Il riassunto del caso Regeni all’indomani delle ultime rivelazioni

Il 20 febbraio scorso si è aperta la prima udienza del processo a carico dei quattro 007 egiziani imputati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. 

Il ricercatore di Fiumicello (UD) fu trovato morto il 3 febbraio 2016 sul ciglio dell’autostrada che collega Alessandria al Cairo, città in cui stava portando avanti un progetto di ricerca, a quasi due settimane dal suo rapimento per mano dei servizi segreti egiziani.

All’epoca dei fatti, l’allora premier Matteo Renzi affermò di aver saputo del suo rapimento solo 6 giorni dopo, ovvero il 31 gennaio: “Se avessimo saputo prima, forse, avremmo potuto intervenire”. Un documento inedito del ministero degli Esteri sembra però smentirlo, insieme a una testimonianza esclusiva pubblicata dalla trasmissione televisiva Report dello scorso 5 maggio. 

La prima udienza del processo per Giulio Regeni

Nel corso dell’udienza alla Prima Corte d’Assise di Roma gli avvocati della difesa hanno contestato “l’indeterminatezza del capo di imputazione” e “il difetto di giurisdizione” con il fine di far proclamare nullo il decreto che dispone il giudizio. Istanza su cui ha chiesto il rigetto la Procura di Roma, rappresentata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco.

A palazzo di giustizia restano fantasmi i quattro imputati, funzionari della National Security Agency egiziana. Sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il governo del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi non ha mai voluto collaborare con la giustizia italiana, arenata sulla notifica del rinvio a giudizio. 

A intervenire ci ha pensato però la Consulta, stabilendo che, nel caso di tortura, può essere ritenuta valida come notifica del procedimento il semplice fatto che gli imputati siano a conoscenza dell’esistenza del procedimento stesso. Quindi non c’è l’esigenza di presenziare effettivamente al processo. 

Oggi i rapporti con Il Cairo tornano d’attualità anche per via del ruolo che gioca nella guerra su Gaza: “Il processo Regeni sta andando avanti, va accertata la verità e colpiti i colpevoli, ma questo non ha nulla a che vedere con quello che accade in Israele, nella Striscia di Gaza”. A parlare allora è il vicepremier e ministro degli esteri, Antonio Tajani, aggiungendo anche che l’Egitto sarebbe “un interlocutore importante”. “Serve fare un lavoro positivo con questo Paese per tutti i palestinesi che escono dalla Striscia di Gaza, se vogliamo salvare vite umane”.  

Secondo la procura, il ricercatore è stato vittima di una “ragnatela” creata sia attraverso l’acquisizione del passaporto, perquisizioni in casa in sua assenza, pedinamenti, fotografie e video registrati di nascosto. Anche attraverso le persone “amiche” che Giulio frequentava e che riferivano, in tempo reale, ai quattro, dei loro incontri “con l’italiano”. Una persecuzione che è andata avanti da settembre del 2015 fino al giorno del rapimento, il 25 gennaio del 2016. 

Il documento inedito che contraddice Matteo Renzi

Secondo il pm Sergio Colaiocco sono dieci gli elementi probatori “decisivi”. I video della metropolitana, il pc di Regeni, i tabulati telefonici e i svariati tentativi di depistaggio messi in atto per evitare di far emergere la verità.

Tra i testimoni chiamati dal procuratore compare anche l’ex premier Matteo Renzi. In un servizio a firma di Daniele Autieri, nella puntata di Report di domenica 5 maggio, è proprio di lui che si torna a parlare. 

Alle 14,21 del 28 gennaio 2016 l’ambasciatore dell’Italia al Cairo invia un messaggio criptato alle massime istituzioni italiane sulla scomparsa di Giulio Regeni. Lo certifica un documento inedito del ministero degli Esteri. Nello stesso, infatti, vengono indicati in “visione” oltre alla Presidenza del Consiglio, anche la direzione generale per gli Affari politici e di sicurezza della Farnesina, l’ufficio rapporti con il Parlamento e il ministero della Difesa. 

Qualcosa che contrasta decisamente con ciò che ha invece riferito Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, durante un’audizione nella commissione d’inchiesta sulla morte di Regeni.

Qui l’ex premier testimoniava infatti di aver saputo di Regeni solo il 31 gennaio. Egli dichiarò: “Il nostro rapporto con al-Sisi era costante. Un rimpianto c’è. Se avessimo saputo prima, forse, avremmo potuto intervenire. Fummo avvisati soltanto il 31 gennaio”. 

Maurizio Massari, allora ambasciatore italiano in Egitto, rispose così a Sergio Colaiocco alla domanda -Lei sa se Renzi ha saputo prima del 31 o solo il 31 della scomparsa di Giulio?-: “Io non posso saperlo al 100 per cento, avevamo attivato tutti i canali, anche la Presidenza del Consiglio, l’ufficio del consigliere diplomatico, quindi voglio dire…”.

Giulio Regeni nelle mani dei servizi egiziani fin dai primi giorni

Una fonte di Report interna alla Farnesina ha poi confermato che dal 27 gennaio le istituzioni italiane sarebbero state convinte che il ricercatore fosse finito nelle mani dei servizi egiziani fin da subito, almeno due giorni dopo il rapimento e quello precedente alla comunicazione dell’ambasciata.

Report mostrerà poi per la prima volta un documento, oggi agli atti dell’inchiesta, che sta sollevando numerosi interrogativi. Quattro pagine di appunti in lingua araba, parole apparentemente scollegate tra loro, tradotte in italiano.

“Sicuramente non è la grafia di Giulio, quella in italiano, per cui non ci spieghiamo come siano lì”, a dirlo Alessandra Ballerini, avvocata della famiglia Regeni. Chi le abbia scritte resta per ora un mistero, come i numerosi punti oscuri sulla terribile vicenda. 

L’accordo da 7,4 miliardi con ENI

Report rivelerà che al Cairo in quelle ore erano in azione anche uomini della CIA e soprattutto della security ENI. Il colosso energetico italiano due settimane dopo avrebbe firmato con l’Egitto il contratto miliardario di gestione di Zhor, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo Orientale. 

Nell’indignazione generale intanto si fa strada l’Unione europea che a marzo ha firmato un partenariato “strategico e globale” con l’Egitto da 7,4 miliardi di euro.

Ben 200 milioni per il controllo dei flussi migratori, anche se dall’Egitto, non salpano verso l’Europa imbarcazioni di migranti irregolari, poiché i confini marittimi sono attualmente sorvegliati. Lo si legge anche in un rapporto del 2022 dell’Agenzia europea per l’asilo (Euaa). I cittadini egiziani che approdano sulle coste italiane partono prevalentemente dalla Libia, non dalle coste egiziane. 

Al cospetto di al-Sisi, oltre a von der Leyen anche il cancelliere austriaco Karl Nehammer, il presidente di Cipro Nikos Christodoulides e il primo ministro belga Alexander De Croo.

Ad accompagnarli, il primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs e la premier italiana Giorgia Meloni, parecchio silenziosa sul tema Regeni.

“Non faremo accordi con i regimi come quello egiziano, che da anni sta coprendo gli assassini di Giulio“, ha dichiarato Elly Schlein.  La segretaria del Pd ha accusato Meloni di “promettere accordi ingiusti e fallimentari come quello con la Tunisia e l’Albania”. E “risorse al regime di al-Sisi per fermare le partenze, in un Paese che non è sicuro né per gli egiziani né per tutti gli altri”. 

La questione Regeni, tuttavia, sembra non essere più centrale sul tavolo delle relazioni diplomatiche. L’Egitto è tornato a essere a tutti gli effetti l’amico speciale dell’Italia. 

 

Fonti e approfondimenti:

A cura di Trombetta L. e Glioti A, Lo Strillone di Beirut – Primi investimenti di un’azienda italiana in Egitto dopo il caso RegeniLimes, Rivista italiana di geopolitica, 25 gennaio 2017 (ultimo aggiornamento)

Redazione esteri, Otto anni e 17 giorni dopo, si è aperto il processo per l’omicidio di Giulio Regeniil Manifesto, 21 febbraio 2024

Martini E, A processo gli 007 egiziani che uccisero Giulio Regeniil Manifesto, 5 dicembre 2023