Il cambiamento climatico è reale e determinerà lo sviluppo strategico di tutti gli Stati, influenzandone politica, economia e società. In Asia centrale e in alcune zone della Russia, si stima che le conseguenze della crisi climatica saranno straordinariamente severe nei prossimi decenni: secondo le proiezioni di World Bank e Comitato Internazionale della Croce Rossa, entro il 2050 le temperature medie annue aumenteranno di 1.7°C in Russia e di quasi 2.5°C in Asia centrale, dove si potrebbe addirittura raggiungere il record di +5°C entro la fine del secolo.
“Orizzonte +2°” è il progetto con il quale viaggeremo nei Paesi dello spazio post-sovietico per indagare le minacce che incombono sul futuro prossimo di ogni Stato e le soluzioni che le amministrazioni locali stanno adottando per arginare gli effetti del cambiamento climatico.
Cambiamento climatico: quali effetti?
L’aumento globale delle temperature non ha fatto eccezione per i termometri della Russia e degli stati centroasiatici. Studi sul clima dimostrano che anche in queste aree le temperature medie sono aumentate in modo regolare negli ultimi tre-quattro decenni, con un’intensificazione delle cosiddette giornate di caldo record oltre che della frequenza e della portata dei fenomeni meteorologici estremi. Con un incremento di 1.7°C dal 1900 ad oggi, la Russia è il Paese che si sta riscaldando più velocemente al mondo. Secondo la comunità scientifica, la temperatura nell’Artico russo è salita con una rapidità due volte e mezzo superiore rispetto a quella del resto del globo dalla seconda metà degli anni Settanta. Nella città di Verchojansk, in Siberia, i termometri hanno registrato la temperatura record di 38°C nel mese di giugno del 2020. La situazione in Asia centrale è simile. Ne risulta che i ghiacci si stanno sciogliendo, mentre siccità, alluvioni, e incendi stanno diventando sempre più frequenti.
Lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai
La calotta polare della porzione russa del Mar Glaciale Artico si sta sciogliendo a un ritmo lento ma regolare e, negli ultimi quarant’anni, il ghiaccio marino artico non è mai stato così poco esteso. Inoltre, in Siberia, il permafrost (il terreno perennemente ghiacciato tipico delle regioni fredde) si sta scongelando e buona parte della neve che regolarmente ricopriva queste terre si è sciolta, anche per effetto della diminuzione delle precipitazioni nevose che nel 2020 hanno registrato il loro secondo minimo storico. Quello dello scioglimento dei ghiacci però non è un problema solo russo. In Asia centrale, infatti, si sciolgono i ghiacciai, riserve d’acqua fondamentali per una regione da sempre afflitta da scarsità idrica e in cui gli Stati si contendono il controllo dei bacini idrici sin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Solo per citare alcuni esempi, i ghiacciai del Tien Shan, catena montuosa che attraversa Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, oltre alla Cina, hanno perso il 27% della massa e il 18% della superficie dal 1960, e la metà del loro volume attuale potrebbe persino scomparire entro il 2050. In Tajikistan, entro la stessa data rischia la fusione un terzo dei quasi 8500 ghiacciai del massiccio del Pamir, altra catena montuosa della regione insieme al Tien Shan. Culminerebbe così un processo avviatosi nel 1960, quando un quinto dei ghiacciai del Paese ha iniziato a ritirarsi a una velocità di 80 metri all’anno.
I fenomeni negativi non finiscono qua. Infatti, gli effetti dell’innalzamento delle temperature innescano a loro volta altre conseguenze, acuendo i danni del cambiamento climatico nella regione. Da una parte, lo scioglimento dei ghiacci contribuisce alla cosiddetta “amplificazione artica”, fenomeno per cui gli effetti del riscaldamento globale trovano nelle caratteristiche fisiche della zona un contesto ideale per auto-alimentarsi. Dall’altro, la fusione dei ghiacciai in Asia centrale rende il ciclo dell’acqua irregolare ed eventi estremi, quali alluvioni e siccità, sono sempre più frequenti. L’acqua che scorre nei due fiumi principali della regione, l’Amu Darya e il Syr Darya, proviene per l’80% dallo scioglimento di neve e ghiacci. Pertanto, le comunità locali sono esposte, oggi, a un più alto rischio di alluvioni e inondazioni e, domani, a una più grave minaccia di siccità e scarsità d’acqua.
Gli incendi
Mentre i ghiacciai si sciolgono, gli incendi divampano nelle steppe centroasiatiche e nelle foreste russe, che rappresentano un quinto delle foreste al mondo. A partire dall’estate del 2010, quando bruciarono 5.000 ettari di foreste, la Siberia è stata travolta ogni anno da incendi, che nel 2019 sono stati definiti dagli esperti «senza precedenti per ampiezza, intensità e durata». Complici i venti sostenuti e le temperature elevate, le fiamme hanno attecchito facilmente. Per far fronte a questo fenomeno, si prevede che la spesa pubblica per la gestione degli incendi aumenterà dai 287 ai 340 milioni di dollari annui entro la fine del secolo. In Asia centrale, invece, il Kazakistan è il Paese più colpito dagli incendi con in media 4.000 ettari di steppa che vanno in fumo ogni anno a partire dagli anni Novanta. Gli incendi sono particolarmente dannosi per la perdita di alberi, risorse e biodiversità; inoltre, contribuiscono ad alimentare il cambiamento climatico attraverso l’emissione di milioni di tonnellate di anidride carbonica e fuliggine. Ad esempio, in sole sei settimane, le fiamme che hanno divorato la Russia da inizio giugno a metà luglio del 2021 hanno prodotto tanta anidride carbonica quasi quanta il Venezuela ha emesso nel 2017.
Le conseguenze su economia e società in Russia
Anche se in modo diverse, le conseguenze del cambiamento climatico saranno ugualmente gravi per la Russia e per i Paesi dell’Asia centrale. E come spesso succede in altre parti del mondo, sarà la popolazione più vulnerabile a dover fronteggiare le conseguenze più drammatiche di cambiamento climatico e degrado ambientale. Minor accesso ad adeguate quantità e varietà di cibo, minacce alla sicurezza di abitazioni e infrastrutture, e perdita del lavoro a causa degli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura sono le principali sfide che queste persone dovranno affrontare.
Per quel che riguarda la Russia, il danno principale sarà quello all’economia. Infatti, lo scongelamento del permafrost indebolirà le fondamenta delle infrastrutture del Nord del Paese, utili alle attività estrattive e all’esportazione di idrocarburi. Nei prossimi anni, si stima che l’aumento delle temperature e il conseguente assottigliamento e scongelamento di questo strato di ghiaccio metteranno a rischio la stabilità della maggior parte delle infrastrutture già presenti nella regione. Il cedimento di vie di comunicazione, edifici, oleodotti, gasdotti e linee di trasmissione elettrica costituirebbe un danno economico del valore incalcolabile per Mosca, che considera le attività estrattive in questa zona come uno dei pilastri portanti dello sviluppo del Paese. Un assaggio di questi disastri si è già avuto recentemente. Nel giugno del 2020 il presidente russo Vladimir Putin è stato costretto a dichiarare lo stato d’emergenza dopo che lo scongelamento del permafrost aveva indebolito le fondamenta di una cisterna, causando uno sversamento di oltre 20 mila tonnellate di petrolio nel fiume Ambarnaya, in Siberia. Non un caso isolato, come dimostrano i dati, secondo i quali il 21% dei 35 mila incidenti negli oleodotti della Siberia occidentale sono dovuti proprio al cedimento delle fondamenta.
Minacce queste a cui fa però da contraltare la possibilità di sfruttare la rapida fusione dei ghiacci del Mar Glaciale Artico, che secondo le previsioni più pessimistiche potrebbero scomparire entro il 2040, per intensificare sia le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi che quelle commerciali attraverso l’apertura della cosiddetta Rotta del Mare del Nord. Da un lato, Mosca, che nel suo piano di sviluppo dell’Artico del 2020 ha definito la regione come una “base strategica” per lo sviluppo economico del Paese, punta a incrementare l’estrazione delle riserve dalle penisole di Yamal e Gydan, facendo crescere la produzione di petrolio artico dal 17,3% del 2018 al 26% nel 2035, e quella di gas naturale liquefatto (gnl) dai 9 milioni di tonnellate del 2018 ai 91 del 2035. Dall’altro, il Cremlino vorrebbe sfruttare la rotta del Mare del Nord per vendere il gnl artico in Europa, Cina e Giappone, riducendone i tempi di trasporto del 40% rispetto alla tradizionale tratta del Canale di Suez. Per raggiungere questo obiettivo, Mosca sta investendo massicciamente nella costruzione di infrastrutture, porti artici e flotte di navi rompighiaccio che gli permettano di percorrere tutto l’anno il Passaggio a Nord-Est, ad oggi navigabile solo da luglio a novembre.
Le conseguenze su economia, società e geopolitica in Asia centrale
Diversa la situazione in Asia centrale, dove le irregolarità del ciclo dell’acqua derivanti dall’aumento delle temperature andranno a colpire principalmente il settore agricolo, base portante dell’economia della maggior parte di questi Paesi. Nei prossimi 30 anni, alluvioni, siccità, desertificazione crescente e riduzione delle terre coltivabili provocheranno una diminuzione della produzione agricola del 30%, a cui seguirà una forte insicurezza alimentare. Secondo un report FAO del 2020, il 9% della popolazione tajika e oltre il 7% di quella uzbeka potrebbero soffrire di denutrizione entro quella data e 5.1 milioni di persone potrebbero migrare internamente alla regione nello stesso periodo. Per rendere queste proiezioni concrete e tangibili, basta guardare la storia recente. Nell’estate del 2021 hanno fatto il giro del web i video del bestiame morente nei pascoli a ovest del Kazakistan a causa della mancanza di erba da brucare, mentre nel Nord del Paese gli agricoltori reclamavano dalle piazze acqua per annaffiare i raccolti, e in Uzbekistan i prezzi del cibo aumentavano, visto che gran parte dei raccolti erano andati persi per via della siccità e la verdura di stagione era ormai merce rara. Del resto, quando si pensa agli effetti del cambiamento climatico in Asia centrale è importante tenere a mente che questi andranno “solo” a esacerbare una situazione ambientale già ampiamente compromessa. L’estrazione delle abbondanti risorse minerarie e di idrocarburi insieme allo sfruttamento intensivo del suolo a partire dall’epoca sovietica hanno infatti creato danni ingenti, come dimostra ad esempio il prosciugamento del lago d’Aral, che è stato definito «una delle maggiori catastrofi ambientali della storia».
Non solo danni all’agricoltura, però. La crescente irregolarità del ciclo dell’acqua insieme alla minore disponibilità di risorse idriche minacciano di alimentare le già accese tensioni fra gli stati centroasiatici per il controllo di questa risorsa vitale per sostenere l’agricoltura e produrre energia attraverso le centrali idroelettriche. Lo stress idrico rischia di far diventare il cosiddetto oro blu una vera e propria arma che i Paesi che ne dispongono maggiormente, Kirghizistan e Tagikistan, potrebbero minacciare di usare, se non addirittura usare, contro quelli che ne sono meno dotati, Kazakistan e Uzbekistan. Questi ultimi non avrebbero acqua sufficiente a sostenere le proprie attività economiche e soddisfare il proprio fabbisogno energetico, qualora kirghizi e tajiki decidessero di chiudere il rubinetto. La conseguenza potrebbe quindi essere il riaccendersi delle tensioni in tutta la regione e in modo particolare nella Valle di Fergana, zona più densamente popolata dell’area e punto di scontro fra uzbeki, kirghizi e tagiki.
È quindi evidente che gli epocali cambiamenti in corso costringano tutti i Paesi dello spazio post-sovietico ad adattarsi e ripensare i propri modelli di interazione politica, sviluppo economico e costruzione sociale. Scoprire le sfide che ogni stato sta affrontando o si appresta ad affrontare è l’obiettivo di questo progetto.
Fonti e approfondimenti
Conley, Heather A. & Newlin, Cyrys, “Climate Change Will Reshape Russia”, Center for Strategic and International Studies, 13/01/2021.
Kirbi, Alex, “Central Asia’s glaciers may lose half their ice by mid-century”, Climate News Network, 21/08/2021.
Mamo, Christian, “Central Asia is running out of time to mitigate the effects of climate change”, Emerging Europe, 12/10/2021.
Minora, Chiara, “Asia centrale. Tutte le conseguenze del cambiamento climatico”, East Journal, 15/06/2021.
Wong Bi Yi, Patricia & Akhmetov, Arthur, “Record High Temperatures in Central Asia Highlight Need for Climate Action”, United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific, 15/11/2021.
Zong, Xuezheng & Tian, Xiaorui et al. (2020), “Impacts of Climate Change on Wildfires in Central Asia”, Forests (2020) 11:802.
Editing a cura di Beatrice Cupitò