La Convenzione di Istanbul è un trattato internazionale che fissa regole e standard di tutela a cui gli Stati parte devono adeguarsi per il contrasto alla violenza di genere. Il documento, che prende il nome dalla città in cui fu firmato nel 2011, è entrato in vigore nel 2014. Ad oggi, è stato ratificato dall’Unione europea e da 39 Stati membri del Consiglio d’Europa.
Chi ha creato la Convenzione di Istanbul
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione fondata nel 1949 alla quale appartengono 47 Stati. Tra questi si contano quelli presenti nel subcontinente europeo ma anche Paesi dell’area eurasiatica (Armenia, Azerbaijan, Moldavia, Ucraina) e dei Balcani (Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Georgia, Malta, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia). Obiettivo di questa organizzazione è difendere e promuovere la salvaguardia dei diritti fondamentali e della democrazia.
Dagli anni Novanta, il Consiglio d’Europa ha adottato numerose risoluzioni e coordinato campagne di sensibilizzazione sul tema della violenza di genere. Nel 2008 ha creato un gruppo di esperti (il Comitato Ad Hoc per la Prevenzione e la Lotta alla Violenza di Genere e alla Violenza Domestica – CAHVIO) con il compito di redigere una bozza di trattato internazionale. Compito del trattato era dettare regole condivise per il contrasto a questo fenomeno, che gli Stati membri avrebbero dovuto seguire.
Il documento, pubblicato nel dicembre 2010, è la base da cui è stata sviluppata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul. Alla sua elaborazione hanno collaborato anche alcuni Stati estranei al Consiglio d’Europa, come Canada, Israele, Giappone, Kazakistan, Messico, Tunisia, Stati Uniti e lo Stato della Città del Vaticano.
Cosa dice la Convenzione di Istanbul
Nel documento è stato precisato che, anche se il focus principale è il contrasto alla violenza contro le donne, la Convenzione può essere utilizzata per tutelare qualsiasi vittima di violenza domestica. Compresi quindi individui di genere maschile, persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+, persone migranti, bambini, persone anziane.
Le linee guida dettate dalla Convenzione ruotano attorno a quattro pilastri fondamentali, che declinano la “strategia delle quattro P” (“4 Ps Approach“). Prevenzione della violenza, protezione delle vittime, apertura di procedimenti penali nei confronti dei responsabili ed elaborazione di politiche integrate per affrontare il problema.
Le 4P della Convenzione di Istanbul
Con riferimento alla prevenzione, la Convenzione di Istanbul ritiene fondamentale garantire nelle scuole l’educazione alla parità di genere e al riconoscimento di abusi e violenze. Viene anche evidenziata l’importanza di diffondere questi concetti presso la società civile, affinché i comportamenti problematici e le micro-aggressioni vengano riconosciuti e fermati. Contemporaneamente, viene prevista la formazione specifica dei professionisti che lavorano con sopravvissute alla violenza (ad es. medici, psicologi, assistenti sociali, giudici) e l’elaborazione di percorsi di recupero e rieducazione degli aggressori.
Quanto alla protezione, essa comprende l’obbligo di istituire e potenziare centri antiviolenza e linee telefoniche attive 24 ore su 24 per l’assistenza delle persone in situazioni di violenza. Si evidenzia l’importanza di implementare misure efficaci dirette a garantire il divieto di avvicinamento del responsabile alla vittima o il suo allontanamento da casa. Nonché di prevedere tutele per i minori testimoni di episodi di violenza in famiglia.
Il terzo pilastro riguarda la necessità di assicurare un sistema giudiziario che ponga fine all’impunità e tutelare concretamente le vittime di ogni forma di violenza. Sessuale o psicologica, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, aborto forzato o sterilizzazione forzata. Viene anche escluso che ragioni legate alla cultura di provenienza o alla religione praticata possano essere invocate come scriminanti dai responsabili di questi crimini.
Quanto alle politiche integrate, la Convenzione di Istanbul riconosce che, per assicurare un’effettiva tutela alle persone sopravvissute alla violenza, è necessaria l’attiva collaborazione di una serie di attori, fra cui si contano, oltre alle autorità giudiziarie e di polizia, anche i servizi sociali, il personale sanitario e medico, la tutela minori e le ONG a tutela delle donne.
I meccanismi di controllo della Convenzione di Istanbul
La Convenzione ha previsto un meccanismo di vigilanza nei confronti dell’attività degli Stati parte. A questo scopo, sono stati creati il Committee of the Parties (Comitato delle Parti), un organo politico composto da rappresentanti degli stati, e il Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence (GREVIO – Gruppo di Esperti in Azioni contro la Violenza di Genere e la Violenza Domestica).
Il Committee of the Parties si occupa dell’elezione dei membri del GREVIO. Riceve da quest’organo informazioni sul livello di attuazione della Convenzione raggiunto dai singoli Stati, nonché su eventuali condotte contrarie ai principi guida del documento.
Il GREVIO è composto da almeno dieci membri, con un mandato di quattro anni, scelti per le loro competenze in materia di diritti umani e contrasto alla violenza di genere. Esso raccoglie, attraverso canali statali e ONG, società civile o istituzioni dedite alla tutela dei diritti umani, informazioni sul livello di implementazione della Convenzione di Istanbul raggiunto da ciascuno degli Stati che l’hanno sottoscritta. Sulla base di queste informazioni, l’organo può adottare raccomandazioni generali indirizzate direttamente agli Stati ed elaborare relazioni, con le quali informa della situazione il Comitato delle Parti e l’Assemblea parlamentare. Nei casi più gravi, il GREVIO può anche aprire un’inchiesta chiedendo allo stato l’invio di un report specifico.
Le riserve sulla Convenzione di Istanbul
I Paesi che più recentemente hanno ratificato il trattato sono Ucraina (2022), Regno Unito (2022) e Lettonia (2024). Il percorso di adattamento degli Stati alla Convenzione è stato però caratterizzato da alcuni intoppi, in particolare per quanto riguarda il Regno Unito. L’adesione di Londra infatti è stata accompagnata da un acceso dibattito nell’opinione pubblica, causato dalle riserve espresse in sede di ratifica dallo Stato. Per mezzo di tali riserve, il Regno Unito ha escluso di dare applicazione ad alcune previsioni del documento.
La prima riguarda l’art. 44, nella parte in cui richiede agli Stati di perseguire stupri e aborti forzati commessi all’estero da persone residenti in territorio britannico. La seconda riguarda l’art. 59, che, nelle ipotesi in cui la vittima di violenza sia una persona migrante con un permesso di soggiorno dipendente dal rapporto (coniugale o familiare) con il proprio aguzzino, prevede la possibilità che la donna denunci il suo aggressore e possa ottenere un autonomo permesso di soggiorno.
Senza questa previsione, una donna migrante che denuncia il proprio partner rischia di perdere il proprio diritto a soggiornare legalmente nel Regno Unito. E di dover quindi affrontare un procedimento di espulsione.
Con riferimento a questa riserva, Hillary Margolis, ricercatrice senior per i diritti delle donne di Human Rights Watch, ha dichiarato che “…c’è il rischio che il governo inglese perpetui un sistema in cui alcune persone sono considerate meno meritevoli di aiuto rispetto ad altre, concetto che va contro lo spirito della Convenzione e il suo fondamentale principio di proteggere ogni donna e ogni bambina”.
Oltre al Regno Unito, anche altri Paesi, come Armenia, Cipro, Liechtenstein, Monaco, Macedonia del Nord, Moldavia, Romania, Slovenia, Svizzera e Germania hanno espresso una riserva sull’applicazione dell’art. 59 della Convenzione.
Le polemiche sulla Convenzione di Istanbul
Critiche serrate hanno ostacolato e rallentato la ratificazione della Convenzione di Istanbul da parte degli Stati del Consiglio d’Europa. La questione centrale riguarderebbe l’utilizzo della parola “genere” all’interno del documento. Alcuni movimenti conservatori, infatti, hanno ipotizzato che le previsioni del trattato riferite all’obbligo di raggiungere la “parità di genere” potrebbero essere strumentalizzate. Al fine di imporre la normalizzazione dell’omosessualità e la diffusione della cosiddetta “teoria del gender“.
Sulla base di questa interpretazione, Ungheria e Slovacchia hanno rifiutato di ratificare la Convenzione. Nel 2018, inoltre, la Corte costituzionale bulgara ha dichiarato l’incompatibilità del trattato con la costituzione nazionale, che prevede un concetto binario di genere (maschile-femminile). Secondo i giudici, nonostante in essa siano indicate forme di tutela contro le discriminazioni basate sul genere, non vi può essere un trattamento “identico” di entrambi i sessi. Questo poiché vanno tenute in considerazione le differenze biologiche tra essi.
La Polonia, pur avendo ratificato la Convenzione nel 2015, ha minacciato di ritirarsi. Anche in Croazia, prima della ratifica del trattato, ci sono state proteste legate all’utilizzo della parola “genere”.
Il conflitto intorno alla Convenzione di Istanbul
Secondo Johanna Nelles una delle autrici del testo della Convenzione di Istanbul, il tema è stato strumentalizzato da movimenti estremisti e religiosi la cui visione non è compatibile con il pieno riconoscimento dei diritti delle donne.
Nonostante la Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto (più nota con il nome di Commissione di Venezia), organo consultivo del Consiglio d’Europa, abbia pubblicato nel 2019 un parere che smentisce queste teorie, esse hanno conservato la loro presa su parte dell’opinione pubblica. Ciò è stato dimostrato, nel 2021, dal fatto che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha emesso un decreto presidenziale con il quale ha revocato la ratifica della Convenzione di Istanbul. La decisione è stata presa “sulla base dell’incompatibilità” tra i valori sociali e familiari turchi con la normalizzazione dell’omosessualità.
Per Daniel Höltgen, portavoce del Consiglio d’Europa “Questo comportamento non si pone solo contro la Convenzione di Istanbul, ma anche contro l’Europa e contro l’Unione Europea. È la lotta in Europa dei tradizionalisti contro i progressisti“.
Fonti e approfondimenti
Amnesty International, “Here’s why the Istanbul Convention Saves Lives“, 7/05/2021
Candidi Ginevra, “La Convenzione di Istanbul e la violenza contro le donne,” Lo Spiegone, 4/11/2020
Council of Europe. Action Against Violence Against Women and Domestic Violence Istanbul Convention – Historical background
Council of Europe. Details of Treaty No. 210
Council of Europe Directorate of Legal Advice and Public International Law. Convention on Preventing and Combating Violence Against Women and Domestic Violence of 11 May 2011. Luglio 2022
Council of Europe, Parliamentary Assembly. The Istanbul Convention – A Powerful Tool To End Gender-based Violence. 2019
De la Baume Maïa, “How the Istanbul Convention became a symbol of Europe’s cultural wars“, Politico, 12/04/2021
Human Rights Watch, “UK: Tackling Violence against Some Women, But Not All | Human Rights Watch (hrw.org)“, 22 Luglio 2022


