Il diritto all’acqua: gli effetti del progetto GAP in Turchia e in Medio Oriente

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il tema dell’acqua ha assunto, nel corso degli ultimi anni, un’importanza sempre maggiore nei contesti politici, economici e sociali di molte aree del pianeta. Dagli effetti del cambiamento climatico fino alla questione dell’accessibilità, passando dal coinvolgimento dei mercati finanziari, l’acqua è al centro di analisi e studi su come, nel prossimo futuro, i vari attori dello scenario internazionale si muoveranno per continuare a garantirsi la disponibilità di questa risorsa. Se dal punto di vista del diritto internazionale l’acqua è tutelata come bene inalienabile, la realtà ci mostra una complessità spesso difficile da interpretare. In particolare, in regioni come quella mediorientale, i problemi legati all’acqua sono noti da tempo. In questo articolo verranno approfonditi alcuni aspetti legati al prestigioso Progetto dell’Anatolia sud-orientale che la Turchia sta portando avanti per trarre vantaggio dai fiumi più importanti della regione, il Tigri e l’Eufrate. Tuttavia, ciò avviene spesso a discapito delle popolazioni locali e dei Paesi limitrofi.

Cos’è il Progetto dell’Anatolia sud-orientale (GAP)?

Negli anni Settanta, la Turchia iniziò una serie di opere nelle proprie regioni meridionali per la costruzione di impianti idrici. L’obiettivo era di promuovere lo sviluppo di aree rurali più arretrate attraverso progetti di sviluppo agricolo e di produzione di energia elettrica. Nel corso del tempo, le infrastrutture presero forma nell’imponente Progetto dell’Anatolia sud-orientale (in turco Güneydoğu Anadolu Projesi, da cui l’acronimo GAP). Si tratta di un insieme di 22 dighe, 19 centrali idroelettriche e un esteso sistema di irrigazione che copre quasi 70 mila chilometri quadrati di territorio dove vivono circa 8 milioni di persone. A settembre 2020, 16 delle 22 dighe sono state completate sfruttando i bacini dei fiumi Tigri e Eufrate.

I numeri del GAP hanno una portata impressionante: ad oggi, il progetto ha avuto un costo complessivo paragonabile a circa l’8% dell’attuale PIL turco, contribuendo con oltre 200 miliardi di lire turche di ricavo per le casse dello Stato. L’energia elettrica generata nel corso di oltre quarant’anni ammonta a quasi 900 miliardi di kilowattora, e il governo turco punta a una produzione di energia annuale di 27 miliardi di kilowattora a progetto completato. Le due dighe principali del GAP sono quelle di Ilısu e Atatürk poste rispettivamente sul Tigri, a pochi chilometri dal confine con la Siria, e sull’Eufrate, all’interno della provincia di Şanlıurfa. La prima è stata completata nel 2020 e ha una portata di irrigazione di circa 17 mila chilometri quadrati. La seconda, con i suoi 170 metri d’altezza e 1820 metri di lunghezza, è la quinta diga più grande del mondo e la seconda per estensione nell’intero Medio Oriente dopo quella di Asswan in Egitto.

 

L’impatto del GAP e le controversie interne

Un progetto del calibro del GAP rappresenta una risorsa strategica fondamentale per la Turchia, soprattutto in virtù dei benefici a livello economico e di sviluppo nazionale e locale. Difatti, gli investimenti hanno avuto dei risultati indubbiamente positivi nelle regioni sud-orientali più povere, come il raddoppiamento delle superfici coltivabili e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tuttavia, molti studi e analisi hanno sottolineato diversi aspetti controversi dovuti all’impatto di un’opera di queste proporzioni. 

A livello ambientale, ad esempio, il GAP ha influito negativamente per quanto riguarda la salinizzazione e l’erosione del suolo, la perdita di biodiversità, il peggioramento della qualità dell’acqua e l’aumento delle emissioni di gas serra. Alcuni effetti della diga di Ilısu sono stati descritti come controproducenti rispetto agli obiettivi del GAP. Infatti, a seguito delle inondazioni previste per la costruzione della diga, molti piccoli villaggi sono stati distrutti e gli abitanti sono stati costretti al reinsediamento forzato altrove. Inoltre, l’aumento dei livelli dell’acqua del Tigri ha cancellato importanti siti culturali come quelli del distretto di Hasankeyf, che rappresentano alcuni dei più antichi insediamenti umani nella regione. Altri effetti dannosi si possono riscontrare a livello agricolo. L’aumento delle aree irrigabili ha sottratto terra ad attività economiche locali consolidate nei secoli, come l’allevamento e la coltivazione di ortaggi a basso consumo di acqua (come aglio e tuberi). Queste hanno lasciato spazio a monocolture di cotone che richiedono, in proporzione, un utilizzo maggiore di acqua nonostante l’aumento della capacità di irrigazione. Di conseguenza, l’accesso all’acqua sia per motivi alimentari che agricoli è limitato per molte categorie di contadini nell’area. Recentemente, questo tipo di coltivazione a secco (o aridocoltura) è stata incoraggiata sia per stabilizzare i livelli delle acque sotterranee sia per indurre meccanismi di risparmio idrico più efficaci. Infine, molti critici del Progetto vedono nel GAP uno strumento di controllo e assimilazione delle popolazioni curde locali che rappresentano la maggior parte della popolazione nelle regioni sud-orientali.

 

L’impatto in Medio Oriente: la scarsità d’acqua in Iraq e Siria

Le conseguenze del GAP non si limitano alla sola Anatolia sud-orientale o alla Turchia. Nel corso degli ultimi trent’anni, infatti, sono emerse numerose dispute e crisi diplomatiche tra Ankara e i Paesi confinanti, specialmente Siria e Iraq. La natura transfrontaliera del Tigri e dell’Eufrate, il cui corso prosegue proprio in questi due Paesi, implica che la creazione delle dighe in territorio turco ha sensibilmente diminuito la quantità di acqua disponibile a valle. La stessa Turchia dichiara di avere il diritto di gestire autonomamente i due fiumi nel contesto del GAP dal momento che questi nascono nel proprio territorio. Non è un caso che il Paese votò contro la Convenzione sul diritto degli usi non navali dei corsi d’acqua internazionali nel 1997.

In una recente intervista, il sottosegretario iracheno per l’ambiente e la salute, Jassim al-Falahi, ha pubblicamente accusato la Turchia di essere responsabile indiretta della siccità che ha colpito il Paese nella scorsa primavera. Negli ultimi anni infatti, il considerevole calo dei raccolti ha duramente colpito l’Iraq dal momento che l’agricoltura è il mezzo primario di sussistenza per oltre un terzo della popolazione, corrispondente a più di 10 milioni di persone. In particolare, si stima che entro il 2035 il Paese vedrà un’ulteriore diminuzione di 11 miliardi di metri cubi d’acqua. Anche in Siria è prevista una diminuzione della capacità idrica dell’Eufrate che ne metterebbe a rischio la tenuta già estremamente precaria. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, 10 milioni di persone sono a rischio di un accesso ridotto all’acqua potabile e degli effetti di nuove ondate di siccità sulle coltivazioni. Indubbiamente, questo scenario rischia di destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente nel suo complesso. Un numero crescente di studi mostra che la scarsità d’acqua e la siccità, insieme agli effetti del cambiamento climatico, hanno giocato un ruolo diretto nel deterioramento delle condizioni socioeconomiche siriane e nella violenta guerra civile, così come l’emergere di gruppi armati estremisti. 

Il comportamento della Turchia ha fatto sì che nessun tipo di trattato internazionale sia stato ancora siglato dai tre Paesi su come regolare le acque rivierasche, ma solo singoli accordi bilaterali tra Turchia e Iraq e Turchia e Siria, tra l’altro non sempre rispettati. In particolare, un accordo del 1987 prevedeva che la Turchia si impegnasse a garantire 500 metri cubi d’acqua al secondo alla Siria; tuttavia, alcune organizzazioni non governative e le forze curde in territorio siriano denunciano che la quantità d’acqua attuale è ridotta a 200 metri cubi al secondo. Per quanto riguarda l’Iraq, un trattato del 1946 stabiliva l’obbligo della Turchia di condividere con Baghdad i dati sull’utilizzo delle acque transfrontaliere, ma la cooperazione sotto questo punto di vista è tuttora insufficiente. Ciononostante, negli ultimi mesi il governo iracheno ha aumentato gli sforzi diplomatici per discutere con la Turchia della possibilità di aumentare la quantità d’acqua rilasciata nel fiume Tigri.

 

L’acqua in Medio Oriente: possibili scenari futuri

Il GAP, sin dalle sue origini, è stato destinato a cambiare profondamente la traiettoria strategica della Turchia e il panorama del Medio Oriente nel suo complesso. I bisogni contrastanti dei Paesi che si affacciano sui due fiumi, combinati con gli effetti spesso contro-intuitivi di un progetto di tale portata, minacciano di destabilizzare una regione già scossa da profonde crisi socio-economiche e militari. Inoltre, l’impatto del cambiamento climatico nell’area si presenta come un ulteriore fattore di rischio decisivo per la tenuta dei Paesi mediorientali. Di conseguenza, la gestione dell’acqua in questo contesto è estremamente impegnativa e richiederà sforzi notevoli per arrivare a soluzioni concordate per il bene di tutti. 

 

 

Fonti e approfondimenti

Ali S, Iraq official says Turkey, Iran water policies are ‘killing Iraqi people’, Rudaw, 4/6/2021.

Bilgen, A. (2018), Turkey’s Southeastern Anatolia Project (GAP): a qualitative review of the literature, British Journal of Middle Eastern Studies, pages 1-20. 

Bilgen, A. (2019), The Southeastern Anatolia Project (GAP) in Turkey: An Alternative Perspective on the Major Rationales of GAP, Journal of Balkan and Near Eastern Studies, Vol 21, No 5, pages 532-552.

Glynn S, Turkey is reportedly depriving hundreds of thousands of people of water, Open Democracy, 14/6/2021.

Golmohammadi V, Water scarcity in the Middle East: Beyond an environmental risk, Observer research Foundation, 6/5/2021.

Shilani H, Iraq seeks to identify discussions with Turkey to remedy possible water crises, Kurdistan 24, 12/6/2021.

Solomon E, Pitel L, Why water is a growing faultline between Turkey and Iraq, Financial Times, 4/7/2018.

Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), Syrian Arab Republic: Euphrates Water Crisis & Drought Outlook, 17/6/2021.

 

Editing a cura di Francesco Bertoldi

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