Che cosa sono le disuguaglianze economiche?

diseguaglianza
Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Quando si parla di disuguaglianze economiche spesso si fa riferimento a un concetto astratto che viene solitamente dato per scontato. Con disuguaglianza si intende la mancanza di uniformità tra due cose.

Con il termine disuguaglianze economiche in particolare si intende la differenza di ricchezza tra persone, inteso come il complesso di beni mobili o immobili che un soggetto detiene.

In ambito economico il metro più comune usato per analizzare le disuguaglianze è il reddito per come è distribuito all’interno di una certa popolazione in un certo momento storico. 

Il reddito comprende i guadagni derivanti dal lavoro (sia autonomo che dipendente), quelli derivanti da proprietà o investimenti (come affitti o azioni bancarie) e sovvenzioni pubbliche (pensioni, indennità da invalidità ecc.).

La disuguaglianza economica non va però vista come un concetto a sé stante. Ad essa contribuiscono anche altre forme di disuguaglianze che ricadono sotto il concetto “disuguaglianza di opportunità”, ovvero  l’impatto sul reddito di circostanze su cui gli individui non hanno controllo come, ad esempio, lo status socioeconomico di nascita, l’area geografica, il genere, l’etnia.

La disuguaglianza di reddito viene solitamente individuata tramite il coefficiente di Gini che misura la disuguaglianza nel reddito all’interno di una popolazione. Il coefficiente di Gini va da 0, che indica una situazione di uguaglianza perfetta in cui ogni porzione di popolazione riceve la stessa quota di reddito, ad 1, che rappresenta la disuguaglianza perfetta in cui tutto il reddito va all’individuo con il reddito più alto.

Origini ed evoluzione storica

Le teorie sulla nascita e i fattori che causano disuguaglianza a livello economico e sociale sono svariate e si sono evolute nel tempo.

Jean-Jacques Rousseau, ad esempio, in “Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini”, riteneva che tutti i mali della società – guerre, delitti e miserie – derivassero dalla proprietà privata.

Per il filosofo francese, quando l’essere umano è diventato sedentario, si sono create le condizioni per cui alcuni uomini potessero produrre di più rispetto ad altri, sfruttando questa differenza a proprio vantaggio per emergere sulla scala sociale.

L’economista Pierluigi Ciocca nel suo libro “Ricchi, poveri. Storia della diseguaglianza” analizza proprio la nascita della diade ricchi/poveri nel corso della storia dell’umanità.

Ciocca racconta che in epoca classica sussisteva una forte disuguaglianza tra le varie classi sociali e ha calcolato un indice di Gini dello 0,71 nella Grecia del IV sec. a.C. e dello 0,50 nel territorio dell’Impero Romano, cifra che ha raggiunto i minimi storici con il declino dello stesso.

Dopo l’anno Mille e la fine dell’alto medioevo, soprattutto all’interno delle città, la disuguaglianza è tornata a salire.

In generale fino al 1800 le disuguaglianze sono molto condizionate da carestie, crescita demografica e andamento dei raccolti.

Con le due rivoluzioni industriali nasce l’economia di mercato capitalistica (ormai diffusa in tutto il mondo) e si ha uno sviluppo produttivo determinato dall’accumulazione di capitale e da innovazione tecnologica.

I capitali accumulati e poi reinvestiti per sviluppare nuove tecnologie e permettere maggiori guadagni sono ancora oggi alla base dei modelli societari ed economici all’interno dei vari Stati.

Per Ciocca il mercato capitalista tende per sua natura alla disuguaglianza, perché accentua i divari di remunerazione a fronte delle differenze tra soggetti (individui o aziende) come, ad esempio, la capacità di iniziativa, la propensione al rischio, l’istruzione, l’origine familiare ecc. 

Disuguaglianze interne e tra Paesi

È necessario distinguere tra disuguaglianze che si formano all’interno di un Paese e disuguaglianze tra i vari Paesi.

Le prime indicano il divario di ricchezza tra le persone all’interno di uno Stato, le seconde invece indicano le differenze di ricchezza complessive di una nazione rispetto a un’altra.

Questa distinzione ha avuto una diversa evoluzione in ottica storica, evidenziando due tendenze fondamentali:

·         Crescita delle disuguaglianze all’interno degli Stati e quindi aumento del divario tra soggetti molto ricchi e chi invece ha a disposizione meno risorse, ovvero la maggioranza; 

·         Crescita del reddito pro-capite nelle economie avanzate più rapida rispetto al resto del mondo, anche se nel lungo periodo questa differenza si sta assottigliando.  

La sempre maggiore cooperazione economica globale nel XX secolo e la globalizzazione hanno portato a crescita e sviluppo a livello globale. Il Pil pro-capite (il prodotto interno lordo distribuito sulla popolazione nazionale di uno Stato) è cresciuto nei Paesi a basso reddito, in particolare in Asia, con una conseguente convergenza dei livelli di reddito tra i Paesi (Fondo Monetario Internazionale).

In questa prospettiva si è visto che la disuguaglianza di reddito globale si è prima stabilizzata e poi ha cominciato a diminuire, anche se a ritmi diversi nelle varie parti del mondo.

Allo stesso tempo all’interno dei Paesi le disuguaglianze sono aumentate, soprattutto nelle economie avanzate e soprattutto negli ultimi tre decenni.

Fino agli anni ’70 si è assistito a un calo della quota di reddito detenuto dall’1% più ricco.

Dagli anni ’80 questo trend si è invertito, ritornando in molti Paesi alle condizioni che si riscontravano un secolo prima. Tra i Paesi in cui si assiste maggiormente a questo fenomeno troviamo Usa, Regno Unito, Italia e Canada.

Va però notato che altri Paesi hanno mantenuto livelli stabili di riduzione delle disuguaglianze, tra cui Giappone, Svezia, Spagna, Francia, Paesi Bassi (Joe Hasell).

La curva dell’elefante

Intorno agli anni ’50, in un periodo che vedeva in occidente una forte crescita economica anche abbastanza diffusa tra varie classi sociali, si riteneva, anche per via del contesto, che la disuguaglianza all’interno di un Paese fosse un fenomeno naturale insito nella crescita economica e che sarebbe poi migliorato nel tempo.

Come abbiamo visto, però, l’evoluzione a cui abbiamo assistito non è andata in questa direzione: il divario di reddito tra Paesi si è ridotto e la distribuzione globale del reddito è diventata più equa, ma la disuguaglianza all’interno dei singoli Paesi sta aumentando progressivamente.

Per comprendere meglio come si è evoluta la crescita del reddito è utile fare riferimento alla “Curva dell’elefante”, un grafico sviluppato da Christoph Lakner e Branko Milanovic nel 2013.

Nella parte sinistra troviamo il 10-15% della popolazione (la coda dell’elefante) in cui si è registrata la crescita di reddito più bassa e che riflette la situazione dei Paesi più poveri che in venti anni non hanno visto la loro situazione migliorare.

Nella parte centrale invece troviamo il dorso dell’elefante, che si estende dal 10% fino al 50% in una curva ascendente. Questa sezione rappresenta la classe media globale, la crescita che si nota in questa sezione riflette la rapida crescita economica che si è sviluppata in molti Paesi e in particolare in Cina e in India.

Segue la sezione tra il 50% e il 60%, dove la curva si alza bruscamente, rappresentando la testa dell’elefante. Qui si trova la classe medio-alta, corrispondono sostanzialmente alle classi lavoratrici e medie dei Paesi più ricchi. Questa classe ha poca crescita o crescita nulla.

Dopo il 60%, la curva scende, rappresentando la prima parte della proboscide dell’elefante, che prosegue fino all’80%. Questo calo corrisponde alla classe medio-alta, che non ha registrato un considerevole aumento di reddito negli anni ’80. Da questo punto fino al 100%, la curva riprende una direzione ascendente, rappresentando la parte inferiore della proboscide dell’elefante, con un ultimo movimento ascendente tra il 99% e il 100%.

L’ultimo 20% della curva rappresenta le élite globali, che hanno visto un aumento significativo del reddito, mentre quello dell’1% più ricco è cresciuto costantemente.L’asse verticale mostra la crescita totale del reddito reale tra il 1980 e il 2016 per ciascun percentile della distribuzione globale del reddito per adulto. I primi 10 percentili sono esclusi poiché i loro livelli di reddito sono vicini allo zero. L’1 percento più ricco è suddiviso in gruppi più piccoli (fino allo 0,001 percento più alto) per rappresentare meglio la sua quota nella crescita globale complessiva registrata come riferisce il World inequality database.

L’evoluzione della teoria

Nel 2013 un gruppo di ricerca comprendente anche l’economista Thomas Piketty ha rivisto la curva utilizzando una più ampia base di ricerca. I risultati non solo hanno confermato la tesi per cui le disuguaglianze economiche globali stanno crescendo, ma addirittura hanno riscontrato divari più ampi di quelli inizialmente visti.

Tra le due ricerche però c’è una differenza di vedute che rappresenterebbero questi dati.

Secondo Piketty il fatto che negli anni ’50 si registrasse una disuguaglianza economica in discesa era dovuto a circostanze storiche eccezionali e temporanee, come la Grande Depressione e le due guerre mondiali.

Nei primi anni ’50 il declino della concentrazione di redditi elevati è semplicemente un riflesso dell’ascesa dello stato sociale, riecheggiando il consenso postbellico sull’intervento statale per combattere le disuguaglianze attraverso risposte politiche inusuali che hanno portato allo sviluppo del welfare state (modello economicistico statale per cui è garantito l’accesso ai servizi essenziali per una larga parte della popolazione a spese dello Stato tramite sistemi di tassazione progressivi).

La storia raccontata da Piketty sui determinanti politici e ideologici della disuguaglianza emerge dall’osservazione che la mancanza di accumulo di nuove fortune negli Stati Uniti dopo la guerra non era un segno di stabilità economica, ma il risultato dell’introduzione di regolamentazioni finanziarie e tassazioni altamente progressive, introdotte con il New Deal. Allo stesso modo, i tagli fiscali dell’amministrazione Reagan sono visti come la causa principale dell’aumento della quota di reddito del 10% più ricco negli anni ’80.

Piketty fa riferimento  al centile superiore (“classe dominante”), al decile superiore (“classe superiore”), al 40 percento medio (“classe media”) e al 50 percento inferiore (“classe inferiore”) per confrontare le gerarchie di reddito da lavoro e di ricchezza nelle società con gruppi, istituzioni e culture diverse.

Nel corso delle sue analisi rileva che ad esempio la Francia dell’Ancien Régime e della Belle Époque mostra livelli di disuguaglianza assimilabili agli Stati Uniti nel 2010, in cui il decile superiore riceveva il 50% del reddito totale e il centile superiore circa il 20%.

Per Piketty, nel momento di massima uguaglianza del dopoguerra nei Paesi scandinavi, il decile superiore possedeva il 50% della ricchezza e la metà inferiore solo il 10%, mentre oggi il decile superiore statunitense possiede circa il 75% della ricchezza e il 50% inferiore solo il 2%.

Le diverse interpretazioni

Per Milanovic invece la disuguaglianza segue un modello di ascesa e declino regolare nel corso dei secoli, quasi come onde regolari che si susseguono nel tempo, denominate “onde di Kuznets”, dal nome dell’economista statunitense che osservò un andamento crescente e poi calante della disuguaglianza economica negli Stati Uniti dal 1913 al 1948 e ipotizzò che altre nazioni, seguendo il percorso industriale statunitense, avrebbero sperimentato la stessa curva.

Seguendo la sua analisi si può notare una prima ondata con il passaggio dalle società agrarie a quelle industrializzate, mentre una seconda si è avuta con l’emergere negli anni ’80 di un nuovo tipo di approccio economico, più deregolato e più globalizzato.

L’analisi di Milanovic e Lakner si sofferma nell’analizzare gli effetti dell’apertura politica, economica e tecnologica tra gli Stati e sui loro effetti su economie sempre più interconnesse.

Sono le dinamiche messe in crisi durante la pandemia con il rallentamento del mercato globale e con la crisi del settore dei semiconduttori.

Per Piketty i fattori di disuguaglianza sono dovuti sostanzialmente al possesso dei beni e al loro rendimento nel tempo, e quindi al fatto che tendono a mantenere o ad accrescere il loro valore nel tempo. Questa dinamica può però essere messa in pericolo da situazioni esterne come crisi economiche, di produzioni e guerre.

Questi eventi portano a un rallentamento del rendimento del capitale perché in momenti di incertezza solitamente gli investimenti si interrompono. A ciò si può poi aggiungere la volontà politica di redistribuire i capitali attraverso politiche di welfare e ciò porta a minori rendimenti dei beni posseduti.Per Milanovic invece le disuguaglianze tra Paesi a livello globale sono dovute alle differenze che si hanno in termini di possesso di tecnologie, di apertura al mercato e di politiche (intese come relazioni e rapporti tra Stati).

Notiamo come le due potenze attuali a livello economico (Stati Uniti e Cina) sono quelle che hanno il mercato tecnologico (relativo a prodotti, servizi e tecnologie) più sviluppato e con maggiori investimenti, basti pensare al fatto che i mercati dove si sta sviluppando maggiormente l’intelligenza artificiale sono proprio Cina, Stati Uniti e Unione europea.

L’impatto pratico della teoria

Qualunque visione si decida di adottare però quello che non cambiano sono gli effetti che hanno le disuguaglianze economiche sulla vita delle persone.

Guardando il “grafico dell’elefante” dobbiamo tenere a mente che il primo 10% della popolazione corrisponde a quello a cui sono negati i servizi essenziali come cure mediche, istruzione e cibo ed è la stessa parte di popolazione costretta a fare lavori sottopagati se non proprio a livelli di sfruttamento.

Indicativo di questo divario è anche l’accesso alla rete: si ha infatti un picco del 98% di popolazione in Europa che può disporre di una connessione, percentuale che scende al 23% in Africa orientale (con differenze anche nella velocità). Ne deriva anche un divario nell’accesso agli strumenti educativi informatici e più in generale nell’accesso alle informazioni e alla loro condivisione.

Inoltre, va tenuto conto dell’impatto ambientale del mondo digitale che è stimato essere il 14% dell’inquinamento mondiale a causa del consumo energetico (per questo motivo molte big tech stanno finanziando progetti di centrali nucleari).

In quest’ottica i Paesi meno ricchi da cui sono estratte intensivamente le risorse necessarie alla produzione dei dispositivi tecnologici subiranno le esternalità negative di un progresso da cui sono esclusi (World Economic Forum Davos 2023, The climate crisis disproportionately hits the poor. How can we protect them, in “Diritto civile del digitale” di Stefania Stefanelli)

La disuguaglianza economica non ha quindi solo ricadute a livello sociale e personale nella vita delle persone ma ha anche un impatto politico, soprattutto se analizzata dal punto di vista dell’accesso alle informazioni e sul piano dell’educazione.

Cosa si può fare per ridurre le disuguaglianze economiche

Secondo Joe Hasel, ricercatore presso l’università di Oxford, questi elementi indicano da un lato che la disuguaglianza non è inevitabile e dall’altro che non è una tendenza mondiale. Le differenze tra i vari Paesi suggeriscono che le politiche nazionali possano avere un ruolo rilevante. 

I fattori che contribuiscono alla disuguaglianza economica sono diversi.

Possiamo distinguere in particolare:

·         Fattori globali, come progresso tecnologico, globalizzazione, cicli dei prezzi delle materie prime, competenze (Card e DiNardo, 2002). Nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, il progresso tecnologico si è tradotto anche in uno svuotamento dei posti di lavoro della classe media, un fenomeno noto come polarizzazione del lavoro (Goos e Manning, 2007);

·         Fattori specifici di un Paese, come sviluppo economico, stabilità economica e politiche interne.

Accantonando per il momento politiche internazionali o transnazionali per il contrasto delle disuguaglianze, negli Stati con un apparato amministrativo strutturato hanno una maggiore rilevanza soprattutto le politiche fiscali redistributive.

Queste sono misure di ridistribuzione di ricchezza dai gruppi più ricchi a quelli più poveri.

Per fare ciò si utilizzano soprattutto strumenti fiscali come imposte progressive (tasse che aumentano proporzionalmente al reddito, per fare in modo che i cittadini con i redditi più alti paghino più tasse rispetto a chi ha redditi più bassi), sovvenzioni dirette dello stato o fornitura di servizi a tariffe agevolate e infine spesa pubblica per servizi statali (sanità, istruzione, assistenza sociale) (Stiglitz, Joseph E. The Price of Inequality (2012); International Monetary Fund (IMF). Fiscal Policy and Income Inequality (2014))

Su un piano macro-economico più ampio vengono in rilievo anche politiche di deregolamentazione del mercato, processo su cui si è basata la costruzione dell’Unione europea con il suo mercato unico.

 

 

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