Dopo un regime militare durato più di quaranta anni la politica birmana sembra essere ritornata a scongelarsi. Così come era successo alla fine del 1947, con la transizione politica che portò all’indipendenza dalla Gran Bretagna, la costituzione emanata dal governo militare nel 2009 sembra essere il primo passo verso una nuova transizione. Ad oggi è difficile dire se essa può essere considerata una transizione democratica.
Sono tre i grandi temi che devono essere analizzati per poter comprendere il difficile mutamento di regime:
- La presenza militare ancora forte all’interno delle istituzioni,
- I problemi etnici che da sempre hanno caratterizzato la vita sociale del Paese
- Le relazioni internazionali che rimangono ancora molto tese con due dei partner più forti al mondo: Europa e Stati Uniti d’America
In questo primo articolo ci focalizzeremo sui primi due punti, quello storico e quello sociale.
L’autoritarismo militare fino alla Costituzione del 2008
Dopo il colpo di Stato del 1962 per mano militare il Myanmar ha vissuto in una spirale di violenza e chiusura al mondo esterno che ha gettato ombra e sangue sul territorio birmano.
La storia birmana segue abbastanza fedelmente l’andamento della politica mondiale della seconda metà del XX secolo. Il colpo militare portò il Paese a prendere una via che può essere definita “Via Birmana al Socialismo“, ovvero un socialismo reale applicato da Ne Win, leader del sovvertimento democratico, ma che ha utilizzato l’ideologia predominante nella zona solo come strumento per la centralizzazione del potere e non come credo politico. La nazionalizzazione, un nuovo modello educativo in controtendenza con quello imposto dalla Gran Bretagna fino al 1948 e una centralizzazione forte diedero la spinta definitiva al consolidamento del potere nelle mani dei militari. Lo sviluppo economico sul modello socialista portò a una crescita impressionante del Myanmar, uno dei più alti tra le “tigri asiatiche“.
Le manifestazioni studentesche, così come in altri paesi asiatici (primo tra tutti la Cina), iniziarono a farsi sempre più frequenti durante la seconda metà degli anni ’80 e culminarono in quella che viene definita la protesta 8888 (perché iniziò l’8 agosto 1988). La rivolta sfociò nel sangue con la repressione violenta di centinaia di migliaia di morti, anche se le autorità del tempo affermarono che solo 350 civili rimasero uccisi durante gli scontri. Le proteste coinvolsero studenti, monaci, civili da ogni parte dello Stato e fu in questo periodo che iniziò a emergere la figura di Aung San Suu Kyi, con un discorso davanti a mezzo milione di persone. Divenne subito la donna della democrazia, simbolo della piazza.
Il 18 settembre 1988 un altro colpo di Stato fermò la protesta, congelò nuovamente lo Stato birmano e lo relegò a un nuovo periodo di governo militare, comandato dal Generale Saw Maung. In questo periodo iniziarono le pressioni internazionali per cercare di smussare la ferocia militare che aveva già ucciso circa 10.000 civili. Dopo una dura lotta si arrivò alle elezioni del 1990. Qui venne nuovamente distrutta la Nazione. Con l’80% dei voti la Lega per la Democrazia, comandata da Aung San Suu Kyi (figlia dell’eroe nazionale che riuscì a ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna), aveva vinto e sconfitto i militari. Il risultato fu annullato. La leader della democrazia venne incarcerata fino al 2010. I militari avevano vinto.
A questo punto il Myanmar aveva attirato a sé gli occhi del mondo Occidentale, le ONG, la società civile. Le conseguenze furono le sanzioni economiche fino all’isolamento del Paese stesso. Dopo oltre venti anni di isolamento, il governo decise di promulgare una costituzione nel 2008 che potesse dare la possibilità alla società civile di partecipare alla vita pubblica, ma salvaguardò la predominanza militare all’interno delle istituzioni. Possiamo declinare in cinque punti questa costituzione di compromesso:
- Il 25% dei seggi parlamentari sia a livello nazionale sia locale sono assegnati automaticamente ai militari
- Gli emendamenti costituzionali devono passare con un voto maggiore al 75% e i militari hanno la possibilità di veto
- Il Generale è comandante dell’esercito e non il Presidente della Repubblica
- 6 degli 11 membri del Consiglio Nazionale della Difesa e Sicurezza provengono dal ramo militare
- 3 Ministeri sono di esclusiva competenza militare: Difesa, Affari Interni e Gestione dei confini
Nel 2015 si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar e la vittoria della Lega della Democrazia ha ottenuto la maggioranza dei seggi con il 58% nella Camera dei Rappresentanti e il 60% nella Camera delle Nazionalità.
I problemi etnici
La fonte più grande di scontri all’interno del Myanmar rimane sempre la questione etnica. Con circa 135 minoranze etniche il panorama sociale è uno dei più frammentati dell’intero Sudest asiatico. Proprio da questo problema è nato il dibattito sul nome del Paese che prima del 1948 si chiamava Birmania rifacendosi ai birmani, all’etnia cioè maggioritaria dell’ex colonia britannica. Questa etnia rappresenta il 68% della popolazione del Myanmar e si concentra nelle zone più ricche come le grandi città e lungo l’Irrawaddy, il fiume più importante dello Stato.
Quello che però è necessario sottolineare è che l’etnia dominante da lungo tempo sta cercando di distruggere le minoranze attraverso un processo di “birmanizzazione“, così come in Cina l’etnia han sta distruggendo le differenze culturali con le altre etnie cinesi. In questo panorama molto delicato, il governo ha delle grandi responsabilità, così come la Costituzione del 2008. Quest’ultima, infatti, non ha regolamentato la questione etnica, lasciandola volontariamente sospesa e non scritta. In questo modo il conflitto si muove sempre di più sotto traccia e diventa evidente solo grazie al sangue. Recentemente anche Aung San Suu Kyi è stata accusata di non aver preso posizione riguardo alle tensioni nel nord e a ovest del Paese, lanciando un’ombra sulla figura-simbolo della democrazia nascente.
Chin, Karen e Kachin
Questi tre gruppi etnici hanno un filo che li collega: la religione. Il cristianesimo è la vera unione.
Chin
Sono una delle più grandi minoranze etniche del Paese, a cavallo tra l’India e il Myanmar. Una delle difficoltà più grandi è la repressione, sia in territorio birmano sia in quello indiano, causato anche dalla difficoltà di accettazione di una religione non troppo diffusa in Asia. I Chin rappresentano un milione e mezzo di cittadini e si calcola che circa 60.000 siano già fuggiti in India in cerca di un riparo contro gli stupri, le torture, i lavori forzati (qui il report di Human Rights Watch sui Chin).
Karen
Etnia di circa 7 milioni di individui, influenzati dall’Animismo e dal Buddismo, vivono al confine tra Myanmar e Thailandia. Molti di loro vivono nello Stato limitrofo perché, seppur non pienamente stabile, garantisce più sicurezze del loro Paese di appartenenza. La loro organizzazione ha portato alla formazione di guerriglieri, l’Esercito di Liberazione Nazionale dei Karen (KNLA), che combatte contro l’esercito regolare da anni. Nel 2012 è stato raggiunto un cessate il fuoco tra i due gruppi che però è stato infranto dall’esercito birmano dopo solo un mese.
Kachin
Gruppo etnico di circa un milione e mezzo di individui, l’Organizzazione per l’Indipendenza dei Kachin è il gruppo armato che combatte nel nord del Myanmar contro l’esercito regolare. Anche qua gli abusi sulla cittadinanza non hanno fine e la minaccia del governo centrale porta i membri del gruppo a spingersi sempre più a nord, al confine con la Cina. Nonostante sia interesse del colosso cinese destabilizzare il nord del Paese e farlo quindi diventare ancora più debole, i Kachin e il governo hanno cercato in molte occasioni, senza successo, di firmare un accordo che facesse cessare la guerra civile. Gli interventi di Amnesty International e dell’ONU sono esplicativi di quanto questa situazione sia grave, nonostante la poca diffusione.
Lo Stato del Rakhine
All’interno dello Stato del Rakhine, situato a ovest del Myanmar, al confine con Bangladesh, è possibile identificare due etnie. La prima, e più vasta, etnia dei Rakhine e un’altra molto più piccola e sempre più problematica per il governo centrale, i Rohingya.
Rakhine
Si stima che circa il 5% della popolazione del Myanmar (circa 51 milioni) sia appartenente all’etnia Rakhine. Questo dato può essere la giustificazione del fatto che la maggior parte dei report, delle interviste e degli approfondimenti sul Myanmar e gli abusi commessi all’intero dello Stato sia in base a quello che succede nello Stato che faccia sul Golfo del Bengala. La religione dominante qui è il Buddismo nonostante ci siano forti influssi da parte dell’Islam e del cristianesimo. I dati dell’ONU rilevano che circa il 60% della popolazione sia malnutrita e che la mancanza di infrastrutture come ospedali, vie di comunicazione, scuole aggravi costantemente la situazione nella zona.
Aung San Suu Kyi si è espressa qualche tempo fa riguardo alla situazione sempre più critica dei Rakhine affermando che, pur essendo un grave problema del Myanmar, non è l’unico e che l’attenzione dei media per lo Stato in questione porta all’oscuramento dei gravi problemi sopra citati.
Rohingya
Etnia musulmana che trova rifugio sul confine tra Bangladesh e Myanmar. Si stima che questa minoranza sia la più perseguitata del mondo e che subisca non solo il non riconoscimento di cittadinanza da parte del Myanmar ma anche torture e persecuzioni in vasta scala. La fede Buddista che viene portata avanti da coloro che vogliono la “birmanizzazione” del Paese sfocia nell’ideologia di sterminio delle religioni diverse per poter garantire la purezza del Buddismo all’interno dello Stato. Cox’s Bazaar, uno dei campi rifugiati in Bangladesh, ha sempre più rifugiati Rohingya proprio perché le politiche militari stanno implementando la necessità di distruggere intere etnie. L’agenzia di stampa Reuters afferma che l’ultima grande migrazione dal Myanmar verso il Bangladesh è avvenuta meno di 24 ore fa.
La frammentazione etnica, la Costituzione, la presenza dei militari all’interno delle istituzioni stanno alimentando questo vortice di violenza che rende inevitabilmente il Paese instabile. Così come in altri stati, la divisione interna porta all’instabilità, la quale porta alla violenza per il raggiungimento del potere, in modo tale da imporre la propria ideologia. Quello che oggi il Ministero per la Gestione dei Confini e il Ministero degli Interni sta applicando e una vera e propria pulizia etnica in modo da garantire la predominanza Birmana. La coercizione fisica sta portando frutti inaspettati al governo, poiché sempre di più gli osservatori si stanno accorgendo di quello che sta avvenendo in Myanmar. Il risultato di questa politica non è facile da intuire perché la forza militare è senza paragoni e la divisione etnica non fa dialogare le diverse parti del Paese. Gli attori internazionali più interessati, Stati Uniti d’America, Cina e India stanno utilizzando il soft power economico per influenzare il Paese secondo i loro interessi. Una nuova sfida mondiale si sta creando in una zona del mondo in cui l’instabilità regna e l’unica certezza è quella di una non democratizzazione del Paese.
Fonti e Approfondimenti:
http://databank.worldbank.org/data/reports.aspx?source=2&country=MMR
http://eeas.europa.eu/delegations/myanmar/eu_myanmar/trade/index_en.htm
http://www.oxfordburmaalliance.org/1962-coup–ne-win-regime.html
http://www.oxfordburmaalliance.org/1988-uprising–1990-elections.html
http://edition.cnn.com/2016/11/17/asia/myanmar-rohingya-aung-san-suu-kyi/
http://www.reuters.com/article/us-myanmar-rohingya-idUSKBN13H0EG
https://www.hrw.org/news/2016/11/17/burma-allow-access-investigate-abuses-rakhine-state
http://edition.cnn.com/2016/11/15/asia/myanmar-rakhine-state-unrest/