Abenomics: il Giappone e la sua rivoluzione economica

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 26 dicembre del 2012, Shinzo Abe viene eletto Primo Ministro del Giappone. Dopo anni, il partito liberal democratico torna alla guida del Paese. Nel 2012 la situazione economica giapponese era molto simile a quella dei Paesi europei: crescita molto contenuta (il PIL giapponese è cresciuto ad un tasso dell’1,8% nel 2012), deflazione e debito pubblico alle stelle (196% sul PIL).

Nonostante le somiglianze, mentre l’Unione Europea era alle prese con politiche economiche molto restrittive volute dal conservatorismo europeo (c.d. austerity), Shinzo Abe, ultraconservatore anch’esso, sosteneva fin da subito una strategia diametralmente opposta: per il premier l’economia poteva e può essere rilanciata solo con una politica economica fortemente espansiva. L’innovativo approccio macroeconomico venne definito dai media Abenomics.

In cosa consiste l’Abenomics?

La manovra voluta dal primo ministro giapponese si sostanzia in tre punti fondamentali:

  1. Politica fiscale espansiva: lo Stato deve stimolare la crescita economica attraverso ingenti investimenti pubblici.
  2. Politica monetaria espansiva, simile al quantitative easing attuato dalla Banca centrale europea nel 2015.
  3. Un programma di riforme strutturali di lungo periodo che permettano di rilanciare l’investimento privato, aumentare la concorrenza e l’innalzamento del tasso di popolazione attiva (persone di età non inferiore ai 15 anni che sono occupati o disoccupati che ricercano attivamente lavoro).

Per quanto riguarda la politica fiscale, l’aumento della spesa pubblica è stato indirizzato principalmente alla ricostruzione della prefettura di Fukushima, distrutta dal terremoto e dallo tsunami. Inoltre parte della spesa è stata investita per un aumento ed un miglioramento delle istituzioni di welfare state (interventi pubblici che forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale) che in uno Stato molto improntato al mercato come il Giappone sono a livelli molto contenuti, per non dire minimi (uno dei più bassi insieme agli Usa tra gli Stati più ricchi). In linea con un approccio keynesiano, la politica fiscale espansiva giapponese non ha previsto immediatamente un aumento della tassazione per coprire l’incremento della spesa pubblica: è stato unicamente previsto un incremento graduale della tassazione dei consumi (la nostra IVA) dal 5% (livello del 2012) al 10% nel 2016.

L’Abenomics, come detto, utilizza all’interno della sua politica anche l’altra leva macroeconomica: la politica monetaria. Questa ha l’importante ruolo di “accomodare” la politica fiscale. Con il termine “accomodare” intendiamo sottolineare il ruolo che, nella visione keynesiana, deve ricoprire la politica monetaria quando si attua una politica fiscale espansiva: un aumento della spesa pubblica genera all’interno del sistema un eccesso di domanda di moneta; per far fronte all’esigenza di liquidità, gli operatori sono costretti a vendere i titoli da essi posseduti; l’aumento dei titoli in vendita ne fa diminuire il prezzo e, di conseguenza, fa aumentare il tasso di interesse all’interno del mercato (remunerazione per il possesso dei titoli). L’aumento del tasso di interesse causa il c.d. effetto di spiazzamento, ossia riduce l’investimento privato (è più conveniente investire in titoli data la diminuzione del prezzo e l’aumento del tasso di interesse), che non permette alla politica fiscale di aumentare il reddito e l’occupazione come (teoricamente) potrebbe, qualora il tasso di interesse di mercato rimanesse invariato.

Ecco allora che entra in gioco il ruolo della Banca centrale e della politica monetaria espansiva: aumentando l’offerta di moneta non si verificherebbe l’eccesso di domanda di moneta e tutto ciò che ne consegue. In questo caso, il tasso di interesse rimarrebbe invariato e la politica fiscale potrebbe raggiungere i suoi obiettivi in modo completo. Inoltre, un’iniezione di liquidità dovrebbe causare una spinta inflazionistica, necessaria per il rilancio dell’economia, la quale consentirebbe l’uscita dalla stagnante deflazione che affligge il Giappone ormai da un decennio. (Quantitative easing: cos’è e qual è la sua finalità?)

Per assicurarsi questo tipo di condotta da parte della Banca centrale giapponese (BoJ), che per legge deve essere indipendente dalle politiche del governo e principalmente indirizzata al controllo dell’inflazione e alla stabilità del sistema finanziario,il premier Abe ha nominato come governatore Haruhiko Kuroda, fervente sostenitore della necessità di una politica monetaria espansiva e in netto contrasto con le politiche adottate fino a quel momento dai governatori precedenti ( principalmente conservative, volte al contenimento del debito). Kuroda non ha indugiato a lanciare una forte ondata di liquidità all’interno del sistema mediante l’acquisto di titoli del debito pubblico giapponese e stampando moneta.

Risultati raggiunti

Stando ai dati immediatamente successivi l’attuazioni di tali politiche sembrava che l’Abenomics avesse risolto i problemi dell’economia giapponese: il tasso di disoccupazione ha iniziato a scendere sensibilmente, il tasso di crescita del PIL in termini reali (sebbene non con risultati entusiasmanti per la terza economia mondiale) nel 2012 e 2013 risultava positivo rispettivamente +1,8% e +1,6%, grazie al deprezzamento dello Yen (lo Yen vale meno rispetto a prima, dunque per comprare lo stesso bene avrò bisogno di sborsare una quantità minore di €) le esportazioni sono aumentate.

Tuttavia, nel 2014 l’Abenomics ha subito una battuta di arresto: il tasso di crescita del PIL è tornato ad essere negativo (-0,1%) e la deflazione non sembrava essere affatto annientata. Solo il tasso di disoccupazione continuava la sua discesa. Ad oggi, stando agli ultimi dati relativi al 2015, notiamo una timida ripresa del PIL (+2,1%) e la continua discesa del tasso di disoccupazione che ha raggiunto la soglia del 3,2% (in Italia è del 12,4%).

Rimane irrisolto il problema del livello generale dei prezzi e dell’investimento privato: per quanto riguarda il primo punto, il governatore Kuroda continua con la sua massiccia immissione di liquidità sperando in una spirale inflazionistica; per quanto riguarda il secondo punto, il 29 gennaio 2016, lo stesso Kuroda ha annunciato l’attuazione di tassi di interessi negativi sui depositi bancari: in questo modo la Banca centrale giapponese vuole spingere anche le banche commerciali a concedere maggiori prestiti a imprese e famiglie, così da aumentare la liquidità e di conseguenza la spesa e gli investimenti dei privati. (Tassi di interesse negativi: cosa sono e perché vengono applicati?)

Staremo a vedere se nel medio lungo periodo la politica attuata da Abe e Kuoroda porterà i frutti sperati.

Per l’Europa è bene osservare con molta attenzione l’esperienza giapponese e i suoi risultati in quanto molti economisti auspicano l’attuazione di queste politiche per rilanciare l’economia europea. C’è un problema però: mentre in Giappone governo e Banca centrale possono agire congiuntamente, nell’Unione Europea le scelte a livello governativo (e dunque la politica fiscale) vengono decise singolarmente da ogni Stato. Pertanto, lo sforzo che la Banca centrale europea sta compiendo con l’attuazione del quantitative easing potrebbe non raggiungere i risultati sperati.

In questo periodo di tensione politica, economica e psicologica è arrivato il momento, per i Paesi membri, di decidere cosa sarà l’Unione in futuro: in particolare, se effettivamente diverrà l’istituzione che rappresenta la sintesi della storia europea, agendo come vera e propria unione di Stati (a livello politico e sociale, non solo a livello meramente monetario e finanziario) o se continuerà a far prevalere esclusivamente i dettami e le politiche degli Stati più potenti, generando risultati decisamente deludenti e continuando ad alimentare il malessere dei cittadini che,europei, lo sono di diritto. 

 

Fonti:

http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG/countries

http://www.japanmacroadvisors.com/page/category/economic-indicators/gdp-and-business-activity/gdp/

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