Myanmar: tra coercizione economica e sviluppo

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

In questo secondo articolo sul Myanmar vengono prese in considerazione le relazioni internazionali del Myanmar con le democrazie occidentali. Il regime militare infatti ha portato all’isolamento forzato il Paese e solamente nell’ultimo quinquennio l’ex colonia britannica ha potuto godere di reali contatti con l’estero.

Geograficamente schiacciata dai due colossi asiatici, India e Cina, il Myanmar ricopre anche un ruolo geopolitico importante essendo collocata tra il Golfo del Bengala e lo stretto di Malacca, gangli del commercio marittimo mondiale. In questo panorama gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea hanno cercato per lungo tempo di guadagnare, prima con la forza e poi con gli investimenti, un ruolo di primaria importanza.

 

Gli Stati Uniti d’America

Uno dei ruoli più importanti all’interno del mancato sviluppo del Myanmar lo ricoprono gli USA. Per più di venti anni le politiche statunitensi nei confronti del Myanmar sono state di ostilità e forti sanzioni economiche, imposte grazie alle relazioni volutamente bilaterali. Infatti, quando le relazioni sono impostate secondo un rapporto bilaterale il potere contrattuale dello Stato più debole è drasticamente diminuito proprio per mancanza di leve politiche, economiche, sociali con cui contrastare l’interlocutore. Su questo si basa quello che viene definito soft power” per cui lo Stato più forte può iniziare una guerra senza spargimenti di sangue ma con una quasi sicura vittoria data dalla capacità economica.

Le restrizioni economiche statunitensi nei confronti del Myanmar iniziarono sotto il governo Clinton il 22 maggio 1997 con l’Executive Order 13047 in cui si proibivano nuovi investimenti nel Paese asiatico. Oltre a questo gli USA hanno intrapreso una politica di accanimento nei confronti del governo militare. A questo primo atto di Clinton ne seguirono altri 3 di George W. Bush riguardo all’impossibilità di investire in Myanmar. Il presidente passato alla storia come colui che voleva esportare la democrazia americana nel mondo attraverso atti di forza, economica o militare, ha quindi imposto anche l’impossibilità di istituire collegamenti finanziari tra le banche statunitensi e quelle birmane. Questa decisione è stata inserita all’interno del USA Patriot Act del 2001 nella sezione contro il riciclaggio di denaro. Oltre a questo il presidente repubblicano nell’ultima parte del suo mandato (2008) iniziò anche una restrizione sui visti per il collegamento di cittadini birmani e statunitensi.

Il presidente Barack Obama dal 2009 a oggi ha interpretato la questione del Myanmar in due modi apparentemente incongruenti tra di loro. Nel primo periodo ha rafforzato quello che Bill Clinton e George Bush avevano iniziato con un altro ordine esecutivo che proibiva l’inizio di investimenti americani in Myanmar e collegamenti finanziari tra i due Paesi, mentre l’Executive Order 13651 imponeva il divieto di importare giade e rubini dal Myanmar nel 2013. Altri divieti dell’era Obama sono quello sull’assistenza degli USA nei confronti del governo birmano eccetto l’assistenza umanitaria, assistenza alla promozione dei diritti umani e i valori democratici e la lotta al narcotraffico. Il secondo divieto è quello che impedisce il sostegno economico statunitense a nessun ente che promuove violenza e politiche repressive (soprattutto quelle contro la minoranza Rohingya). Queste sono solo alcune delle politiche restrittive che il governo statunitense ha preso negli ultimi venti anni.

Il secondo modo di interpretare le relazioni tra USA e Myanmar è quella di inserire il piccolo Paese asiatico all’interno del Pivot to Asia inaugurato nel 2012 da Obama. Le politiche di Bush hanno favorito le idee di Obama. La forte coercizione economica esercitata da Bush ha portato il governo militare birmano a concedere la Costituzione nel 2009 e su questo Obama ha iniziato un dialogo necessario per entrambe le parti. Gli USA hanno la necessità di trovare un forte alleato nel Myanmar per le sue caratteristiche geografiche (confine con India e Cina) e le sue debolezze economiche e politiche che favorirebbero il raggiungimento dell’obiettivo primario del Pivot to Asia, il containment cinese. In questo senso quindi le sanzioni e le restrizioni imposte possono giocare un ruolo importante nel nuovo governo eletto democraticamente nel 2015. Le promesse statunitensi nel rimuovere imposizioni altamente pericolose in cambio di una sicura collaborazione del Myanmar con gli obiettivi USA. Ecco quindi la spiegazione del soft power.

 

L’India

Il Myanmar per l’India è sempre stata un’area importante, sia per una questione culturale sia per una questione storica e geografica. Infatti se da un lato i due Paesi si somigliano molto dal punto di vista della cultura, della religione e delle loro rispettive problematiche sociali, dall’altra la geografia le ha unite a ridosso del Golfo del Bengala, snodo principale delle rotte marine del Sudest Asiatico.

La vicinanza geografica ha dato modo ai due Paesi di sottoscrivere trattati di amicizia e trattati economici sin dai primi anni di indipendenza. Infatti entrambi hanno ottenuto l’indipendenza alla fine degli anni ’40 del XX secolo, dallo stesso colonizzatore: la Gran Bretagna.

Possiamo inquadrare le relazioni tra India e il suo vicino in due prospettive diverse:

  1. Il Myanmar è l’unico Paese ASEAN ad avere il confine con l’India.
  2. Il Myanmar è un vicino che ha necessità di investimenti esteri.

Riguardo all’ultimo punto, il blocco economico imposto dagli USA, le politiche filo-occidentali di coercizione economica imposte dall’Unione Europea fino al 2014, la paura che la Cina incute al Paese sono tutti fattori che hanno favorito lo sviluppo di un dialogo economico sempre più fiorente. In questa prospettiva gli investimenti sono cresciuti esponenzialmente tra il 1980, con un saldo di circa 12.4 milioni di dollari e il 2014 con un saldo di circa 2.18 miliardi di dollari. Questo dato deve essere messo in un contesto più ampio per essere compreso fino in fondo e, in questo senso, la prima prospettiva ci aiuta. Infatti la motivazione per cui questi investimenti sono sempre più alti è data dal fatto che il Myanmar è l’unico Paese appartenente all’ASEAN che confina con l’India.

Il potenziale di questa Organizzazione economica è molto alto e questo porta il colosso indiano a non voler essere tagliata fuori. In questo senso quindi gli investimenti vengono fatti soprattutto per infrastrutture, strade e ferrovie. Il progetto più grande tra i Paesi è l’autostrada India-Myanmar-Thailandia (IMT) che dovrebbe essere realizzato entro il 2020. In questo modo l’India potrebbe giocare una carta anticipando un altro progetto, questa volta promosso dall’ASEAN stesso, in modo tale da non essere tagliata fuori dall’Organizzazione. Infatti il progetto di interconnessione ferroviaria tra i Paesi ASEAN potrebbe essere un ottimo impulso all’economia e all’interconnessione nel Sudest asiatico.

 

L’Unione Europea

Il rapporto tra Unione Europea e Myanmar indipendente può essere diviso in tre periodi.

  • Gli anni ottanta del XX secolo, caratterizzato da forti investimenti europei nel Paese;
  • Tra il 1991 e il 2013, la forte chiusura del Paese dopo il colpo di Stato del 1991 portò a una frizione nei rapporti tra Unione Europea e il Myanmar;
  • Dal 2014, gli sforzi del Paese verso un miglioramento del sistema di governo è stato accolto dei Paesi Membri UE a riaprire gli investimenti in maniera mirata, a sostegno di progetti di riqualificazione del Myanmar.

La Germania Ovest durante gli anni ’80 era leader europeo di investimenti nel Paese del Sudest asiatico, circa 35 milioni di dollari all’anno. Le scosse al sistema di governo con il Movimento 8888 però destabilizzarono questo afflusso di capitali da Occidente. La riunificazione tedesca, il Trattato di Maastricht e la costituzione dell’Unione Europea rafforzarono il processo decisionale all’interno dell’Europa che, per difendere i valori democratici, impose quindi misure molto severe a partire dal 1991 a un Myanmar che invece negli anni ’90 stava intraprendendo un sentiero opposto, ovvero il rafforzamento della dittatura.

La necessità di riconoscersi come entità unica spinse l’Unione Europea nel 1996 a prendere una “posizione comuno nei confronti del Myanmar“, attraverso l’embargo sulle armi, il divieto di esportare ogni tipo di risorse che potessero favorire una repressione, divieto di visti, congelamento di fondi all’estero (in territori UE) per i membri del regime, il divieto di investire da parte delle aziende europee in imprese statali birmane, congelamento di relazioni diplomatiche. Tra il 1992 e il 2002 aziende come Levi’s (1992), Macy’s (1995), Columbia (1996), Heineken (1996), Carlsberg (1996), Motorola (1996), Phillips (1996), Ralph Lauren (1997) si sono ritirate dal mercato birmano. 

Le politiche anti-regime dell’Unione Europea proseguirono anche in ambito diplomatico. Nel 1996 l’opposizione furiosa da parte dei membri UE verso l’ammissione del Myanmar all’interno dell’ASEAN (poi avvenuta nel 1997) e il successivo rifiuto nel 2002 di sedere al tavolo dell’incontro UE-ASEAN se avesse partecipato anche il Myanmar. La stessa situazione si ripresenta nel 2004 ma in questo frangente i membri dell’ASEAN si fanno trovare più preparati e impongono il veto alla partecipazione dei nuovi 10 membri dell’Unione Europea (il primo vero allargamento verso Est dell’UE) se avessero imposto la non partecipazione del Myanmar.

Le relazioni quindi vanno verso una distensione poiché il dialogo forzato tra i due è stato focalizzato su quattro grandi pilastri: pace, democrazia, sviluppo e commercio. Il senso di “responsabilità di aiutare” che il Consiglio dell’UE sancì nel 2013 aprì la strada del rafforzamento delle relazioni per uno scopo ben preciso. La cooperazione porta quindi a uno sviluppo del Myanmar attraverso le convenzioni internazionali sui diritti umani, la creazione di una Commissione indipendente per i diritti umani all’interno della Nazione, un apparato giudiziario indipendente, imparziale ed efficiente, la creazione di ONG che aiutino alla cooperazione tra governo e società civile. Quello che risulta un po’ ambiguo da parte dell’Unione Europea è il mancato aiuto per assicurare al Paese che le elezioni indette per il 2015 fossero libere, giuste e inclusive anche se questo dovrebbe essere il perno della democrazia che muove l’Occidente.

L’aiuto economico che l’Unione Europea sta dando al Myanmar ha un rafforzamento l’8 dicembre 2014 quando è stato annunciato uno stanziamento di 688 milioni di euro per sostenere la transizione democratica del Myanmar tra il 2014 e il 2020. Il finanziamento è diviso in quattro grandi aree:

  • Sviluppo sostenibile delle zone rurali (241 milioni di euro)
  • Educazione (241 milioni di euro)
  • Sostegno alle politiche di creazione e rafforzamento della pace (103 milioni di euro)
  • Sostegno per le riforme con scopo democratico e istituzionale (96 milioni di euro)

Un alto funzionario europeo impiegato come diplomatico a Rangoon (la vecchia capitale del Paese) ha però messo in guardia l’UE e le sue politiche di investimento chiedendo “Come verranno gestiti questi soldi? è molto facile che ne venga persa traccia. Alcuni progetti sono belli da creare e mantenere ma non sono essenziali” per la democratizzazione del Paese. Infatti un altro grave problema dell’UE verso la politica estera è che spesso non c’è un allineamento, un programma che cooperi le necessità di ogni Stato Membro e questo porta a una disorganizzazione spesso controproducente.

La situazione del Myanmar rimane quindi sempre molto instabile e le relazioni internazionali con gli Stati Occidentali sono ambigui, spesso contraddittori e a volte molto oscuri. Le politiche USA e quelle UE sono in molti punti profondamente diverse e questo aiuta la competitività tra i due blocchi occidentali ma non aiuta lo sviluppo di Paesi come il Myanmar che si ritrovano con la pistola puntata alla testa e in cui spesso l’unico modo di salvarsi è quello di cedere allo sfruttatore più clemente. In questo secondo articolo non ci siamo occupati di Cina, la quale ricopre invece un grande ruolo all’interno del dilemma del Myanmar. L’ASEAN è una scialuppa di salvataggio che sta permettendo al Paese di ricominciare a crescere in maniera vistosa ma è necessario ricordare che la coercizione, economica o fisica, non porta a un risultato certo e che spesso, anzi, fa uscire fuori dal controllo le relazioni internazionali che si erano create.

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://thediplomat.com/2016/11/myanmars-opening-doing-business-in-asias-final-frontier/

https://www.treasury.gov/resource-center/sanctions/Programs/pages/burma.aspx

http://data.worldbank.org/country/myanmar

http://www.doingbusiness.org/data/exploreeconomies/myanmar

http://asia.nikkei.com/Politics-Economy/Economy/Myanmar-s-Thilawa-industrial-park-attracts-almost-1bn-in-investment

http://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/countries/myanmar/

http://thediplomat.com/2016/09/the-trouble-with-indias-projects-in-myanmar/

http://thediplomat.com/2014/08/the-strategic-importance-of-myanmar-for-india/

Dosch, Jörn and Jatswan, S., Sidhu, The European Union’s Myanmar Policy: Focused or Directionless?, Journal of Current Southeast Asian Affairs, 34, 2, 85-112

http://asia.nikkei.com/Politics-Economy/Economy/Myanmar-s-Thilawa-industrial-park-attracts-almost-1bn-in-investment

 

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