Concludiamo il nostro ciclo di interviste sul Referendum del 4 Dicembre con il Professor Fulco Lanchester, ordinario di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato a “La Sapienza” di Roma e firmatario del documento dei costituzionalisti per il No.
A suo parere la riforma è frutto di quali sviluppi nel sistema politico costituzionale italiano?
Il ddl Renzi – Boschi, approvato dalle Camere ai sensi dell’art.138 Cost, incide pesantemente sulla parte seconda della Costituzione, investendo il 57% degli articoli ed il 35% dell’intero complesso della stessa. Bisogna però sottolineare come la revisione in questione non possa essere giudicata senza tener conto del secondo pilone della riforma, ossia il sistema elettorale.
Sono infatti due i piloni che sostengono l’attività riformistica del Governo Renzi : da un lato la riforma del sistema elettorale in senso stretto, ossia l’Italicum approvato con la legge 52/2015 ed in vigore dal 1 luglio 2016; dall’altro, la citata riforma della seconda parte della Costituzione, approvata in Aprile e sottoposta a referendum confermativo (o oppositivo) del corpo referendario.
Non è possibile scindere un elemento dall’altro, essi sono strettamente tenuti insieme anche al di là del problema riguardante la costituzionalità del sistema elettorale.
La revisione, infatti, se viene collegata al secondo pilone, individua non tanto una mera riforma del bicameralismo, consistente quindi nella ristrutturazione della composizione e delle competenze del Senato ( per quanto riguarda il rapporto fiduciario e il processo legislativo), o nella riforma del titolo V della Costituzione, ma va ad incidere sulla forma di governo, stabilendo un premierato forte che va a collegarsi con l’idea del governo del Capo.
Detto questo tornerei indietro, possiamo infatti vedere come simili innovazioni si inseriscano nella terza fase della storia della costituzione repubblicana. L’Italia è stata infatti caratterizzata da tre fasi. La prima si è avuta tra il 1948 ed il 1993, contraddistinta dallo Stato dei partiti più pesante in Europa , ossia da un bipartitismo imperfetto, termine che evidenzia come ci fosse da una parte un partito legittimato e dall’altra un partito considerato “antisistema” e non utilizzabile per coalizioni governative o per attività di governo. Nel 1994 è iniziata la seconda fase, durata fino al 2011, è contraddistinta da un bipolarismo imperfetto. Questi anni furono caratterizzati dalla crisi di regime del 1992- 1993, dal referendum sulla parte proporzionale della legge elettorale Senato, dall’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti e dall’approvazione del cosiddetto Mattarellum, nell’agosto 1993, provocando una situazione di bipolarismo imperfetto in cui, da un lato vi erano i residui del vecchio sistema dei partiti e dall’altro Forza Italia, i leghisti e Alleanza nazionale.
Dagli anni Settanta in poi il sistema aveva visto accumularsi, oltre ai problemi legati ai rapporti coalizionali, la questione del debito pubblico; poi,tra il 1989 ed il 1993, c’è stata la fine grandi partiti, la nascita dei partiti regionali, la sensazione dell’insostenibilità della corruzione nell’ambito della concorrenza in Europa. Dopo più di vent’anni di permanenza in transizione è riesplosa la crisi. Nel 2011, lo sciogliersi della maggioranza berlusconiana e l’aumento dello spread ha ibernato il circuito partitico parlamentare. Berlusconi se ne è andato, lo ha sostituito Monti e l’Europa ci ha commissariato.
Con le elezioni del 2013 doveva riattivarsi il citato circuito partitico parlamentare ma Bersani perse le elezioni al Senato; si è tentato quindi di stabilizzare nuovamente il sistema che aveva visto ancora la volta la crescita di potere nelle mani di un partito considerato dai partner antisistema (il M5S). In questa situazione si è attivato sia il governo Letta sia l’ipotesi di nuove riforme istituzionali, si è inoltre riproposto il tema dell’incostituzionalità del Porcellum, dichiarato poi tale nel 2013 dalla Corte Costituzionale.
Lo sbocco più ovvio dovevano essere le elezioni, ma gli avvenimenti hanno portato,dopo la sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum, Renzi alla segreteria del Partito Democratico. Poi vi è stato il Patto del Nazzareno e Renzi è diventato Presidente del Consiglio. Arriviamo dunque ai nostri giorni, tra il 2014 ed il 2016 è iniziata l’innovazione del sistema con, da una parte, il nuovo sistema elettorale e dall’altra la riforma costituzionale.
Siamo quindi, secondo l’analisi che sto facendo, un po’ lunga, ma che ci serve per capire a fondo il problema, in un ambito che non è di revisione costituzionale ma, parzialmente, anche di potere costituente. Si vanno infatti a ristrutturare, al limite delle regole del sistema politico costituzionale precedente, le regole del gioco.
C’è un problema relativo al quesito proposto e alla materia sottoposta al referendum?
Chi vi parla, a suo tempo, ha proposto, con altri, lo spacchettamento. Lo ha proposto sia come referendum di iniziativa popolare, ma anche a deputati e senatori. L’idea dello spacchettamento si basa sulla concezione che sulla base della legge 352 del 1970, un quesito non possa essere proposto come un “boccone maledetto”, ossia come un unico blocco compatto. Essendoci più argomenti, doveva essere approvata una riforma costituzione articolata in più leggi di revisione costituzionale. E’ stato unito tutto insieme e, a mio avviso, il quesito avrebbe dovuto essere articolato in modo differente. Il tribunale di Milano ha messo di recente in evidenza come si tratti di un procedimento misto tra la revisione costituzionale e la legge costituzionale. A mio parere l’articolo 16 non viene seguito correttamente e ci sono dubbi circa la costituzionalità dell’intero procedimento.
Quali sono i problemi del rapporto tra la riforma e l’Italicum?
I problemi riguardano il profilo pratico dei due piloni.
Il primo pilone, quello del sistema elettorale, è una ripetizione aggravata del Porcellum e quindi appare incostituzionale. Perché, come mette in evidenza la pubblicità di Italo (di Montezemolo), l’Italicum consiste in “nuovi percorsi, nuovi orari ma su vecchi binari”. Ossia vi è premio di maggioranza irragionevole, dei deputati nominati ed, in terzo luogo, un ballottaggio che non sta né in cielo né in terra.
Per quanto riguarda il secondo pilone, invece, il bicameralismo non scompare. E’ positiva la modifica dell’articolo 94 per cui non è necessaria la doppia fiducia alla Camera e al Senato, entro dieci giorni dalla nomina da parte del Capo dello Stato, del Governo, ma nonostante ciò il Senato continuano ad esercitare delle funzioni incisive. Inoltre non ci sarà una vera e propria riduzione dei costi e dei tempi.
Ci sono evidenti problemi sulla rappresentanza e sulle funzioni svolte dalla Camera e dal Senato; esistono problemi relativi a regolamenti parlamentari, al processo legislativo, agli organi di controllo ed al rapporto centro periferia. In quest’ultimo caso si attuerà una vera e propria ricentralizzazione del sistema con una controriforma rispetto alla revisione del 2001.
Vi sono nuove ipotesi circa la legge elettorale e come potrebbe essere modificata?
Le leggi elettorali, qualsiasi sia la loro copertura costituzionale, sono complessi normativi ad alta valenza politica condizionati da standard internazionali. La scelta si collega poi con le condizioni del singolo ordinamento e alla volontà dei decisori.
Le leggi elettorali sono leggi di regime nel senso che cambiano quando cambia l’assetto del regime, ossia quando cambiano le norme ed i valori in cui agiscono attori politicamente rilevanti.
Dal 1946 in poi, fino al 1993, abbiamo mantenuto meccanismi speculari basati su una formula proporzionale. Dal 1993 in poi in Europa e nel mondo siamo stati quelli che hanno cambiato più volte il sistema elettorale in senso stretto. Ad oggi le ipotesi sono varie, c’è chi si riallaccia all’esempio tedesco, a quello francese e a quello spagnolo, ed altri che vogliono adottare stimolanti per inchiavardare il sistema.
Quali crede siano gli effetti politici ed economici del referendum?
Bisogna prima di tutto esaminare il progetto, quelli per il SI affermano che progetto ha molti difetti ma può essere modificato successivamente. A mio parere la Costituzione non può essere modificata in modo incrementale. Inoltre, non mi venite a dire che modificare la Costituzione non è altrettanto importante quanto il problema della fiducia dei mercati. Basta guardare al Brexit ed a come, nonostante tutte le previsioni negative, il sistema britannico non sia saltato.
Il nostro problema però è un altro: in Italia abbiamo un debito pubblico stratosferico, non diminuito nei mille giorni di Renzi.
Nel 2018 ci saranno le elezioni, , ma il problema dei nostri rapporti con l’Europa si pone sul fatto che siamo in fase pre elettorale e non abbiamo fatto nulla per diminuire appunto questo immenso debito pubblico.
Questa situazione è iniziata già negli anni Novanta e da allora, tutti i Paesi del WEST hanno perso in media l’8% del PIL procapite. Tra questi, l’Italia ed il Giappone hanno perso tra il 16 ed il 17%. La differenza però risiede che, mentre il Giappone ha la maggior parte del debito pubblico nelle mani giapponesi ed ha lo Yen, noi abbiamo il debito pubblico all’estero e non abbiamo più la lira ma l’euro e quindi siamo estremamente deboli.
La mia paura non sta nel fatto che non si possano fare innovazioni, ma che qualcuno pensi che stia capitando quello che doveva capitare nel 2011.
Ad oggi ci viene detto che dobbiamo votare su un progetto, fatto male, ma che dobbiamo comunque accettarlo, perché così vuole l’Europa. Se si ragiona così però il voto non è più libero ed io faccio parte del comitato per la libertà di voto, è su questo che si basa la mia idea di spacchettamento. E’ vero che ci sono sempre condizionamenti su una decisione, ma non devono mai essere eccessivi e il cittadino avente diritto al voto deve avere tendenzialmente la possibilità di strutturare una propria opinione.
Quello che viene detto da chi sostiene il Sì è che la riforma è brutta ma la dobbiamo accettare per evitare conseguenze peggiori. Questo ragionamento, a mio parere, dal punto di vista intellettuale e pratico non funziona.
Cosa ne pensa del voto all’estero?
A mio parere questa è una delle cose più sconvolgenti. La persistenza del voto degli italiani all’estero, introdotto negli anni Novanta, contravviene al dettato costituzionale relativo alla personalità e segretezza del voto. Ci sono quattro milioni di voti dei cittadini residenti all’estero che hanno titolarità di voto e che hanno il diritto di mantenerla ma che non dovrebbero poterla esercitare attraverso il voto per corrispondenza, che contravviene al dettato dell’art.48 della Costituzione relativo alla personalità del suffragio.
Lei ha affermato di aver sempre sostenuto la necessità di un cambiamento, perchè oggi si trova ad opporsi a questa riforma?
“Doveva capitare proprio a me?” Con questa citazione porto l’esempio del costituzionalista Gaetano Mosca che si nel 1884 criticò aspramente il Parlamento nella sua “Teorica del governo parlamentare”. Nel 1925, durante la discussione sulla legge sul primo ministro e segretario di Stato, Mosca si oppose alla stessa in quanto costituzionalista.
Mi rifaccio a Mosca perché è opportuno ricordare che il costituzionalismo si basa su differenti tradizioni. C’è quella angloamericana,basata sulla limitazione del potere ed a favore dell’equilibrio; e c’è quella francese fondata sulla sovranità nazionale e poi popolare, per cui parla per il popolo sovrano ed ha ragione chi detiene la maggioranza.
Il costituzionalismo, ossia la liberal democrazia, si basa sull’equilibrio di queste due tradizioni. Se manca un contropotere si rischia infatti l’autoritarismo ed il totalitarismo.
Sotto questo punto il panorama politico contraddice le premesse di normalizzazione del sistema. L’architetto costituzionale deve cercare di costruire un sistema inserito in ambiente e quindi collegato con il paesaggio e con chi vi abita dentro. Ad oggi la situazione è complessa ed io sono per un’innovazione di tipo razionale, mentre quella proposta possiede forzature decisamente non accettabili.
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