Dai dati del Global Wealth Migration Review del 2019, realizzato dall’Afrasia Bank, l’Australia risultava essere il quinto Paese più ricco al mondo, dopo Stati Uniti, Cina, Giappone e India. Per “ricchezza” in questo caso si intende l’importo totale della ricchezza privata detenuta dagli individui in ogni Paese.
Questi dati però possono essere fuorvianti: ad esempio, non tengono in considerazione il fatto che in Australia, dal 2003 al 2017, il patrimonio del 20% dei più ricchi della popolazione è cresciuto a quasi il doppio della velocità rispetto a quella del 20% nella fascia di reddito successiva, e dieci volte tanto quello del 20% più povero. Non diversamente da quanto accade nella vicina Nuova Zelanda, uno dei problemi principali di Canberra quando si tratta di divario economico tra la popolazione è la questione della crisi abitativa.
Il ruolo della crisi abitativa nella disuguaglianza economica
Se già prima del Covid le disuguaglianze economiche tra i cittadini australiani erano in crescita, come sottolinea il report Inequality in Australia 2020, questa tendenza ritorna anche nella questione abitativa..
L’accessibilità delle case, ovvero la relazione tra la spesa per l’alloggio (prezzi, rate del mutuo, affitti) e i redditi familiari, dipende da vari fattori: la situazione finanziaria della persona, la domanda complessiva nel mercato e il tipo di proprietà abitativa.
Il modo più semplice per misurare l’accessibilità degli alloggi è confrontare i costi dell’alloggio con il reddito lordo delle famiglie. Nel 2017, l’11,5% delle famiglie australiane ha speso dal 30% al 50% del reddito lordo in spese abitative, mentre un altro 5,5% ha speso almeno la metà del reddito lordo in questo frangente. Rispetto al 1994-1995, stiamo parlando di un aumento del 9,2% per il primo segmento e del 4,6% per il secondo.
In generale, i prezzi delle abitazioni sono aumentati del 960% dal 1980. Un’analisi dell’economista Gerald Minack dimostra come questa tendenza sia particolarmente accentuata in Australia rispetto al resto del globo. La crescita dei prezzi delle case, insieme all’enorme debito delle famiglie australiane (al secondo posto nel mondo), dimostra il peso del settore immobiliare nel sistema sociale del Paese.
L’alloggio è un bisogno fondamentale: come abbiamo già osservato per il caso della Nuova Zelanda, la scarsa qualità e accessibilità delle abitazioni ha conseguenze dirette sul tasso di persone senza fissa dimora, oltre che sulla salute di chi si trova ad abitare in case fredde, umide e in generale in cattivo stato.
L’Australia e le persone senza fissa dimora
L’Australian Housing and Urban Research Institute, un’organizzazione nazionale indipendente e senza scopo di lucro, ha dichiarato che c’è un deficit di alloggi sociali di 433.400 abitazioni in tutto il Paese.
In particolare, sono le aree rurali a essere sotto pressione: durante il picco della pandemia, un flusso di più di 70.000 persone si è spostata dalle zone urbane, facendo salire gli affitti del 20%. Si tratta della prima volta dal 1981 che la crescita della popolazione nelle aree non urbane è stata maggiore rispetto alle grandi città, secondo l’Australian Bureau of Statistics.
La stabilità degli alloggi influenza la salute mentale e fisica e l’accesso all’istruzione e al lavoro. Organizzazioni del settore comunitario che si occupano di aiuto agli alloggi e sostegno ai senzatetto hanno creato Everybody’s Home, una campagna per richiedere un piano nazionale per gli alloggi e una strategia per le persone senza fissa dimora, con un nuovo incentivo fiscale per incoraggiare gli investimenti del settore privato in proprietà a prezzi accessibili.
Il numero dei senza fissa dimora in Australia è aumentato del 14% dal 2011 al 2016, secondo i dati del censimento dell’Australian Bureau of Statistics (ABS). Si tratta di 50 persone ogni 10.000.
Gli effetti del cambiamento climatico sulla popolazione indigena
Nel 2021 Australian Housing and Urban Research Institute ha realizzato un report sugli effetti del cambiamento climatico sugli alloggi delle popolazioni indigene. Le conclusioni non lasciano dubbi sul fatto che le condizioni di molte di queste abitazioni, inadatte ad affrontare gli sbalzi termici e altri fenomeni atmosferici estremi, costringeranno gli abitanti ad abbandonare le proprie aree di origine.
Tuttavia, anche se le condizioni degli alloggi ad oggi esistenti dovessero migliorare in tempo per affrontare l’aumento delle temperature, il sovraffollamento diffuso nelle comunità aborigene annullerebbe i benefici ottenuti dai lavori di ristrutturazione. Il messaggio dei ricercatori invoca l’imperatività di costruire nuovi alloggi per superare i problemi legati al sovraffollamento, adottando nuovi approcci progettuali per evitare il ripetersi delle stesse problematiche.
In generale, il rapporto stilato dall’AHURI è severo nei confronti dello stato attuale delle abitazioni destinate alle popolazioni aborigene nelle aree rurali; addirittura, nel rapporto si ipotizza una tendenza delle istituzioni a fornire alloggi inferiori allo standard, con servizi di riparazione e manutenzione incoerenti.
La crisi abitativa impatta in particolare le nuove generazioni
Una recente ricerca portata avanti da Everybody’s Home mostra quanto sia difficile per le persone sotto i 25 anni potersi permettere di pagare l’affitto in una qualsiasi delle capitali australiane, per non parlare del comprare casa.
I ricercatori hanno esaminato il prezzo medio dell’affitto di una camera singola in un appartamento con due camere da letto nelle capitali australiane. Hanno incrociato i dati con il salario settimanale medio di una persona di 18 anni che lavora nel settore alberghiero o come dipendente del commercio al dettaglio, o ancora che riceve un sussidio.
Dallo studio è risultato che in ognuna delle grandi città australiane, un 18enne che lavora in questi settori spende più del 30% del proprio salario per vivere in affitto in una singola. A Canberra, la percentuale di spesa dedicata all’affitto sullo stipendio totale tocca il 48% per una camera singola.
Per quanto riguarda le persone che ricevono sussidi, la percentuale di denaro ricevuto dallo stato che andrebbe utilizzata per pagare l’affitto arriva al 92% del totale per una stanza a Canberra e al 48% a Sydney.
Il quadro si aggrava se prendiamo in considerazione il tasso di persone senza fissa dimora tra i giovani. Nel 2020-21, 41.652 australiani tra i 15 e i 24 anni senza supporto da parte di genitori o altre figure hanno fatto richiesta per accedere ai servizi per l’aiuto dei senzatetto, con l’obiettivo di cercare una sistemazione a medio e lungo termine.
Solo 5.092 persone sul totale sono riuscite ad accedere ad alloggi sociali, mentre più di 7.400 individui sono stati indirizzati ad altri servizi e ben 24.053 non hanno potuto essere aiutati a causa della mancanza di risorse.
“Tutti meritano la sicurezza di una casa stabile. Questo dovrebbe essere un diritto, non un privilegio”, ha dichiarato Kate Colvin, portavoce nazionale di Everybody’s Home.
Le ragioni dietro la crisi
L’Australia non è il solo Paese a vivere una crisi degli alloggi. Nuova Zelanda e Stati Uniti, per citarne un paio, sono nella stessa situazione, e anche in Europa il livello medio degli stipendi non riesce a seguire il ritmo dei prezzi del mercato immobiliare. Se confrontiamo la situazione attuale con quella vissuta 30 anni fa, diventa chiaro che ci troviamo di fronte a un fenomeno globale.
Una delle soluzioni ipotizzate è quella di liberalizzare ulteriormente il sistema di pianificazione, lasciando che il settore privato costruisca più alloggi. Tuttavia, i prezzi delle case a livello internazionale sono stati determinati negli ultimi 30 anni più dalla finanziarizzazione del bene-casa e dall’eccesso di denaro a buon mercato attraverso i mutui – rafforzato dal crollo del 2008 – che dalla semplice crescita della popolazione.
Questo è vero per Sydney come per Londra e la maggior parte delle città nel mondo. Nessuna riforma porterà il settore privato ad aumentare i livelli di produttività al di là di ciò che il loro modello di business e le banche richiedono e certamente, anche se potessero produrre abbastanza case per portare i prezzi a livelli “accessibili”, i governi interverrebbero per fermare il crollo della ricchezza che ne conseguirebbe per i proprietari delle case esistenti.
Quando i prezzi salgono, i costruttori tendono a immettere più case sul mercato. Quando i prezzi scendono, tendono a rilasciare meno case. Ad esempio, l’inflazione dei prezzi a Sydney si è pacata tra il 2017 e il 2019 perché il governo ha deciso di dare una stretta ai mutui lassisti che avevano contribuito a far salire i prezzi delle case. Di conseguenza, anche la vendita delle case è scesa perché meno persone potevano permettersele. La popolazione però ha continuato a crescere dell’1,4% all’anno.
Nel 2020, a Sydney la crescita della popolazione si è fermata ma la Reserve Bank ha comunque allentato la concessione di mutui mentre il governo nazionale ha erogato finanziamenti per sostenere la domanda, e così, durante una crisi mondiale senza aumento della popolazione, il numero di case vendute a Sydney è aumentato del 30% rispetto al precedente anno pre-pandemico e i prezzi delle case dalla metà del 2020 ad oggi sono saliti almeno del 15%.
A Sydney, con una popolazione di 5 milioni rispetto ai quasi 9 milioni di Londra, sono state consegnate tra le 30.000 e le 40.000 nuove case dal 2015, il che significa circa il doppio delle case per abitante rispetto a Londra – e gli aumenti di prezzo in Australia sono stati maggiori che in Regno Unito.
Incentivare la costruzione di alloggi sociali è l’unica soluzione
L’accessibilità degli alloggi, cioè il ritorno a una situazione in cui, come accadeva negli anni ’60, i giovani possano comprare una casa con un investimento pari a 3-4 volte lo stipendio annuo (al momento i prezzi delle case sono 9 volte uno stipendio a Londra e 13 a Sydney), non potrà mai essere raggiunta nelle condizioni attuali, se si lascia il settore quasi totalmente in mano ai privati.
Questa è una crisi di disuguaglianze finanziarie che va ben oltre le capacità risolutive del settore privato e di un sistema di pianificazione “liberalizzato”. Probabilmente, la risposta sta nel dirottare gli incentivi fiscali dagli alloggi verso attività più produttive ed economicamente innovative, di modo da scoraggiare troppi investimenti di poche persone sugli immobili e creare nuovi posti di lavoro; oltre ad adottare diversi modelli di business per portare chi vende e affitta alloggi a vendere e affittare maggiormente.
Questo significa sicuramente che c’è bisogno di moltissimi nuovi alloggi pubblici. Non solo per le persone nella fascia più bassa di reddito ma anche, come sta avvenendo a Singapore, dove il 78,8% dei residenti vive in alloggi pubblici, per permettere anche alle persone a medio-basso reddito di entrare in proprietà attraverso i sussidi del settore pubblico.
Fonti e approfondimenti
Australian Council of Social Service, Inequality in Australia 2020: Part 1, Overview, 2020
Coates, C. Chivers, “Rising inequality in Australia isn’t about incomes: it’s almost all about housing”, The Conversation, 2019
Henwood, “Income and wealth inequality in Australia was rising before COVID-19″, UNSW Social Policy Research Centre, 2020
L. Allam, “Australia’s Indigenous housing won’t cope with climate change, research finds”, The Guardian, 2021
Editing a cura di Emanuele Monterotti
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