Referendum Costituzionale: i sostenitori del “Sì” e le loro ragioni

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 4 dicembre si avvicina. Abbiamo già trattato nel dettaglio il testo della riforma, adesso è il momento di vedere nel dettaglio gli schieramenti dei favorevoli e dei contrari ad essa, iniziando oggi dai sostenitori del “Sì” al referendum.

— –   Qui le Ragioni del NO 

La legge di riforma della Costituzione che sarà sottoposta a referendum è stata approvata in parlamento lo scorso 12 aprile. Il non aver raggiunto la maggioranza dei due terzi in parlamento è il motivo per cui, affinché sia valida, è necessario che venga approvata dall’elettorato proprio attraverso il referendum.

Il disegno di legge è stato presentato dal governo l’8 aprile 2014, tanto che porta i nomi come primi firmatari il Presidente del Consiglio e il Ministro alle Riforme Costituzionali (senza portafoglio): Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.

A livello politico non sorprende quindi che le forze a favore della riforma siano le stesse che sostengono il governo Renzi: la maggioranza dei parlamentari del Partito Democratico, alcune formazioni minori come Centro Democratico, Scelta Civica e Partito Socialista Italiano (11 seggi in tutto) e il gruppo Area Popolare. Quest’ultimo è composto dai parlamentari UDC e i fuoriusciti di Forza Italia: il Nuovo Centro Destra di Alfano e il gruppo Alleanza Liberalpopolare-Autonomie che fa capo a Denis Verdini.

Un altro importante endorsement alla riforma è arrivato da Giorgio Napolitano, ex Presidente della Repubblica e in un certo senso promotore dell’intero processo di riforma. Fu proprio lui a istituire nel 2013 la cosiddetta “commissione dei saggi” incaricata di proporre una riforma costituzionale e che per prima avanzò l’idea di un “Senato delle Regioni“.

Da allora questa riforma è stata nell’agenda prima di Enrico Letta e poi dello stesso Renzi, arricchendosi nel frattempo delle parti relative al Titolo V e ad altre istanze, che ha portato il totale degli articoli interessati dalla riforma a 47. La stessa nuova legge elettorale approvata sotto stesso governo, il cosiddetto Italicum, non può essere scissa dalla riforma, in quanto rappresenta il metodo con cui, in caso di vittoria dei Sì, saranno decisi i nuovi equilibri di potere.

Oltre che dal mondo politico, molti accademici, giornalisti e opinionisti hanno espresso una posizione favorevole ai contenuti della riforma. Già nel maggio del 2016 era stato pubblicato un manifesto sottoscritto dal 184 docenti universitari, che faceva anche da “risposta” all’analogo manifesto contrario alla riforma, pubblicato circa un mese prima da 50 giuristi costituzionalisti.

Le ragioni fondamentali su cui si basa la chiamata al voto per sostenere il referendum si possono leggere sul sito del comitato Basta un Sì, il principale motore della campagna.

I promotori del referendum ritengono necessaria la fine del bicameralismo paritario, sottolineando come l’Italia sia l’unica realtà europea con questo sistema istituzionale piuttosto che con una camera alta (quando presente) configurata come camera territoriale. Da questo cambiamento i promotori sostengono di ottenere almeno due effetti:

Procedimento legislativo più agile

Nelle intenzioni della riforma, la riduzione dell’importanza del Senato nel processo legislativo renderebbe la nuova Camera dei Deputati capace di legiferare più tempestivamente, dato che oggi è necessario che le due Camere si accordino sullo stesso testo di legge attraverso la “navetta” parlamentare.

Il Senato manterrebbe infatti il suo attuale ruolo solo negli ambiti delle leggi costituzionali, elettorali, relative ai rapporti tra Stato, regioni e UE e nella ratifica dei trattati internazionali, mentre in tutti gli altri casi offrirebbe un parere entro 40 giorni, ma alla fine sarebbe la Camera a decidere in ultima istanza. Lo stesso voto di fiducia resterebbe alla sola Camera invece che a entrambi i rami del parlamento.

I sostenitori del “Sì” vedono in questa dinamica un modo per velocizzare e semplificare il processo legislativo riducendo il numero di mediazioni necessarie per giungere ad un testo definitivo. Questo non deve ingannare: in Italia vengono approvate più leggi ogni anno che in quasi tutti i paesi europei, spesso con tempi brevissimi, il processo si blocca esclusivamente quando tra le Camere manca un accordo e gli emendamenti proposti sono molto invasivi del testo originale.

Il fronte del “Sì” vede quindi nel nuovo assetto Camera/Senato non tanto un modo per portare ad una produzione ancora maggiore di leggi, ma la possibilità per il parlamento di agire più tempestivamente e con meno ostacoli quando è ritenuto necessario.

Risparmio

Una riduzione dei costi della politica è insita nel modo in cui le istituzioni verrebbero riformate dalla vittoria dei “Sì” al referendum. I senatori passerebbero da 315 a 95 (più i 5 di nomina presidenziale). Questi non percepiscono indennità parlamentare in quanto già titolari dello stipendio di Consigliere regionale o Sindaco.

Ulteriori risparmi deriverebbero dall’abolizione del CNEL e dal tetto alle indennità regionali fissato pari a quello del sindaco del capoluogo. Per i risparmi relativi all’abolizione delle Province la situazione è diversa: queste vengono solo cancellate dal testo della Costituzione ma non abolite, per far questo servirebbe una futura legge apposita, che potrebbe essere lontana nel tempo.

Sull’entità di questo risparmio esistono opinioni controverse ma grande diffidenza è rivolta soprattutto alla validità di questo assunto. L’utilità di una forma istituzionale andrebbe valutata sulla base dell’efficacia delle politiche che genera, non dal suo costo per le casse dello Stato. Insistere sul taglio dei costi della politica è una strada già battuta da molte forze come il Movimento 5 Stelle, usata spesso per evitare il ben più scottante tema della domanda di un’amministrazione migliore dello Stato.

Fine dei conflitti di attribuzione

Una parte fondamentale del referendum riguarda la riforma del Titolo V, nella quale le competenze concorrenti tra Stato e Regioni verrebbero redistribuite tra le due istituzioni. Per i sostenitori del “Sì” questo libererebbe la Corte Costituzionale, oggi chiamata a decidere nei casi di conflitto di attribuzione e di fatto oberata da questo lavoro, rendendola in grado di deliberare rapidamente.

Grande enfasi è stata posta inoltre sul fatto che il governo e il parlamento avrebbero modo di coordinare settori strategici come le grandi reti di trasporto, il turismo, l’energia e la formazione professionale, avendo richiamato queste competenze a livello statale invece che regionale. Il potere delle regioni viene infatti molto ridimensionato, anche per la clausola di supremazia che la nuova Costituzione riserverebbe al parlamento, che sarebbe in grado di “scavalcare” alle regioni su tematiche di interesse nazionale.

Per i fautori del “Sì” questo aprirebbe a grandi progetti di interesse nazionale, resi possibile dal non dover coordinare tra loro molte amministrazioni per progettarli e realizzarli. Grande scetticismo è stato comunque espresso partendo dal fatto che le regioni italiane hanno diversi livelli di rendimento istituzionale. Se una centralizzazione aiuterebbe le regioni con bassi livelli di efficacia nelle politiche locali, come la Sicilia o la Calabria, rischia contemporaneamente di danneggiare  quelle che hanno dato prova di saper amministrare il territorio e si vedrebbero spogliate di parte della possibilità di farlo.

Maggiore partecipazione dei cittadini

Con questo assunto i promotori del referendum si riferiscono alle modifiche proposte nei riguardi degli istituti dei Referendum abrogativi e delle leggi di iniziativa popolare, importanti strumenti di partecipazione alla vita politica per i cittadini.

In caso di vittoria del “Sì” verrebbe introdotto l’obbligo, al posto della possibilità, per il parlamento di deliberare sulle proposte di legge di iniziativa popolare che riescano a raccogliere almeno 150.000 firme a sostegno. In cambio dell’obbligo di discusione infatti sale il numero di sostenitori richiesto, oggi fissato a 50.000, in modo evitare eventuali sovraccarichi del parlamento.

Per quanto riguarda i referendum abrogativi cambierebbe leggermente il quorum: se invece delle solite 500.000 firme se ne raccogliessero 800.000 il minimo di affluenza necessaria a convalidare il referendum passerebbe dal 50%+1 degli aventi diritto di voto al 50%+1 del numero di partecipanti alle ultime elezioni politiche.

In linea di massima quindi i sostenitori del “Sì” reputano il referendum del prossimo 4 dicembre capace di espandere la partecipazione in politica della cittadinanza, ribattendo alle accuse di chi ritiene che il fatto che i senatori non siano eletti direttamente (ma nominati tra persone elette direttamente) produca invece una compressione dell’influenza dell’elettorato sulla politica.

Migliore rapporto tra UE e territori

Il Senato sarà rappresentante dei territori, sia visti i membri che lo compongono sia per le competenze che avrebbe. Proprio per il ruolo di primo piano che avrebbe nella discussione delle direttive europee il nuovo senato sarebbe, per i pro-referendum, uno strumento utile ad avvicinare le Regioni e i Comuni alle istituzioni comunitarie, non obbligando questi enti a passare per il livello statale ma collaborando con esso.

 

Fonti e Approfondimenti

Referendum Costituzionale: i cambiamenti punto per punto

Testo integrale della riforma

Sito del comitato “Basta un Sì

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