Nello shock generale, dovuto a un risultato inaspettato, è necessario trovare una spiegazione al voto americano. La vittoria di Trump, che si sta concretizzando nelle ore che seguono la fine dello spoglio dei voti, sembra delinearsi sempre di più in una vera e propria sconfitta della Clinton.
Potremmo delineare 3 motivazioni principali per dare una risposta all’elezione di Donald Trump che possiamo identificare in:
- Motivazione Storica
- Motivazione interna al Partito Democratico
- Motivazione Culturale
Motivazione Storica
Forse la più facile, ma che può essere una buona bussola di partenza. Negli ultimi settanta anni si è sempre andata a delineare l’alternanza tra presidente democratico e presidente repubblicano. Da Harry Truman a Barack Obama questa alternanza insita del regime politico è stata disattesa solamente in due occasioni. La prima avvenne nel 1974, dopo Watergate e lo scandalo che travolge Richard Nixon, repubblicano, si elegge il nuovo presidente, Gerald Ford, repubblicano anche lui. La seconda volta fu nel 1989 dopo l’amministrazione del repubblicano Ronald Reagan. Le elezioni di quell’anno videro la definitiva ascesa di un altro personaggio che caratterizzerà profondamente la politica americana del ventennio successivo: George Bush.
Possiamo analizzare questi due passaggi storici con un doppio sguardo:
- Richard Nixon e Ronald Reagan erano entrambi repubblicani. Non è mai successo nella storia dopo il secondo dopoguerra che ci fosse una continuità politica da parte democratica.
- I due Presidenti Nixon e Reagan sono i due che hanno trionfato in maniera dilagante sotto il profilo numerico. Le loro politiche e i loro atteggiamenti li portarono non a indebolire il proprio potere, bensì a rafforzarlo durante le elezioni del secondo mandato
Osservando le mappe elettorali di quegli anni, si evince che il potere repubblicano nel 1974 e nel 1989 fosse quasi assoluto (a sinistra il panorama all’indomani dell’elezione di Richard Nixon, a destra quella di Ronal Reagan).
Possiamo paragonare questi due scenari con quello lasciato da Barack Obama dopo la sua seconda elezione alla Casa Bianca nel 2012.
Sembra quindi abbastanza evidente come la riduzione del potere politico dei democratici nel 2012, nonostante la grande leadership di Obama, potesse far attendere una sconfitta democratica.
Motivazione interna al Partito Democratico
La fragilità di Clinton si è palesata sempre di più durante la campagna per la nomination. La forza, inaspettata, di Bernie Sanders contro l’ex Segretario di Stato ha messo in crisi le previsioni della candidata democratica che ha dovuto combattere fino all’estate 2016, alla Convention democratica, per essere ufficialmente candidata. La forza di Sanders, con il suo slogan “Feel The Bern” non ha evidentemente riportato i suoi frutti all’interno di queste elezioni, lasciando a casa molti sostenitori del Senatore socialista che non si sono sentiti rappresentati da Clinton.
A questo ultimo stralcio di storia del partito democratico va aggiunto anche un altro elemento. Ovvero che Clinton è sempre stata giudicata, in campo politico, come la moglie dell’ex presidente Bill Clinton. Questo ha portato a una doppia valutazione di Hillary Clinton ancora prima del voto di novembre:
- Le politiche della fine degli anni ’90 portate avanti da Bill Clinton sono ancora vive nei ricordi dei votanti di oggi e hanno pesato sulle coscienze degli americani prima di dare un voto a un altro membro di quella famiglia
- Le politiche di Obama tra il 2008 e il 2012 sono viste anche come l’attuazione delle idee di Hillary Clinton che, in quegli anni, ha ricoperto la carica di Segretario di Stato.
Quindi quello che viene chiamato “establishment” deve essere visualizzato all’interno di questa motivazione. Non è stata vista come cambiamento, bensì come continuità delle politiche democratiche degli ultimi suoi due rappresentanti.
Le critiche che sono state mosse ai due ex presidenti non sono state quindi raccolte e modificate dal Partito Democratico che ha comunque permesso a una candidata non amata di presentarsi e di vincere le elezioni. Lo scandalo “mailgate” quindi deve essere relegato alla piccola punta di un iceberg molto più grande in cui le colpe non sono solo della candidata Presidente.
Motivazione Culturale
I due candidati, Trump e Clinton, sono stati visti da molti come candidati dello stesso partito con due colori diversi. Detto questo, lo scontento popolare è stato sicuramente meglio incanalato da Trump durante la campagna elettorale grazie a quello che viene oramai definito populismo.
Il fattore culturale ha quindi giocato un ruolo importante nella decisione e Trump ha dato modo di far vedere al mondo intero come gli statunitensi credano ancora profondamente al concetto della razza, del colore della pelle, della maggiore affidabilità e temperanza dell’uomo rispetto alla donna. La “migliore democrazia del mondo” ha quindi fallito per questo. Ha dato modo di far ricredere molti elettori europei sulle loro scelte che da estremiste sono passate, vedendo salire Trump sul trono più alto del mondo, ad essere moderate. In questo frangente è interessante sentire le dichiarazioni a caldo di Van Jones:
Sui sondaggi
L’ultima considerazione da fare è quella sulle previsioni elettorali. Siamo sempre più guidati ciecamente dalle previsioni elettorali, dalle statistiche e dai sondaggi che vengono effettuati in tutto il mondo e in tutte le tornate elettorali. Il loro lavoro è quello di dare una lettura approssimativa di come sarà poi in definitiva il risultato. Il vero problema è che il totale appoggio dei cittadini e dei giornali a queste previsioni fa si che la reale situazione sgusci facilmente dalle mani, non si riesca quindi ad avere il punto della situazione e le nostre percezioni vengano portate fuori strada senza accorgercene.
Questi metodi sono importanti e utili ai fini della comprensione ma non possono, e non devono, essere l’unico punto su cui poggiare le nostre ipotesi e le nostre speranze. Il voto di stanotte ne è solo la riprova, così come è successo in altre occasioni in maniera più o meno lampante e così come succederà anche nelle prossime tornate referendarie o elettorali.