L’Artico russo: dall’Unione Sovietica alla Federazione

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@ Niel Liesmons per Lo Spiegone

Negli anni Venti, nell’URSS è stato lanciato un ampio programma di misure governative per studiare e sviluppare le zone inesplorate del Nord Est. Nel 1926 il Presidium del Comitato esecutivo centrale dell’URSS ha adottato una risoluzione che considerava tutte le terre e le isole che si trovano nel Mar Glaciale Artico a nord dalla costa dell’URSS tra i meridiani 32° 4’35” di longitudine est e 168° 49’30” di longitudine ovest, Polo Nord incluso, territori appartenenti all’Unione Sovietica. Nel 1926, i primi coloni furono portati sull’isola inospitale di Wrangel nel Mar Glaciale Artico, dove la temperatura invernale scende a -60° C.

Nel periodo della Prima Guerra mondiale avvenne l’inizio della militarizzazione della regione che si estende al nord delle coste sovietiche. Soprattutto i porti di Arkhangelsk e Murmansk hanno iniziato a svolgere un ruolo centrale di avamposto di una Russia proiettata sempre più a nord. Nel 1923 il nuovo governo sovietico dimostrò sempre più interesse per la rotta artica: ciò è stato segnato dalla fondazione dell’Istituto Artico a Leningrado e dall’intensificarsi delle ricerche scientifiche. Dietro ad ogni spedizione in questi luoghi si celava un’immensa campagna propagandistica, ancora documentata dai molti libri di testo delle scuole. Nel 1930, l’esploratore sovietico Otto Schmidt scoprì le isole Viese e Kamenev. Pochi anni dopo l’Unione Sovietica cominciò ad organizzare ricerche scientifiche sistematiche nel Bacino Centrale del Mare Glaciale Artico, prima allestendo stazioni alla deriva e poi ricorrendo a osservatori volanti. Il lavoro di ricognizione ha portato nel 1940 alla creazione di: guide di pilotaggio per i mari artici, carte marittime, un alto numero di fari radio ed elettrici, stazioni per segnalazione acustica e boe. 

Negli anni Trenta, l’insediamento attivo e lo sviluppo industriale dell’Artico hanno cominciato ad essere una priorità dell’Unione Sovietica. In quegli anni sono stati costruiti i porti di Igarka, Dixon, Pevek, Tiksi, basato Naryan-Mar, Norilsk, Vorkuta. Allo stesso tempo sono stati scoperti nelle regioni artiche della Siberia occidentale i primi giacimenti di petrolio e gas. Il pacifico sfruttamento dell’unica via marittima interna dell’Unione Sovietica fu bloccato dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Terminato il conflitto, Stalin impose il ritorno ai confini precedenti al 1940 per quato riguarda i possedimenti extra territoriali e, con l’acquisizione della Carelia e dei territori a nord-ovest del Lago Onega e della regione di Petsamo (grazie anche alla smilitarizzazione delle isole Aaland), ottenne uno sbocco diretto sul Mar Glaciale Artico.

Il suo hinterland all’epoca, infatti, copriva praticamente tutte le regioni che si affacciano sul Mare Artico e l’intera fascia settentrionale della Siberia, a nord della grande ferrovia transiberiana. La ricchezza mineraria, enorme e conosciuta solo in parte, era costituita da carbon fossile, dei grandi bacini della Tunguska, della penisola di Camciatca, oltre che a Vorkhuta. I minerali di ferro sono nel bacino della Lena, il petrolio un poco dovunque da Ukhta fino all’isola di Sakhalin, l’oro alluvionale nel corso di quasi tutti i fiumi. Nelle regioni nordiche non mancano stagno, rame, argento, minerali radioattivi e pietre preziose. Gigantesca la potenza idrica dei grandiosi fiumi che si versano nel Mar Glaciale (Pecòra, Ob, Jenissej, Khatanga, Lena, Indigirka, Kolyma): essa è sfruttata solo in piccola parte, ma non potrà non avere maggior peso in futuro.

Nel corso della Guerra Fredda gli anni Settanta sono stati il periodo della distensione delle relazioni fra le due superpotenze globali, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Proprio allora il Nord diventò il fronte dimenticato, di cui ci si ricordò soltanto dopo la scoperta della minaccia sovietica sottomarina alle linee di comunicazione marittime (Sea Lines Of Communication), che ridiede alla Norvegia importanza nello scacchiere artico. A partire da quel momento, furono costruite basi navali con la funzione di Co-Located Operative Base, che accolsero le portaerei della Marina americana. Nel 1962, l’avanzamento dell’attività scientifica sovietica, assieme al forte interesse guidato anche dalla logica bipolare della Guerra Fredda, hanno visto il primo approdo del sottomarino nucleare sovietico (Lenin Komsomol) nell’area del Polo Nord. Nel 1977 il rompighiaccio nucleare sovietico Arktika” è diventata la prima nave di superficie al mondo, che è riuscita a raggiungere il Polo Nord. Nonostante la  fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, le coste dell’Artico sono rimaste altamente sorvegliate e militarizzate e la relativa dimensione strategico-militare è rimasta rilevante anche nel periodo post-bipolare.

Il primo ottobre del 1987 il presidente dell’Urss, Mikhail Gorbacev ha intrapreso l’iniziativa di Murmansk, dove ha dichiarato i sei obiettivi della politica estera sovietica nei confronti dell’Artico, proponendo che l’Artico diventasse “una zona di pace”. Questi punti erano:

  • istituire una zona libera dal nucleare nell’Europa settentrionale;
  • ridurre l’attività militare nei mari del Baltico, del Nord, della Norvegia e della Groenlandia;
  • cooperare allo sviluppo delle risorse;
  • formare una conferenza internazionale sul coordinamento della ricerca scientifica artica;
  • cooperare nella protezione e gestione dell’ambiente;
  • aprire la rotta del Mare del Nord

Negli anni Novanta, poco prima dello sgretolarsi dell’Unione Sovietica, il finanziamento per le regioni artiche è stato significativamente ridotto, molte infrastrutture sono state abbandonate, il numero di insediamenti è diminuito di quasi un terzo. I volumi di traffico annuo lungo la rotta del Mare del Nord sono diminuiti drasticamente da 6,6 milioni di tonnellate nel 1987 a 1,65 milioni di tonnellate nel 1996.

Nel 1992 nel circolo polare Artico è stata per la prima volta issata la bandiera dell’URSS al Polo Nord. La corsa ai territori nordici si arrestò con il dissesto economico e politico nel decennio dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Ebbene, questo è forse il lascito che più simboleggia la decadenza e la perdita di interesse da parte dei russi nel fronteggiare condizioni climatiche estreme a fronte di esigui quantitativi di fossile estratto.

Inoltre marzo del 1993 è giunta una conferma che l’URSS avesse utilizzato per trent’anni i fondali nordici come discarica nucleare (un esempio è nei fiordi dell’arcipelago di Novaja Zemlja), in palese violazione della Convenzione di Londra. Facevano parte di questa lista ben tredici reattori nucleari rimossi dai sottomarini della Flotta del Nord e affondati da Mosca tra il 1965 e il 1988, ed il sommergibile K-27, con i suoi due reattori carichi di combustibile nucleare. Successivamente una valutazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) inserì tra le cause di allarme anche altri tre reattori del rompighiaccio nucleare Lenin, smaltiti nella zona occidentale del Mare di Kara.

Ma oltre ad essere stato una discarica radioattiva l’Artico è stato un punto vitale in particolare durante la Guerra Fredda. Nonostante le vicissitudini politiche susseguite alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la crisi economica del 1998, il perdurare del basso prezzo del petrolio e del gas, e le sfide strategiche che gli vengono presentate continuamente dagli Stati Uniti, la Russia di Vladimir Putin rimane lo Stato artico meglio attrezzato dal punto di vista militare che ha espresso una chiara intenzione di non voler mollare la presa sul nord.

 

Fonti e approfondimenti

http://tass.ru/info/2205534

https://www.gazeta.ru/science/2011/12/07_a_3863070.shtml

 

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