Che cosa significa “genocidio”

genocidio
Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La parola genocidio non esisteva prima degli anni Quaranta del ‘900. Prima di questo momento venivano utilizzati altri termini per descrivere la violazione dei diritti umani portata avanti contro un gruppo specifico di persone.

Le origini del termine

Il termine venne coniato dall’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin intorno al 1942, unendo il prefisso geno (dal greco razza, tribù) al suffisso cidio (dal latino uccidere) e lo associò allo sterminio degli Armeni ad opera dell’Impero Ottomano nel 1915-16. In realtà Lemkin lavorava in questa direzione già da prima, quando – dopo la salita al potere di Adolf Hitler nel 1933 – si presentò davanti alla Lega delle Nazioni a Madrid con una proposta per vietare gli atti di “barbarie e vandalismo”. La proposta fallì. 

Quando i nazisti invasero la Polonia nel 1939, il giurista si unì alla resistenza. Dopo essere stato ferito in combattimento, riuscì a fuggire in Svezia per poi spostarsi negli Stati Uniti nel 1941. Tre anni dopo, scrisse un saggio intitolato “Axis Rule in Occupied Europe” (Il dominio dell’Asse nell’Europa occupata) nel quale usò il termine “genocidio”. 

Nel 1945 Lemkin venne nominato consulente legale del procuratore capo degli Stati Uniti nel processo di Norimberga e cercò di far inserire nelle accuse ai nazisti anche quella di genocidio. Tecnicamente riuscì, perché il tribunale accusò alcune tra le massime autorità Naziste di “crimini contro l’umanità” e la parola “genocidio” venne inclusa nell’atto. Ma il termine non aveva ancora una rilevanza giuridica e assunse pertanto solo una funzione descrittiva. L’espressione si caricò di un valore giuridico soltanto dal 1948.

Il riconoscimento dell’ordinamento internazionale

Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea generale dell’Onu adottò una convenzione con la quale si stabiliva, all’articolo 1, che «il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine in base al diritto internazionale». La specifica del “tempo di pace” lo contraddistingue rispetto alla categoria dei crimini di guerra. Il documento, composto di diciannove articoli, entrò in vigore solo nel 1951. 

Una delle novità stava nel fatto che veniva segnalata non soltanto la responsabilità individuale, ma anche quella di uno Stato: sia per la commissione di un genocidio che per la mancata prevenzione e punizione del crimine. La norma che pone il divieto di genocidio è riconosciuta come cogente dell’ordinamento internazionale. 

All’articolo 2 si segnala che “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Il documento elenca questi atti: uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di bambini da un gruppo ad un altro. 

La convenzione è stata ratificata da 153 Stati. 41 membri delle Nazioni Unite devono ancora ratificare o aderire alla Convenzione, di questi, 18 provengono dall’Africa, 17 dall’Asia e 6 dalle Americhe). La definizione all’articolo 2 è stata accolta nell’articolo 6 dello Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998.

I casi di genocidio

Prima della creazione della Corte penale internazionale, venivano istituiti dei tribunali ad hoc per giudicare su questo tipo di crimine. Il primo a essere costituito, nel maggio del 1993, fu il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (Icty) e aveva lo scopo di giudicare e perseguire gravi violazioni del diritto internazionale commesse nel corso delle guerre jugoslave degli anni Novanta. 

Il tribunale cominciò a lavorare effettivamente tra il 1994 e il 1995, con la messa in stato d’accusa di 22 ufficiali serbo-bosniaci. Fra i crimini commessi, rimane tristemente famoso il genocidio di Srebrenica. Nel luglio 1995, le forze dell’Esercito della Republika Srpska, il VRS, invasero la città nella Bosnia ed Erzegovina orientale. In pochi giorni, più di 8.000 ragazzi e uomini bosniaci musulmani furono portati in luoghi di detenzione, maltrattati, torturati e poi giustiziati. 

Nel 1994 fu la volta del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda che indagò i crimini di guerra, compreso il crimine di genocidio, contro l’etnia Tutsi e contro gli Huti che si opponevano. La radio governativa Mille Colline fu utilizzata per trasmettere nomi, indirizzi e persino numeri di targa dell’etnia considerata nemica, incitando gli Hutu a uccidere “gli scarafaggi”. Il genocidio, perpetrato a colpi di machete, causò tra 800.000 e 1 milione di morti. 

Su una popolazione di allora 7.300.000 abitanti, le cifre ufficiali diffuse dal governo ruandese sono di 1.074.017 vittime in 100 giorni. A Kigali, il Meccanismo Residuale responsabile dei rimanenti fascicoli del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ha annunciato la chiusura del suo ufficio locale per il 31 agosto 2024. Questi sono i casi più conosciuti, ma altri – come il genocidio in Cambogia avvenuto tra il 1975 e il 1979 – sono stati indagati dagli organi competenti

Il caso di Israele

Di genocidio si è parlato molto anche per quanto riguarda ciò che sta succedendo a Gaza dal 7 ottobre 2023. I continui bombardamenti sui civili, lo sfollamento di circa un milione e mezzo di persone, il blocco di aiuti umanitari come acqua e gasolio, hanno spinto l’opinione pubblica a inquadrare le scelte di Israele all’interno di una cornice genocidiaria. Ma non si tratta solo di opinione. 

La definizione di genocidio segue delle regole e, secondo una parte di esperti dell’Onu, queste sono state violate da Tel Aviv. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha presentato il 26 marzo un report (“Anatomia di un genocidio”) in cui dimostrerebbe, punto per punto, le violazioni commesse dallo Stato ebraico nei confronti dei palestinesi, che permetterebbero di inquadrare l’atto come genocidio. 

Anatomia di un genocidio 

Secondo Albanese, sono stati infranti “almeno tre” dei cinque punti previsti dalla Convenzione. Essi sono l’uccisione di membri del gruppo etnico, l’aver procurato seri danni fisici o mentali ai membri del gruppo e l’impartizione deliberata di condizioni di vita calcolate alla distruzione fisica in tutto o in parte del gruppo.

L’uccisione di membri del gruppo etnico non si limita al solo numero di morti, ormai arrivati oltre i 33 mila, di cui il 70% donne e bambini. A cui oltretutto bisognerà aggiungere migliaia di dispersi. Tel Aviv infatti non ha mai provato – come riporta Albanese – che il restante 30% faccia parte di Hamas, “una condizione necessaria per essere legalmente bersagliati”. 

A proposito della seconda violazione, Albanese ricorda un passato giudizio dell’Icty. Qui si definiva la procura di seri danni fisici o mentali ai membri del gruppo come “uno svantaggio grave e a lungo termine alla abilità di una persona di condurre una vita normale e costruttiva”. Una cosa che, secondo la relatrice speciale Onu, sarebbe successa e che non deve avere come precondizione quella di essere “permanente”. 

Per quanto riguarda l’ultimo punto, Albanese sottolinea che per configurarsi l’impartizione deliberata di condizioni di vita calcolate alla distruzione fisica del gruppo non è condizione necessaria applicare condotte che uccidono direttamente. Tra queste rientrano il bombardamento dei rifugi umanitari, degli ospedali, delle case e di altre strutture. Un fatto comprovato dal deserto lasciato da Israele in questi mesi di bombardamenti che hanno raso al suolo la Striscia.  

Le altre accuse 

Prima del rapporto Onu, il 29 dicembre 2023 il Sudafrica aveva denunciato Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia. Le accuse a Tel Aviv riguardavano cinque atti di genocidio: l’uccisione di massa di palestinesi, l’inflizione di gravi danni mentali e fisici, l’espulsione e il displacement forzato, l’attacco al sistema sanitario di Gaza e l’applicazione di misure intese a prevenire nascite all’interno del gruppo. 

Il 26 gennaio 2024 la Corte ha stabilito che è plausibile che Israele stia commettendo un genocidio. Per questo, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, ha previsto che Tel Aviv dovesse adottare “tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio”. 

Inoltre, la Corte ha insistito sul fatto che Israele deve consentire gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e riferire sulla questione dinanzi alla Corte entro un mese. La sentenza definitiva, probabilmente, richiederà anni. Ma questo passaggio segna già un punto di partenza significativo delle accuse di violazione del diritto internazionale. 

 

Fonti e approfondimenti

Bonifati, L., “Perché dobbiamo ricordare Srebrenica?”, Lo Spiegone, 10/07/2020

Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia. Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia (ECCC)

International Criminal Court. Rome Statute of the International Criminal Court

International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia. Srebrenica Genocide: No Room For Denial 

United Nations, “Explainer: What is the Genocide Convention? | UN News”, 11/01/2024