Bernie Sanders, il cambiamento che ci serve

Bernie Sanders saluta il pubblico durante un comizio
@Gage Skidmore - Wikimedia Commons - License CC BY-SA 2.0

Diciamocelo, un po’ tutti speravamo che Bernie Sanders riuscisse a vincere, anche di misura, nelle primarie di New York del 19 aprile. Non soltanto per le sue idee quanto per la possibilità di poter rimettere tutto in gioco, quella possibilità di far vincere Davide contro Golia. Dopo tre mesi dall’inizio delle primarie americane, iniziate con Hillary Diane Rodham (meglio conosciuta con il cognome del marito Bill Clinton) strafavorita, la politica tradizionalista, un po’ cupa e oscura era stata messa in difficoltà da un signore di 74 anni con ideali, quelli socialisteggianti, che fino a qualche anno fa non erano neanche pronunciabili nei democratici Stati Uniti d’America.

La Clinton ha vinto lo Stato di New York con il 58% dei voti e un distacco da Sanders di 16 punti percentuali. Una vittoria che ridà un po’ di sicurezza a una candidata messa in ombra dai risultati dagli ultimi 8 Stati in cui si è votato prima della Grande Mela. Infatti, gli ultimi sette scontri elettorali Bernie Sanders li ha vinti tutti con percentuali tra il 56% (Wyoming) e l’82% (Alaska), riducendo il divario accumulato sulla Clinton. Dopo New York la Clinton è saldamente al comando con 1446 delegati contro i 1200 di Sanders. In effetti non è così ampio il divario contando che devono essere nominati ancora più di 1500 delegati (riguardo al conteggio dei delegati Primarie USA, come funzionano?).

Quello che però colpisce al di là dei risultati elettorali è il messaggio che Sanders sta cercando di trasmettere attraversando gli Stati Uniti da est a ovest. E in particolare non è neanche il tipo di messaggio, sul quale ognuno di noi può avere una propria idea più o meno vicina al senatore del Vermont, ma il modo. Riuscire a coinvolgere la popolazione e a portare i cittadini a mobilitarsi per un politico, un’idea, un messaggio, un gesto non è più così facile perché non esistono più le idee viscerali che prima configuravano i singoli cittadini. Se prima era un motivo di orgoglio essere da una parte o dall’altra, oggi prendere parte è quasi un gesto rivoluzionario o quantomeno controcorrente

Nell’analisi del voto dello Stato di New York possiamo sicuramente evidenziare come Sanders abbia perso come numero di voti, ma abbia vinto come numero di distretti conquistati. La città di New York, il ganglo della società americana, ha votato in massa Hillary Clinton ma la periferia ha senza dubbio preso una decisione netta e precisa. Votare Sanders. Possiamo anche dire che probabilmente Sanders avrebbe potuto fare meglio in alcune parti di New York City, come il Bronx e Staten Island, fermandosi rispettivamente a 30% e 47%. Ed ecco qui il margine di sviluppo a cui Sanders dovrebbe cercare di puntare, all’inclusione di alcune minoranze che hanno ancora una volta voltato le spalle a una politica che invece li riguarda in prima persona. La grande domanda che ci possiamo fare è perché un candidato così radicale non viene votato da afroamericani, in parte da ispanici e asiatici. Barack Obama riuscì a cambiare, soprattutto con la seconda campagna elettorale del 2012, le idee dei cittadini americani riguardo alla candidatura di un afroamericano. Il candidato naturale per continuare questa rivoluzione sociale, che incantò il mondo nel 2008, poteva essere Bernie Sanders per eliminare i tabù imposti dall’era di Reagan sulle idee diverse dal capitalismo sfrenato. Poteva essere un candidato naturale per la successione di Obama per le sue idee fortemente improntate a un “welfare state” di stampo europeo. Ma non lo è stato, anzi.

L’idea di Sanders è quella di svegliare le coscienze, far riprendere in mano la situazione, le decisioni ai cittadini (con tutti i limiti che il potere della democrazia rappresentativa mette). Il movimento che si sta creando non si fermerà dopo il voto del 19 aprile, non si fermerà dopo quell’eventuale sconfitta che tutte le testate giornalistiche prevedono da mesi e che i conservatori che portano avanti una politica centripeta (cioè un eterno compromesso verso il centro, svilendo le proprie battaglie, qualunque esse siano) attendono ferventemente. Mettere in risalto fin da oggi i punti deboli, le occasioni perse e i passi falsi fatti potrà permettere agli americani di riuscire a proseguire meglio sulla strada del progresso domani.

Eppure noi europei non dobbiamo stare a guardare e basta. Dobbiamo imparare, prendere nota da quello che Sanders sta facendo perché non stiamo messi meglio degli americani dal punto di vista politico, anzi. La nostra crisi d’identità è senza fondo, ci perdiamo sempre di più in giochi di partito senza il minimo interesse per i cittadini. Non illudiamoci che i cittadini possano rivoluzionare il mondo perché non è così. Ma non rassegniamoci al fatto che non potendo rivoluzionare niente allora non possiamo fare nulla. Abbiamo avuto il movimento degli Indignandos, quello attuale sulla Nuit Debout, solo per citarne alcuni.  Abbiamo mille battaglie che potremmo combattere ma che non vogliamo affrontare seriamente e che forse sarebbe anche ora che iniziassimo a percepire come nostre, perché non serve una rivoluzione violenta per tentare di cambiare.

Il nostro cambiamento deve essere non solo dei governi, deve nascere nelle idee, neglii indirizzi e negli obiettivi che vogliamo raggiungere. Huntington diceva che le ideologie sono morte e, forse, è vero. Questo non significa che non si possano ricreare sentimenti viscerali e che non si possa arrivare a qualcosa di nuovo. Perché negli USA sta succedendo qualcosa di nuovo.

Si parlerà tanto di questo scontro Sanders-Clinton perché qualsiasi sarà il risultato i democratici avranno riscritto un pezzo della loro storia e superato uno dei loro tabù, da un lato la paura del socialismo (anche se dovrebbe essere chiamato progressismo quello di Sanders) e dall’altra l’abbattimento (almeno apparente) di un maschilismo strisciante nella società più avanzata del mondo.

Questo è il post che Sanders ha pubblicato su Facebook il giorno dopo le elezioni di New York:

Quando abbiamo iniziato questa campagna, dissi ‘Questa campagna non è di Bernie Sanders. Riguarda le origini di un movimento di americani uniti che dicono “quando è troppo è troppo. Questo Paese e il nostro governo appartengono a tutti noi, non solo a una manciata di milionari”‘. Penso questo adesso più che mai. Ancora abbiamo una strada per la nomination, e il nostro piano è di conquistare i candidati di queste primarie. Cinque Stati voteranno la settimana prossima, e ci sono tanti delegati in palio. Lotterò fino alla fine per ogni singolo voto, per ogni singolo delegato, perché ognuno di loro è un’affermazione del sostegno per i valori che condividiamo. Andate sul mio sito, capite i problemi che affliggono i cittadini americani – tu, tuo figlio e i tuoi genitori – e aiutateci o donate. Poi parlane ai tuoi parenti, ai tuoi amici e vieni a votare. La verità è che se stiamo insieme, non c’è limite a ciò che possiamo raggiungere. Possiamo portare speranza nel processo politico. Possiamo creare un cambiamento reale. Le persone non dovrebbero sottovalutarci”

Riporto anche il testo in lingua originale per chi voglia tradurre meglio o per chi, semplicemente, lo preferisce in inglese:

“When we started this campaign, I said, “This campaign is not about Bernie Sanders. It’s about a grassroots movement of Americans standing up and saying: ‘Enough is enough. This country and our government belong to all of us, not just a handful of billionaires.'”
I believe that now more than ever.
We still have a path to the nomination, and our plan is to win the pledged delegates in this primary. Five states vote next week, and there are a lot of delegates up for grabs. I am going to keep fighting for every vote, for every delegate, because each one is a statement of support for the values we share.
Go to my website, learn about the issues affecting the American people – you, your kids and your parents – and volunteer or donate. Then talk to your relatives, talk to your friends and come out to vote.
The truth is that if we stand together, there is no limit to what we can accomplish. We can bring hope to the political process. We can make real change. People should not underestimate us.”

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