo la strada verso Tenochtitlan si unirono alle ridotte forze del capitano decine di migliaia di vassalli dei messicani, spinti dal risentimento per la sottomissione e il pagamento dei tributi. Montezuma II provò a respingere l’avanzata degli spagnoli tramite messaggeri, ma alla fine si vide costretto a invitarli nella sua capitale. Quando avvistarono la Valle di Anahuac, gli iberici videro le prove della grandezza e della potenza di quella civiltà, la più grande del continente americano. Secondo lo stesso Cortés, gli edifici, soprattutto quelli costruiti sulle acque del lago, superavano per maestria e disegno architettonico ogni costruzione presente in Spagna.
L’arrivo a Tenochtitlan
L’8 novembre 1519 gli europei entrarono a Tenochtitlan. Era più popolata di tutte le città europee dell’epoca, con 200 o 300 mila abitanti.
Cortés era preoccupato per la sua vulnerabilità militare nella capitale mexica. Imprigionò allora Montezuma II, che non mostrò resistenza e iniziò persino a collaborare con gli spagnoli. Visto che mancano fonti che documentino i pensieri personali di Montezuma, non si sa se lo fece solo per evitare spargimenti di sangue o perché soggiogato psicologicamente. Quel che è sicuro è che dinanzi allo sconvolgimento repentino del suo mondo, l’uomo più potente di un vasto impero si rassegnò ai nuovi arrivati.
L’insurrezione
In poco tempo, Cortés ottenne formalmente la cessione dell’impero azteco alla Corona spagnola. Tuttavia, dovette interrompere le sue azioni alla notizia di una spedizione inviata per punirlo: aveva operato autonomamente rispetto alle autorità spagnole stanziate nei Caraibi. Lasciò allora Tenochtitlan per affrontare i suoi compatrioti e diede il comando al suo capitano Pedro de Alvarado – che in seguito diventerà famoso per la sua crudeltà nella conquista dei territori centroamericani.
Al suo rientro, vittorioso, Cortés trovò una città in insurrezione. Durante la sua assenza, si era tenuta una delle più importanti celebrazioni religiose azteche: la festa di Toxcatl. Nel contemplare le danze e forse qualche sacrificio, Alvarado diede l’ordine di attaccare, e venne così sterminata quasi tutta la classe nobile mexica. In risposta, la capitale prese le armi sotto il comando del nuovo regnante Cuitlahua, fratello di Montezuma. Cortés chiese allora aiuto a quest’ultimo, che si rivolse al popolo dal palazzo in cui era prigioniero. Quando si dichiarò amico degli spagnoli, venne ricoperto di pietre e di frecce. Ne uscì gravemente ferito e morì poco dopo, per mano delle sue genti. Gli spagnoli decisero allora di fuggire dalla città la notte del 1° luglio 1520.
La fuga da Tenochtitlan
Durante la Noche Triste, il computo delle vittime fu di 450 spagnoli e almeno 4000 indigeni, insieme all’intero armamento dei primi. Per quasi 10 mesi, Cortés preparò la reconquista della capitale, aiutato da rinforzi via mare, da almeno 200 mila unità indigene alleate nonché dal vaiolo. Il virus fece infatti molti morti tra i nativi, tra cui anche Cuitlahua. Gli europei erano invece ormai quasi del tutto immuni e apparvero così ancora più forti. Il cosiddetto choc microbico fu il fattore che contribuì di più alla decimazione della popolazione americana: in 50 anni dall’arrivo dei conquistadores, i nativi dell’odierno Messico passarono da 25 a 1 milione.
L’assedio
A maggio 1521 iniziarono 75 giorni ininterrotti di assedio alla capitale. Gli spagnoli tagliarono i rifornimenti d’acqua e di alimenti e la conseguente carestia fu il loro più grande alleato. Non ci è arrivata nessuna testimonianza dagli abitanti di Tenochtitlan, solo la narrazione del loro coraggio e della loro perseveranza nonostante le condizioni difficilissime. Dopo una terribile burrasca, interpretata dai Mexica come presagio della loro fine, il 13 luglio del 1521, giorno 1-Serpente del mese Xecotl Uetzi nell’anno 3-Casa nel calendario azteco, Quauhtemotzin, l’ultimo imperatore, venne catturato. La resa fu inevitabile. L’assedio aveva lasciato circa 200 mila morti.
Il compimento della conquista
Fu così che la giovane capitale di una civiltà in piena ascesa venne distrutta in meno di due anni. Quel che ne restava fu incendiato per eliminare ogni traccia della grandezza dei Mexica. Nasceva così il Viceregno di Nuova Spagna. Cortés fece costruire la sua dimora sulle rovine del palazzo di Montezuma, che attualmente è la sede del governo messicano. Oggi, a Città del Messico rimane solo qualche piccola rovina nascosta della grandissima Tenochtitlan.
L’opera di evangelizzazione fu completata in un cinquantennio. Tuttavia, la devozione azteca verso le sue divinità non sparì, ma si nascose in una peculiare forma di resistenza conosciuta come sincretismo, viva ancora oggi.
La superiorità tecnica e militare giocò un ruolo fondamentale nella conquista. Tuttavia, il fattore decisivo fu il fatto che gli Aztechi erano una minoranza odiata dai popoli che avevano sottomesso. L’impero cadde per mano dei propri sudditi, i cui forti risentimenti furono canalizzati da pochi stranieri venuti dal mare. I Mexica possono infatti essere considerati dei conquistadores arrivati in un’epoca precedente.
I lasciti nella storia messicana
La Malinche, fedele ai conquistadores, fu il primo esempio dell’ibridazione delle culture e ne divenne il simbolo. Essa rappresenta ancora oggi una figura importante ed emblematica per i messicani: il termine malinchismo viene infatti usato per riferirsi alla sottomissione agli interessi e alle mode d’origine straniera.
Nel 1522 nacque Martín Cortés, figlio di Hernán e della Malinche. Fu il primo figlio della conquista e il primo mestizo riconosciuto. La mescolanza di sangue e di culture rimarrà il tratto caratteristico della regione. Purtroppo, anche il sangue sparso, le divisioni interne e la violenza continueranno a segnarne la storia. L’attuale Messico è infatti una conseguenza viva dell’incontro tra quei due mondi.
Fonti e approfondimenti
Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’”altro”, Einaudi, 2014.
W.H. Prescott, La Conquista del Messico, Einaudi, 1970.
Soustelle, La vie quotidienne des Aztèques. A la veille de la conquête espagnole, Hachette, 1955.
B. Levy, Conquistador. Cortés, Montezuma e la caduta dell’Impero Azteco, Mondadori, 2012.
Editing a cura di Elena Noventa
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