Il personaggio dell’anno: Nanaia Mahuta

Remix di Matteo Savi - CC BY-SA 4.0

Membro più giovane della Camera dei rappresentanti della Nuova Zelanda, Nanaia Mahuta è stata scelta nel novembre 2020 come ministra degli Esteri e ministra del governo locale nell’esecutivo laburista di Jacinda Ardern, ricevendo un importante riconoscimento a livello internazionale come prima donna Māori a ricoprire questo ruolo.

Nata il 21 agosto 1970 a Auckland, Nanaia Mahuta fa parte di una famiglia di grande rilevanza pubblica: è infatti la figlia del politico Māori Robert Mahuta, a sua volta figlio adottivo del Re Korokī Mahuta e fratello maggiore della Regina Te Atairangikaahu. Mahuta ha intrapreso la carriera politica nel 1996, quando viene eletta come uno dei primi deputati neozelandesi di lista nonostante la sconfitta contro Tuku Morgan (New Zealand First) per Te Tai Hauāuru (il seggio sostitutivo dei Māori occidentali).

Le posizioni politiche

Nanaia Mahuta ha rivestito a più riprese il ruolo di ambasciatrice dei diritti Māori, partecipando al riconoscimento del multi-culturalismo della Nuova Zelanda in atto dagli anni Settanta, all’inizio del cosiddetto Rinascimento Māori.

I suoi rapporti con la politica hanno in realtà avuto inizio ancora prima della sua elezione nel 1996: il padre è stato una figura chiave nella storia politica Māori. Nanaia Mahuta è cresciuta in un ambiente politico, grazie soprattutto ai contatti del padre.

Robert Mahuta ha ricoperto una posizione chiave nella stipula dell’accordo di Tainui, il primo reclamo storico del Trattato di Waitangi risolto con la Corona Britannica. Comprendeva la restituzione di terre alla comunità Māori e la presentazione di scuse formali da parte della Corona per le violazioni dei diritti umani commesse.

Da inizio carriera, Mahuta si è schierata in diverse occasioni a favore di battaglie in difesa delle minoranze indigene e in quanto ministra degli Esteri ha cercato di portare un approccio Māori alla politica estera. Mahuta ha profondi legami con la monarchia Māori e un passato di negoziazione di accordi tra Māori e Corona, caratterizzato da una strategia che si potrebbe definire di democrazia morbida. Ha scelto di tenere il suo primo discorso importante come ministra degli Esteri a Waitangi, il luogo in cui fu firmato il trattato fondamentale della Nuova Zelanda tra Māori e coloni britannici. Lì ha delineato come quella partnership – e il lungo percorso di riconciliazione che l’ha seguita – avrebbe plasmato l’approccio del Paese sulla scena mondiale.

Mahuta ha anche promosso la strategia di finanziamento internazionale per il clima della Nuova Zelanda, definendo il cambiamento climatico “la sfida esistenziale del Pacifico”.

Uno dei momenti salienti della sua vita politica è stata l’organizzazione, nel 2019, delle parti interessate intorno al Three Waters reform programme, anche chiamato Three Waters, un programma di ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche lanciato dal governo Ardern, finalizzato a centralizzare la gestione dell’approvvigionamento idrico e dei servizi igienici in Nuova Zelanda.

La ministra è stata anche parte attiva della controversia sulle coste e i fondali marini del Paese. Il dibattito riguardava la proprietà delle aree in cui si trovano la battigia e i fondali marini neozelandesi, con molti gruppi Māori che hanno rivendicato le terre in base al possesso storico e al Trattato di Waitangi. Secondo la legge, le popolazioni indigene avrebbero potuto rivendicare la tutela di alcune aree: questa specifica non ha ridotto le forti proteste che hanno accompagnato questa proposta.

Nel 2004 il Parlamento neozelandese ha approvato il Foreshore and Seabed Act 2004, che ha di fatto assegnato la proprietà legale della battigia e dei fondali marini alla Corona. Questa legge è stata poi abrogata e sostituita dal Marine and Coastal Area (Takutai Moana) Act 2011, che ha definito le aree marine e costiere comuni come libere, di proprietà di nessuno.

Nanaia Mahuta si è inizialmente opposta all’approvazione di questa legge per poi supportarla in terza lettura: questa posizione ha portato a una serie di proteste da parte della comunità Māori. Il governo laburista di Helen Clark è stato responsabile di una delle più grandi confische di terre Māori, portando alla frammentazione del sostegno laburista e all’ascesa del Māori Party, fondato da Tariana Turia proprio in seguito alle controversie legate alla legge sulle coste e i fondali marini. La Turia ha dovuto rinunciare al suo ruolo nel Partito laburista dopo essersi espressa con un voto contrario.

Il Te Pāti Māori, noto anche come Partito Māori, si batte negli elettorati Māori appositamente riservati; la posizione politica è generalmente descritta come centrista o di centro-sinistra e le battaglie principali sono relative allo smantellamento del razzismo sistemico e ai diritti delle popolazioni indigene.

Il governo Ardern e il Manifesto Māori laburista

Se la controversia sulla battigia e sui fondali marini è stata il catalizzatore del deterioramento delle relazioni tra laburisti e popolazioni indigene, ciò che è seguito non ha fatto altro che approfondire la frattura.

Il rifiuto di ratificare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni e l’approvazione delle incursioni della polizia, definite dal rapporto dell’Independent Police Conduct Authority del 2013 “illegali, ingiustificate e irragionevoli”, nelle comunità indigene a Te Urewera hanno contribuito a logorare il rapporto tra laburisti e Māori. Il governo laburista ha anche ignorato le decine di migliaia di manifestanti che protestavano contro la legislazione sulla battigia e sui fondali marini, descrivendoli come “odiatori e demolitori”.

Il governo Ardern, in carica dal 2017, si è impegnato a ricostruire un rapporto di fiducia con azioni concrete come la creazione di Te Arawhiti, un’agenzia dipartimentale del servizio pubblico della Nuova Zelanda. Istituita nel 2018 dal Parlamento neozelandese, l’agenzia supervisiona il lavoro del governo con i Māori come parte del portafoglio delle relazioni Corona-Māori.

Il ruolo di Nanaia Mahuta, che da inizio mandato è stata tra i ministri più in evidenza per il proprio operato, è estremamente importante nella riconciliazione tra il governo e le comunità Māori. Il suo background istituzionale e la sua identità Māori sono una rappresentazione di come possa esserci ancora un punto di incontro tra la politica e la sua comunità, pertanto rimane un membro chiave del governo Ardern, facendo seguire alla forza del suo profilo delle azioni concrete.

Nel 2020 è uscita una serie di articoli in cui è stata celebrata come la prima donna indigena a ricoprire il ruolo di ministra degli Esteri, evidenziando come si trattasse anche della prima donna membro del Parlamento ad avere i moko kauae, tatuaggi della tradizione Māori. Un’espressione culturale e di orgoglio che va di pari passo con un’azione politica volta a riconoscere le popolazioni indigene e i loro diritti.

Al centro di polemiche sul Three Waters e sul nepotismo

Nonostante il cambiamento di rotta del Partito laburista in questo mandato, la ministra rimane al centro di altre polemiche: recentemente è stata accusata, in relazione alla questione Three waters, di aver violato il manuale di gabinetto ignorando una decisione, quella di non introdurre la proprietà pubblica, presa a inizio anno.

L’intero programma Three Waters è in realtà al centro di una controversia, perché molti gruppi e associazioni sono contrari alla centralizzazione della gestione delle risorse idriche.

Queste realtà parlano apertamente di furti ai contribuenti e non apprezzano la presenza statale nella regolazione delle acque. La polemica formale all’interno della quale Nanaia Mahuta si è ritrovata andrebbe quindi contestualizzata considerando la forte opposizione che il programma ha suscitato.

Sempre in relazione al Three Waters, Mahuta ha anche subito accuse di favoreggiamento nei confronti di suoi familiari: il leader dell’ACT David Seymour e il deputato nazionale Simeon Brown hanno criticato la nomina di diversi membri della famiglia di Mahuta in ruoli di governo. La ministra ha risposto alle accuse dichiarando l’assenza di conflitti di interesse non dichiarati e il rispetto del manuale del gabinetto.

In questi giorni è stato pubblicato il rapporto del Commissario per il servizio pubblico Peter Hughes: Nanaia Mahuta è stata scagionata da conflitti di interesse in contratti assegnati a società associate a suo marito e ad altri membri whanau.

Hughes non ha trovato prove di favoritismi, pregiudizi o influenze indebite, ma ha affermato che le agenzie governative devono rafforzare i controlli sull’identificazione e la gestione dei conflitti di interesse. L’inchiesta era stata richiesta dalla stessa Mahuta dopo le accuse ricevute.

I sostenitori del Partito laburista hanno evidenziato come negli anni Nanaia Mahuta sia stata a più riprese oggetto di critiche o polemiche da parte dell’opposizione in virtù del fatto di essere una donna nativa in una posizione di potere. D’altra parte, storicamente il National party si è opposto a molte decisioni che riguardano la popolazione Māori accusando il governo laburista di favoritismi e di discriminazione verso i neozelandesi di origine europea.

Al di là delle polemiche, Nanaia Mahuta resta un simbolo di una politica più inclusiva e di una ricerca di equilibrio nell’identità multiculturale della Nuova Zelanda, oltre che un personaggio politico fondamentale nella storia recente del Paese.

 

Fonti e approfondimenti

Ewing, I., “Politicians give their take on Nanaia Mahuta’s family member appointments“, Newshub, 23/06/2022.

Labour. 2020. Māori Manifesto.

Miriama, A., “Māori Jacinda Ardern is no Helen Clark – and for Māori, that’s a very good thing“, The Spinoff, 2017.

Suszko, A., Māori Perspectives on the foreshore and seabed debate: a Dunedin case stud, University of Otago, 2005.

 

Editing a cura di Matilde Mosca

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