Alla fine del 2021 in Spagna è entrata in vigore una nuova riforma del lavoro, proposta dal governo di sinistra guidato dal socialista Pedro Sánchez. La nuova Reforma Laboral è importante sotto diversi punti di vista: per le modalità in cui è stata scritta, per il suo contenuto e infine per il ruolo giocato dall’Unione europea nella sua adozione.
La legge è stata apprezzata da molti giuslavoristi e ha destato l’attenzione in tutta Europa. A pochi mesi dall’entrata in vigore, infatti, hanno già iniziato a farsi sentire i primi effetti positivi. Il caso della Spagna potrebbe diventare un esempio per tutti quei Paesi europei caratterizzati da disfunzioni del mondo del lavoro, come l’abuso dei contratti a tempo determinato e la conseguente precarietà.
La partecipazione delle parti sociali ai negoziati
Il testo di legge sulla riforma del lavoro è stato frutto di lunghe trattative e negoziati che hanno visto coinvolti non solo gli esponenti politici che compongono la maggioranza, ma anche le parti sociali. La prima grande novità della riforma riguarda, infatti, il fatto che il suo testo sia nato da un confronto, durato quasi nove mesi, tra governo, imprese e sindacati.
Il coinvolgimento delle parti sociali non è da ritenersi scontato in queste circostanze. L’ultima riforma che aveva riguardato il mercato del lavoro spagnolo, infatti, era stata varata nel 2012 dal governo conservatore del popolare Mariano Rajoy e le modalità di approvazione – come anche il contenuto stesso – erano state completamente diverse. All’epoca, la Spagna viveva un periodo di forte austerity sulla scia della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008. Proprio per questo motivo, la decisione di adottare provvedimenti che andavano a deteriorare i diritti dei lavoratori, non aveva coinvolto direttamente le parti sociali.
L’approvazione in Parlamento
Il passaggio della riforma in Parlamento è stato caratterizzato da indecisione e confusione. Il decreto era stato adottato dall’esecutivo alla fine di dicembre 2021, mentre a febbraio era previsto il voto del Parlamento per la conversione in legge. Il governo Sánchez – formato dai socialisti, Podemos, altri partiti minoritari di sinistra e appoggiato dall’esterno da alcune forze autonomiste – si regge su una maggioranza molto esigua. La decisione di quei partiti autonomisti esterni al governo di votare contro la riforma ha ulteriormente complicato i piani di Sánchez.
Alla fine l’esecutivo ha potuto contare sull’appoggio di Ciudadanos, partito liberale di opposizione ma favorevole alla riforma, e su un colpo di fortuna. La riforma è infatti passata in Parlamento con 175 voti a favore e 174 contrari: un voto, quello decisivo, è stato “regalato” per sbaglio da un deputato del Partido Popular che votava telematicamente da casa.
Le novità introdotte dalla riforma
La riforma proposta dalla ministra del lavoro Yolanda Díaz tocca tre tematiche principali: la contrattazione, il lavoro interinale e la temporalità dei contratti. Per ciascuno di questi aspetti, la riforma cerca di fornire maggiori tutele ai lavoratori garantendo, allo stesso tempo, alcune forme di flessibilità necessarie alle imprese.
La nuova legge prevede il ritorno alla centralità della contrattazione collettiva e dei sindacati. Viene impedita la possibilità, introdotta con la riforma del 2012, di sostituire tramite accordi d’azienda i contratti collettivi in scadenza. Infatti, quando un contratto collettivo arriverà alla data di scadenza, potrà comunque rimanere in vigore finché non verrà raggiunto un nuovo accordo con le parti sociali.
La regolamentazione per le assunzioni mediante l’utilizzo di società multiservizi viene rivista per garantire maggiori tutele ai lavoratori. Con la nuova riforma, infatti, i datori di lavoro dovranno garantire salari e condizioni contrattuali stabilite dal contratto collettivo di settore anche per i lavoratori interinali. In questo modo, il personale assunto mediante le società multiservizi sarebbe posto sotto le stesse garanzie dei lavoratori assunti direttamente dall’impresa e nel contempo verrebbe scoraggiata la tendenza delle imprese ad abusare di questo genere di contratti.
Infine, la riforma ha come obiettivo quello di trovare una soluzione alla piaga che caratterizza il mercato del lavoro spagnolo fin dagli anni Ottanta: la precarietà. Vengono così mantenute solo due tipologie di contratti a tempo: per circostanze legate alla produzione e per la sostituzione di un altro dipendente. In entrambi i casi il contratto potrà essere di massimo sei mesi, estendibili a un anno solo in situazioni particolari e previste dall’accordo collettivo. Verranno infatti eliminati i contratti a termine “por obra y servicio”, ovvero quelli a tempo determinato di cui le imprese hanno abusato nel corso degli anni. Per assicurare il rispetto di tale norma verranno introdotte sanzioni più severe: le multe colpiranno infatti le imprese per ogni contratto irregolare.
Tuttavia, ai datori di lavoro non verrà del tutto negata una forma di flessibilità. L’idea del governo è quella di aumentare il numero dei contratti “fissi discontinui”, fondamentali in quei settori in cui è molto alto il numero dei lavoratori stagionali. Questa particolare tipologia di contratto resta quindi a tempo determinato, ma prevede delle forme di tutela simili a quelle garantite dai contratti indeterminati, sia in termini di salario sia per gli scatti di anzianità.
Viene inoltre rivisto il settore della formazione-lavoro, aumentando garanzie e salari degli studenti lavoratori. Per quanto riguarda la cassa integrazione invece, viene semplificato l’iter di accesso all’ERTE (Expediente de regulación temporal de empleo) e rafforzato il “meccanismo RED per la Flessibilità e la Stabilizzazione delle imprese”. Si potrà accedere al meccanismo con due modalità diverse: quella ciclica per la stabilizzazione, e quella settoriale, per necessità specifiche. In entrambi i casi il RED dovrà essere attivato dal Consiglio dei Ministri.
Il lavoro a tempo determinato in Spagna
Tutta la riforma ideata dalla ministra Díaz ha come obiettivo principale quello di arginare il fenomeno della precarietà del mercato del lavoro. Questo perché la Spagna è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di lavoro a tempo determinato. Nel 2020, infatti, la percentuale dei lavoratori spagnoli assunti con un contratto a scadenza era del 24,2%, con picchi – in Estremadura e Andalusia – abbondantemente sopra il 30%. La media dei Paesi UE dei contratti a tempo determinato nel 2020 è stata del 13,5%.
La particolarità della situazione spagnola è rappresentata dal fatto che molti di questi contratti a tempo determinato riguardano il settore pubblico. Nel 2019 la percentuale di lavoratori statali assunti a tempo determinato corrispondeva al 28,2% del totale, mentre quella dei privati era ferma al 25,9%. La situazione si è evoluta negativamente solo negli ultimi anni (nel 2013 erano il 19%) ed è una piaga che colpisce prevalentemente i giovani: la metà dei dipendenti pubblici al di sotto dei 40 anni è assunta con contratto a tempo determinato.
L’influenza dell’Unione europea
L’Unione europea ha svolto un ruolo fondamentale per velocizzare il processo di adozione della riforma del mondo del lavoro in Spagna. All’inizio del 2021 Bruxelles aveva informato Madrid che per poter accedere ai fondi del Next Generation EU era necessario intervenire per bloccare la continua crescita del lavoro precario. La riforma era la condizione necessaria per accedere al versamento di un pacchetto di aiuti da 12 miliardi di euro.
La riforma è stata talmente apprezzata a Bruxelles da spingere il commissario europeo per l’occupazione e gli affari sociali, il lussemburghese Nicolas Schmit, a congratularsi con la ministra Díaz per il risultato ottenuto e le modalità con cui è stato raggiunto l’accordo.
I primi effetti della riforma
La riforma ha fatto registrare i primi effetti positivi. Nel mese di aprile i nuovi contratti a tempo indeterminato sono stati 700 mila, praticamente la metà di tutti i contratti firmati. La crescita era comunque già iniziata nei primi mesi del 2021, nella fase di adeguamento per le imprese, portando i contratti indeterminati a triplicare rispetto al 2021.
Nonostante i segnali rassicuranti, non mancano i timori per il futuro. Bisognerà infatti capire gli effetti della riforma sul medio-lungo periodo: come il mercato del lavoro risponderà al cambio di paradigma, se le sanzioni alle imprese saranno effettivamente efficaci e se non si inizierà ad abusare, in maniera fraudolenta, anche dei contratti fissi discontinui.
Fonti e approfondimenti
Pérez, Gorka, “El BOE publica la reforma laboral: nueve claves para entenderla”, El País, 30/12/2021.
Perez, Gorka, “El Gobierno da tres meses a las empresas para que adapten los contratos temporales a la nueva norma”, El País, 28/12/2021.
Lo Cascio, Paola, “La riforma del lavoro in Spagna”, il Mulino, 17/02/2022.
Maqueda, Antonio, Pérez, Claudi, “La Unión Europea presiona a España para bajar la temporalidad en la Administración”, El País, 4/03/2021.
Rürup, Bettina, Luise, “A knife-edge vote against precariousness”, IPS, 08/02/2022.
Fortuny, Pol, Alfonso, “EU Commission congratulates Spain on labour reform”, Euractiv, 16/02/2022.
Manuel, V., Gómez, “La mitad de los empleados públicos menores de 40 años son temporales”, El País, 17/08/2019.
Editing a cura di Francesco Bertoldi