Il prossimo 4 dicembre si voterà il referendum per decidere se accettare o respingere la riforma costituzionale approvata in Parlamento nell’aprile 2016. Il testo è stato votato con maggioranza assoluta ma, come previsto dell’articolo 138 della Costituzione, ne è stata richiesta anche l’approvazione popolare.
Si vota con un “Sì” o con un “No” a tutto il testo della riforma, che non è diviso in singole parti. A differenza dei referendum abrogativi, per quelli costituzionali non è previsto un quorum, quindi a prescindere dal numero dei partecipanti vincerà lo schieramento che otterrà anche un solo voto in più dell’altro.
Vediamo da vicino (analizzando il testo della riforma) i numerosi cambiamenti che il referendum introdurrebbe in caso di approvazione, ricordando che analisi e discussioni delle modifiche, come pure le ragioni dei favorevoli e dei contrari, non saranno trattate in questo articolo. Vi rimandiamo alla sezione del nostro sito in cui raccogliamo materiale extra sul referendum.
Cambia il Senato, cambia la Camera
Il nucleo centrale della riforma riguarda il superamento del bicameralismo paritario, ossia quella configurazione istituzionale per cui due camere esercitano sostanzialmente le stesse funzioni. Nella riforma proposta il nuovo Senato rappresenta le istituzioni territoriali e svolge una funzione di raccordo tra lo Stato e i territori (e di questi con l’UE), lasciando alla sola Camera la gestione del rapporto di fiducia con il governo, la rappresentatività della nazione, la funzione di indirizzo e controllo politico e la larghissima parte del processo legislativo.
Il nuovo “Senato delle Regioni” sarebbe composto da 100 membri contro gli attuali 315: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 persone nominate dal Presidente della Repubblica per illustri meriti sociali, scientifici, artistici o letterari. Queste a differenza dei vecchi “senatori a vita” durano in carica per 7 anni, mentre mantegono il vecchio status solo gli ex Presidenti della Repubblica.
I Senatori non saranno più designati alle elezioni ma nominati all’interno dei Consigli Regionali (questi sì eletti direttamente) scegliendo tra sindaci e consiglieri regionali secondo modalità che saranno poi stabilite per legge ordinaria. Avendo già un incarico statale retribuito, non è prevista indennità economica per il ruolo di senatore (restano diaria e rimborsi spese) ma ovviamente è concessa l’immunità parlamentare. Il mandato di senatore scade insieme al mandato regionale, visto che i due coincidono.
Dal punto di vista legislativo scompare la cosiddetta “navetta”, il passaggio dei disegni di legge da una camera all’altra fino a raggiungere l’accordo sullo stesso testo progredendo per emendamenti. Un processo simile resta in vigore solo per i circoscritti ambiti in cui il Senato mantiene un ruolo primario nel processo legislativo: leggi costituzionali, leggi elettorali, ratifica dei trattati europei e leggi sui rapporti tra Stato, Regioni e UE.
Le altre leggi sono approvate dalla sola Camera dei Deputati, che però è tenuta a presentarle di fronte al Senato che, a quel punto, può decidere a maggioranza se esaminarli e deliberare delle proposte di modifica che saranno poi accettate o respinte alla Camera. Le leggi di interesse regionale vengono sempre discusse anche in Senato, dove una maggioranza assoluta può approvare delle effettive modifiche al testo, correzioni che però la Camera può respingere con una maggioranza assoluta.
Cambia leggermente anche l’elezione del Presidente della Repubblica, che oggi è eletto dal Parlamento in seduta comune più 59 rappresentati delle regioni. Questi ultimi non parteciperebbero più al processo dato che il Senato assorbirebbe le loro funzioni di rapprentanza dei territori. La maggioranza necessaria inoltre cambierebbe leggerente, diventando dei 2/3 dell’assemblea sui primi tre scrutini, dei 3/5 dell’assemblea dal quarto in poi e dei 3/5 dei soli votanti fino a elezione.
Decreti Legge
Vengono introdotte delle misure intese ad evitare l’abuso dello strumento del decreto legge, l’atto con cui il Governo prende autonomamente una decisione che ha forza di legge ma che però deve essere confermata successivamente dal Parlamento. Il governo avrà l’obbligo di indicare tempi stabilitii per le votazioni che riguardano la loro ratificazione e non potrà reiterare decreti già emanati e scaduti.
Viene introdotta una “corsia preferenziale” per i decreti legge che sono ritenuti urgenti dal governo per l’attuazione del suo programma elettorale. Questo permetterebbe di avere tempi più rapidi per la discussione alla camera: 5 giorni per accettare lo stato di urgenza, 70 per votarlo in caso sia stato accettato e 15 giorni per la proposta di modifiche in Senato.
Esistono ambiti di competenza in cui è richiesto che anche il Senato convalidi il decreto legge: l’elenco è vago e complesso e quindi gestire eventuali conflitti di competenza sarà risolto di comune accordo dai presidenti delle due camere.
Riforma del Titolo V
Il Titolo quinto della Costituzione è dedicato agli enti territoriali e dopo la riforma costituzionale del 2001 assegna e definisce le competenze delle regioni e degli altri enti locali rispetto alle competenze dello Stato. Queste sono divise tra esclusive dello Stato, esclusive delle Regioni e “concorrenti”, ossia gestite in collaborazione. Queste ultime creano molto spesso dei conflitti di attribuzione tra le due istituzioni, conflitti che vengono risolti in Corte Costituzionale.
La proposta di riforma vorrebbe ridistribuire le competenze concorrenti tra le regioni e lo Stato centrale riportando a quest’ultimo una ventina di quelle più importanti, compresi trasporti, commercio estero, grandi infrastrutture, sicurezza, politiche per l’occupazione, ambiente, politiche energetiche, politiche sociali e politiche per il turismo. Alle regioni restano comunque la sanità e la pianificazione del territorio, oltre che le politiche di sviluppo locale, rappresentanza delle minoranze linguistiche e dotazione di infrastrutture.
Lo stato ottiene comunque una “clausola di supremazia”: può decidere su materia regionale in caso di esistenza di un interesse nazionale o strategico riguardo una certa situazione, intervenendo al posto della regione che altrimenti sarebbe responsabile espropriandola della sua competenza su quel caso particolare.
Abolizione del CNEL e delle Province
La riforma propone di abolire il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), all’interno di un più ampio progetto governativo di cosiddetta “abolizione degli enti inutili”. Il CNEL è un organo consultivo incaricato di connettere aziende, lavoratori e enti intermedi come i sindacati ed effettuare studi per fare proposte di legge in campo economico e di politiche del lavoro, funzione da esso mai esercitata dalla sua fondazione nel 1948.
Parlare di abolizione delle province è un’esagerazione rispetto al contenuto effettivo della riforma. La proposta è quella di cancellare la menzione delle province dalla carta costituzionale (art.114), cambiando la dicitura in “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Per l’eliminazione vera e propria degli enti provinciali servirebbe una futura legge ordinaria, che sarebbe resa possibile dal loro non essere più “protette” nel testo della Costituzione.
Corte Costituzionale
Ad oggi la Corte Costituzionale è composta da 15 giudici, eletti in questo modo: 5 dal Presidente della Repubblica, 5 dai massimi organi del sistema giudiziario e 5 dal Parlamento riunito in seduta comune. Con la riforma i 5 giudici di nomina parlamentare verrebbero eletti separatamente, 3 dalla Camera e 2 dal Senato.
Il referendum propone la possibilità di invocare un controllo preventivo delle leggi di riforma del sistema elettorale: se un quarto dei Deputati o un terzo dei Senatori lo richiede, la Corte fornirà un giudizio costituzionale preventivo sulle proposte di riforma.
Leggi di iniziativa popolare e Referendum abrogativi
La popolazione può esercitare l’iniziativa legislativa, mediante la proposta di un progetto redatto in articoli, presentando delle firme a sostegno della proposta. La riforma costituzionale porta il numero necessario di firme dalle 50.000 attuali a 150.000 ma in cambio introduce l’obbligo per la Camera di discutere queste proposte, atto che ad oggi è facoltativo e deciso a maggioranza.
Inoltre se un referendum abrogativo è stato proposto raccogliendo almeno 800.000 firme (invece che il minimo delle 500.000) il quorum per renderlo valido si abbassa: passa infatti dal 50%+1 degli aventi diritto al voto al 50%+1 del numero dei partecipanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati.