L’astensione raffredda la vittoria del centrodestra

@Stevepb - pixabay

Era la vincitrice annunciata e ha confermato i pronostici: Giorgia Meloni e con lei la coalizione di centrodestra si aggiudicano la fiducia del 44% dell’elettorato, ottenendo una decisa maggioranza nei due rami del Parlamento. La coalizione di centrosinistra si ferma al 26%, con il Partito democratico che, come previsto dai sondaggi, si mantiene la seconda forza in ordine di consenso. A seguire il M5S, intorno al 15%, e la lista Azione-Italia viva, che segna il 7,7%. 

Il trionfo di FdI e della sua leader in queste ore riempirà le prime pagine dei giornali, ma non farà davvero notizia. Decidendo di correre separati in campagna elettorale, centrosinistra, Movimento 5 stelle e Terzo polo hanno di fatto consegnato il Paese nelle mani del centrodestra. Si tratta, forse, di uno dei paradossi più avvincenti di un’era in cui l’informazione avvolge il tempo, invece che scandirlo: se cinque anni fa una vittoria di FdI sarebbe stata impensabile, oggi appare come un fatto praticamente scontato. Anche un salto in avanti come quello registrato nella giornata di ieri, in questa prospettiva, appare come una rapida istantanea che, connessi e immersi nel flusso informativo, avevamo già scattato in campagna elettorale. 

Nella scienza politica l’origine di questo movimento viene rintracciata nella “fedeltà leggera”. Tale espressione designa il comportamento di un elettorato che, se da una parte fatica a identificarsi stabilmente in un partito, dall’altra , manifesta un consenso che oscilla comunque entro i limiti di un preciso schieramento politico. A giudicare il contestuale passo indietro delle altre forze di centrodestra, la fedeltà leggera, unita al balzo sul carro del vincitore individuato dai media, è una delle principali variabili che spiega il successo così ampio di FdI all’interno della coalizione. In attesa di ulteriori analisi dei flussi elettorali, tuttavia, un’altra dimensione si rivela più importante per gettare uno spiraglio di luce sul voto di ieri e, soprattutto, sul presente e il futuro della politica nella penisola: l’astensione

Le elezioni del 25 settembre 2022 passeranno alla storia non solo per la vittoria di Giorgia Meloni, ma anche in quanto competizione meno partecipata della storia repubblicana. Meno del 64% degli elettori si è recato ai seggi, una percentuale notevolmente inferiore al 73% del 2018, che già fece segnare una leggera diminuzione rispetto alla tornata precedente (75%) e così via, risalendo nel tempo. Secondo la commissione di studio promossa dalla presidenza del consiglio dei ministri per indagare il fenomeno, la crescita dell’astensione si può spiegare come il combinato disposto di una maggiore sfiducia nei partiti e degli effetti economici e sociali della grande recessione, che ha portato a reazioni di allontanamento e di protesta nei confronti di un sistema politico percepito sempre più distante dalla volontà e dagli interessi dei cittadini. 

Anche in questo caso, un paradosso si staglia all’orizzonte. Perso il radicamento territoriale tipico della Prima Repubblica, i partiti hanno progressivamente investito nella comunicazione nel tentativo di ri-sintonizzarsi con i propri sostenitori. Ma, se la comunicazione sembra aprire le porte della prossimità, a una parte sempre più cospicua dell’opinione pubblica il sistema politico si rivela chiuso su sé stesso. Al punto che, come registrava l’Istituto Demopolis, a meno di 4 giorni dal voto appena un terzo degli elettori era a conoscenza del nome di un candidato nel collegio uninominale in cui avrebbe votato. Un altro paradosso che, tuttavia, perde il suo potenziale contraddittorio se si guarda al modo in cui i nuovi strumenti, in primis quelli digitali, sono stati utilizzati dalle forze politiche. 

Invece che fornire un supporto utile ad agevolare nuove forme di partecipazione attiva, infatti, molto spesso le piattaforme sono servite come mera cassa di risonanza delle posizioni di partiti sempre più deboli e incentrati sulla figura dei leader, seguendo un processo di “passivizzazione” della base, che ormai si informa e decide cosa votare in autonomia, venendo meno l’impegno nelle sedi collettive della società. Ma quale significato assume la vittoria della coalizione di centrodestra in questo scenario? 

La questione della prossimità è fondamentale per due aspetti. In primo luogo, una società civile sempre più distante dai propri rappresentanti eletti fatica a fare sentire la propria voce, trovandosi a dipendere da meccanismi di istituzionalizzazione del consenso svincolati da un processo di trasformazione endogeno. Lungi dal costituire il luogo della passione organizzata e permanente, i partiti non affermano più il primato della politica nella società, ma a loro volta si trovano a dipendere dalle forze del palcoscenico internazionale che esigono responsabilità, a partire dalle scelte di politica economica. Le rassicurazioni di Meloni alla stampa estera, indirizzate tanto agli investitori quanto agli alleati europei e atlantici, si inseriscono perfettamente in questa cornice. 

In secondo luogo, ciò che si viene a delineare in società spaccate tra governati e governanti è l’inevitabile ascesa della disaffezione non solo nei confronti delle forze, ma delle istituzioni. Come segnala l’ultimo rapporto IPSOS, da almeno dieci anni l’Italia si trova in uno “stato di eccezione politica”, che rischia di alimentare sacche di disagio che mettono a rischio la tenuta del Paese: il risentimento è in crescita, mentre già oggi il 46% della popolazione si dice pronto al superamento dell’attuale forma di democrazia, poiché essa ha dimostrato di “funzionare male”. 

Per queste ragioni, oltre a Giorgia Meloni, la grande protagonista del 25 settembre è senza dubbio l’Italia senza volto, quella che ogni giorno manifesta il proprio malcontento lontano dalle sedi istituzionali: giovani e giovani adulti che lottano contro la precarietà, disoccupati, residenti nelle aree più periferiche del Paese, nei piccoli comuni, meno istruiti, in difficoltà economica, ad alto rischio di marginalità sociale. Come hanno già evidenziato alcune analisi sul comportamento elettorale, si tratta con ogni probabilità dell’Italia meno rappresentata in questo ciclo elettorale. Ma quella che si aspetta più risposte. 

 

 

 

Editing a cura di Beatrice Cupitò

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